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13.12.2024

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Storia. Il primo Natale della Grande Guerra
2 Dicembre 2014

Storia. Il primo Natale della Grande Guerra

Il primo Natale della grande guerra
 
Un episodio di profonda umanità nella barbarie della guerra. I soldati nemici escono dalle rispettive trincee e si abbracciano, mangiano e giocano insieme. È la Notte Santa del Natale 1914. Non capiterà più

Nel novembre del 1914 la spinta verso ovest delle armate tedesche dopo la sanguinosa battaglia di Ypres, in Francia, si arresta, il lungo fronte si stabilizza e inizia la guerra di posizione, il cui teatro e simbolo sarà la trincea.
Per anni i due eserciti nemici si fronteggeranno su una linea più o meno stabile, le cui minime variazioni saranno il prodotto di centinaia di assalti tanto letali quanto in ultima analisi sterili. Soltanto dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917 e l’offensiva alleata del 1918 il fronte ovest verrà sfondato, la guerra di trincea finirà e con essa, poco dopo, anche il conflitto.

Si manifesta la tragedia
Chi si trova in trincea nel dicembre del 1914 non sa nulla di tutto ciò. La propaganda allo scoppio del conflitto ha parlato di una guerra breve e limitata. Nessuno immagina che le ostilità siano destinate a durare per lunghi anni. I reparti francesi non hanno ancora abbandonato le uniformi colorate, poco adatte a mimetizzarsi sul verde e sul marrone della terra. A soli sei mesi da Sarajevo nessuno può prevedere quanto sangue dovrà ancora scorrere prima di vedere la pace. Soprattutto chi è al fronte non sa a quale livello d’imbarbarimento condurrà il conflitto. Per ora prevale ancora una visione cavalleresca e leale dello scontro: non sono ancora entrati in campo i gas asfissianti, gli aeroplani, i lanciafiamme. E non si combatte ancora in quegli autentici paesaggi “lunari” che saranno i campi di Verdun o della Somme arati e desertificati da milioni di granate e seminati di centinaia di cadaveri insepolti.

Il Papa chiede una tregua per Natale

Nei giorni che precedono il Natale del 1914, i combattenti di entrambi i fronti si apprestano anch’essi a festeggiare il Natale di Gesù, nello squallore della trincea e nella profonda nostalgia del focolare lontano. Si attendono una tregua: già il 7 dicembre 1914 il nuovo papa Benedetto XV – come farà ininterrottamente per tutto il conflitto – ne ha fatto richiesta, ancorché senza esito. Nella notte della Vigilia, finalmente serena, i camminamenti fioriscono di abeti addobbati, si accendono di lumini e candele, risuonano di canti tradizionali, spesso gli stessi nelle varie lingue: Stille Nacht e O Tannenbaum nelle trincee germaniche, O Christmas Tree e Douce nuit, sainte nuit in quelle inglesi e francesi.

La notte del miracolo
Le artiglierie tacciono e non piovono più le granate omicide. La “terra di nessuno” fra i reticolati si fa deserta, le pattuglie di esploratori e di sabotatori questa notte non escono.
I canti rimbalzano fra le trincee, talora distanti solo qualche decina di metri. La commozione cresce e tutti capiscono che è il momento – non si sa quanto lungo ma si spera che duri almeno i giorni in cui nasce il principe della Pace – di dare un segno concreto di pace. In diversi punti del fronte nelle Fiandre accade così che i soldati alleati – soprattutto gli inglesi, ma anche i francesi e i belgi – e i fanti tedeschi scavalchino spontaneamente i bordi delle trincee e nel gelo raggiungano la “terra di nessuno”, dove rimuovono i corpi dei caduti e, superate le diffidenze iniziali, si salutano, si fanno gli auguri, si stringono la mano, talora si abbracciano e cantano insieme, magari in latino, le melodie natalizie.
La notte della vigilia e il giorno di Natale circa centomila “Tommy” e “Fritz”, alcuni giovanissimi, fraternizzano fra loro, si scambiano idee e sentimenti sulla dura sorte comune e condividono la medesima nostalgia per la casa e per i cari lontani. Nella reciproca curiosità, fanno presto la loro comparsa le fotografie delle famiglie e delle madri. Circolano quindi le prime bottiglie di grappa, di whisky e di vino, i dolci e le tavolette di cioccolato; si barattano le rispettive razioni di viveri
e di tabacco o il contenuto dei pacchi ricevuti da casa. Si celebrano funzioni religiose per i caduti di ambo le parti e vi sono addirittura testimonianze di partite di calcio giocate fra nemici.

La reazione dei comandi militari
Ma sarà solo un breve intervallo. Allarmati, gli alti comandi, nel timore che la fraternizzazione vada oltre il segno e le truppe siano indotte ad abbandonare le armi, oppure che il nemico approfitti dell’occasione per tramare qualche insidia, diramano alle truppe l’ordine tassativo di cessare le manifestazioni di amicizia, di tornare nei camminamenti e di imbracciare nuovamente le armi. E puniranno severamente – anche se senza infierire – gli ufficiali che hanno tollerato che la fraternizzazione avvenisse, mentre cercheranno – non riuscendovi però del tutto – d’intercettare e di far scomparire le molte fotografie scattate nell’occasione.
Quello del 1914-1915 sarà un duro inverno, preludio alla ripresa massiccia delle ostilità che nel 1915 produrranno già decine di migliaia di vittime sul fronte occidentale, arrivando a un totale di un milione di morti allo scadere dei primi dodici mesi di guerra. Tanti, fra quelli che si sono abbracciati nel Natale del 1914, cadranno, forse l’uno per mano dell’altro. Da quell’anno in poi il Natale sarà festeggiato senza più tregue, né abbracci.

La guerra delle classi dirigenti

Che cosa insegna questo episodio? Per prima cosa, emerge chiaro che la Grande Guerra non l’hanno voluta i popoli, ma è frutto della follia delle classi dirigenti europee, invasate dal nazionalismo. In questi albori di guerra, chi combatte certo per amor di patria e forse anche animato da sentimenti nazionalistici non dimentica che il nemico è un uomo come lui, anch’egli obbligato a uccidere, anch’egli lontano da casa, anch’egli battezzato e spesso anche membro della medesima Chiesa.
Ancora, l’episodio ci dice che coloro che si affrontano in Francia provengono per lo più dalle classi umili e sono uomini del primo Novecento, dunque ancora in gran parte profondamente imbevuti di religiosità vissuta –  per undici anni fra i cattolici ha regnato Pio X, il papa santo e “contadino”, che ha operato una decisa ripresa della fede popolare –: per essi è difficile capire che il loro dovere è non solo quello di uccidere, ma anche di odiare il nemico, pure se si tratta di un fratello nella fede.
Inoltre – se mi è concessa una breve digressione sociologica –, si ha qui la conferma che la società europea del primo Novecento è ancora fortemente segmentata: da una parte stanno le élite, ormai impregnate delle forme più “avanzate” e ciniche della modernità industriale e secolarizzata, e dall’altra i popoli, le classi rurali e operaie, i mestieri e la piccola borghesia, che conservano ancora coaguli massicci di valori religiosi e di sentimenti di lealtà nei rapporti umani, anche in quelli eccezionali imposti dalla guerra.
Infine, la tregua di Natale del 1914 lascia intravedere che il conflitto sarebbe forse divenuto “grande” solo per motivi geografici, e non anche per le dimensioni del massacro, se solo si fosse assecondato e non osteggiato questo desiderio meno barbaro di combattere uno scontro sanguinoso sì, ma, come nel Medioevo, regolato e non senza pause e spinto all’ultimo sangue, dimenticandone del tutto il costo umano, come avverrà nelle fasi successive del conflitto.
A cent’anni da allora può essere utile ricordare quell’ultimo barlume di guerra “umanizzata”, cioè di civiltà, ben presto, ahimè, destinato a spegnersi. â–

Per saperne di più...
Michael Jürgs, La piccola pace nella grande guerra, Il Saggiatore, 2005.
Antonio Besana, La treguadi Natale del 1914, La Libreria Militare, 2009.
Joyeux Noël, film di ChristianCarion.

Il Timone – Dicembre 2014

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