Parliamo di una pagina di storia dimenticata del Novecento. Lo facciamo per una esigenza di giustizia e informazione e per rispondere al tanto decantato "dovere della memoria" che, ricordiamolo, varrebbe anche per le vicende malviste dai progressisti e para-marxisti dello scorso secolo che hanno a lungo dominato la pubblicistica e la cultura storica. Sono vicende che, ancora oggi, per conformismo o pigrizia, continuano a essere misconosciute.
Alcuni scorci sulla storia di una piccola ma valente nazione europea sono stati aperti da due studiosi lituani di orientamento liberale, Dalia Kuodyte e Rokas Tracevskis, in un libretto appena pubblicato dalle edizioni II Cerchio di Rimini: La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953. Grazie ad esso, è possibile oggi al grande pubblico conoscere un dato incredibile: dall'invasione tedesca del 1941 alla fine della resistenza antisovietica, il Paese baltico ha perso per la sua opposizione armata al Comunismo più di un terzo della popolazione tra morti in guerra, fucilati e deportati. In pratica, si sono sacrificati per la libertà e identità nazionale ben 1.240.000 lituani, di cui un milione solo tra il 1944 e il 1949 uccisi da mano sovietica.
In questo periodo i patrioti lituani sono rimasti vittime di entrambi i totalitarismi che hanno insanguinato in grande scala il Novecento, cioè non solo il Comunismo ma anche il Nazionalsocialismo tedesco. Infatti, se a causa della prima occupazione sovietica (1940-41) in un solo anno furono deportati in Siberia 40mila lituani, arrivati i tedeschi nel Paese baltico, furono ben 100mila ad essere inviati al lavoro coatto nei lager della Germania. Mentre gli abitanti delle vicine Lettonia ed Estonia, cioè le altre due confinanti Repubbliche baltiche, erano considerati “di razza ariana” , i lituani erano infatti parificati dai nazisti agli «slavi » e, pertanto, definiti razza inferiore.
L'invasione della Lituania da parte dell'URSS era stata concordata all'inizio della Seconda guerra mondiale dagli stessi governanti sanguinari di Mosca e Berlino. Il Paese baltico "spettava" infatti all'orbita sovietica, in applicazione di quel "patto Molotov-Ribbentrop" del 23 agosto 1940 che, pur prendendo il proprio nome dai ministri degli esteri sovietico e nazionalsocialista che lo firmarono, in realtà come spiega lo storico tedesco Ernst Nolte, dovrebbe ben più significativamente essere definito "patto Stalin-Hitler", essendo i due carnefici i veri protagonisti della spartizione dell'Europa orientale dell'epoca. In questo accordo, infatti, il dittatore tedesco promise a Stalin di non frapporre nessuno ostacolo all'invasione della Lituania da parte delle truppe comuniste. Il 28 settembre 1940 l'accordo fu modificato, passando la Lituania in mani sovietiche, eccetto una fascia di terra nella frontiera meridionale. Nel 1941, anche questo territorio fu consegnato ai russi, mediante un indennizzo pagato al governo di Berlino. Poco dopo la Lituania fu ufficialmente incorporata nell'Unione Sovietica. Negli stessi giorni in cui le truppe naziste entravano a Parigi, insomma, l'esercito rosso invadeva la totalità della Lituania.
Come ha testimoniato nel 2005 Antanas Haèas (1940-2014), deputato federale lituano fino al 1990 e firmatario della dichiarazione di indipendenza del Paese, «Le conseguenze dell'occupazione nazista e comunista comportarono epurazioni, una dopo l'altra, di lituani "indesiderati": i tedeschi ne avevano sterminato circa 300.000; i russi ne deportarono 145.000 nel 1940. Un numero incalcolabile di cattolici fu martirizzato in queste circostanze. Tra la notte del 14 e il 15 giugno i russi ammassarono circa 35mila uomini, donne e bambini in vagoni bestiame e li inviarono ai campi di concentramento in Siberia. Il numero di lituani deportati tra il 1944 e il 1953 (anno della morte di Stalin) è stimato intorno alle 600mila.
La maggior parte di essi non fece più ritorno in patria» (Decenni di lotta instancabili per la Lituania cattolica, traduzione a cura di Samuele Maniscalco).
A conflitto ultimato, venuto meno nel palcoscenico della storia il Fùhrer, rimase il dittatore georgiano a imporre, prima alla conferenza di Teheran (1943), poi in quella di Yalta (1945), il mantenimento della "sovietizzazione" dei lituani che, per affermare la loro libertà e identità nazionale, si diedero appunto alla macchia. Quello lituano fu un vero e proprio esercito partigiano, come spiega Alessandro Vitale nell'introduzione al libro di Kuodyte e Tracevskis, forte di oltre centomila uomini, chiamati Misko Broliai ("Fratelli del Bosco"), tra cui molte donne (cfr. La resistenza armata dei Fratelli della Foresta in Lituania: una lotta di popolo, pp. ? -13). Questi patrioti tennero in scacco per oltre dieci anni 300mila soldati sovietici affiancati da 40mila agenti dell'Nkvd, la polizia politica antenata del Kgb. Inquadrati come un vero esercito regolare, i partigiani lituani poterono contare sulla geografia di un Paese costituito in gran parte da foreste, resistendo con atti di guerriglia e sabotaggio sporadici fino al 1956. Questa lotta fu proporzionalmente più estesa di quella che, negli stessi anni, ebbe luogo in diverse altre parti dell'Europa orientale ma l'opera efficiente della dezinformatzija sovietica, il cui apparato spionistico non ebbe rivali al mondo, riuscì a far sì che nessuno ne sapesse niente e, fino all'abbattimento del "muro di Berlino", se ne parlasse affatto al grande pubblico. Se si fosse saputo che, fino ad oltre 10 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, un intero popolo lottava per sottrarsi al giogo sovietico, il mito dell'URSS "grande Patria socialista" avrebbe potuto vacillare. Solo dopo l'indipendenza raggiunta nel 1990, a crollo dell'Orso sovietico imminente, gli storici hanno potuto cominciare a muoversi negli archivi e il libretto, ricco di fotografie d'epoca di Kuodyte e Tracevskis, rende in parte giustizia a quei valorosi partigiani. Le foto riprodotte nella pubblicazione sono tratte dal catalogo del Museo della Resistenza Anticomunista, istituito dalle autorità lituane nella splendida cittadina di Druskininkai. Alcune di queste, raffiguranti i corpi martoriati di partigiani fucilati dall'Armata Rossa, furono ampiamente diffuse dagli stessi sovietici fra la popolazione locale, al fine di intimidirla dal partecipare alla resistenza mostrando la sorte di quelli che, a imitazione dei nazisti verso i partigiani italiani ed europei, erano definiti nient'altro che "banditi".
Molti dei capi della Resistenza lituana, fra i quali non poche donne, meritano oggi di essere ricordati anche perché fu grazie a loro che le deportazioni in Siberia si fermarono a 500mila unità, fra cui un quarto di tutti i sacerdoti lituani, e la leva forzata nei ranghi dell'esercito sovietico e le collettivizzazioni in parte impedite.
Che la resistenza anti-comunista lituana protesse il clero e la fede cristiana della nazione è stato riconosciuto anche dalle autorità post-comuniste del Paese, come ad esempio il prof. Feliksas Palubinskas, che è stato dal 1996 al 2000 vice-presidente del parlamento lituano. Intervenendo a Roma in occasione del decimo anniversario dall'abbattimento del "muro di Berlino", il noto economista e politico lituano ha pubblicamente reso onore a quella "Chiesa cattolica che ci ha fornito le basi fondamentali, è stata la testata d'angolo per la nostra politica ed ha offerto il proprio contributo per la ricerca ed il mantenimento della libertà" (relazione al convegno "Il Polo dell'est: come riunire le due metà d'Europa", Osservatorio Parlamentare, 8/9 Novembre 2000).
A imitazione di quello ceco, slovacco, greco, polacco, croato, romeno e di altri popoli europei finiti sotto il giogo comunista, anche la storia del movimento di resistenza baltico e, in particolare, lituano, è stata negata perché rappresenta una contraddizione formidabile della teoria progressista della "guerra partigiana rivoluzionaria". La drammatica opposizione armata di tutto un popolo al marxismo in Lituania, invece, con la sua strenua difesa della tradizione, anche religiosa, della nazione, costituisce oggi un patrimonio prezioso per la riconquista, non solo da parte dei lituani, ma dell'intera società civile europea, delle radici di un continente dalla storia spesso dimenticata, ma per molti aspetti gloriosa e cristianamente ispirata .•
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