L'ultimo secolo ha visto esperti di diverse nazionalità e specializzazioni scavare sia nel retroterra storico del grande drammaturgo, sia nel canone delle sue opere; i loro studi hanno portato a scoperte estremamente interessanti. Gli storici hanno evidenziato come Stratford, il paesello natio, si trovasse in realtà al centro di una regione che Antonia Fraser definì “una specie di santuario per i ricusanti".
Si è scoperto anche che il suo contesto familiare era ricusante; che ricusanti furono il padre, la famiglia della madre, la figlia e i padrini che la tennero a battesimo, persino diversi dei maestri di scuola assunti dalla municipalità quando Shakespeare era bambino. Che da ragazzo egli fu forse ospitato da una grande famiglia ricusante, attraverso cui entrò per la prima volta in contatto con gli ambienti teatrali. Che uno dei suoi parenti fu squartato sul patibolo per la sua fede e che un suo carissimo amico finì "suicidato" in carcere, accusato di aver ordito una trama cattolica contro Elisabetta I. Che, quando lasciò il paesello (forse in fuga) per recarsi a Londra, si mosse e operò nell'ambito di potenti famiglie cattoliche. Che, ritiratosi infine dalle scene e rientrato a Stratford, acquistò un misterioso palazzo londinese e lo diede in affitto a un ricusante per un prezzo simbolico; solo in seguito si scoprì che si trattava di un centro cattolico clandestino. Che, sempre dopo la sua morte, anche in campagna girava voce che fosse morto "papista". Quanto alle opere, la corrente critica che potremmo definire "cattolicista" vi ha individuato un filo rosso che le percorre tutte; un filo non facile da scorgere, a quel tempo, per il governo, giacché solo la metà dei drammi era stata data alle stampe (in edizioni sparse lungo gli anni e presto esaurite. Mentre l'opera omnia vide la luce soltanto sette anni dopo la sua morte. Si tratta di un livello allegorico profondo, mai troppo scoperto ma neppure invisibile, in cui emerge una sorprendente, audace dissidenza politica e religiosa.
Così la “Danimarca” di Amleto, in cui, notoriamente, c’è del marcio, è l’Inghilterra Elisabettiana; il padre del principe, trucidato a tradimento e ora proveniente dal (proibito) Purgatorio è l’antica fede; l’assassino usurpatore, nel cui regno i riti sono “mutilati”, è il nuovo ordine imposto dall’alto, mentre i due falsi amici inviati dal nuovo re a spiare Amleto e a cercare di strappargli il “cuore” del suo “mistero” sono gli agenti governativi segreti, attraverso le cui delazioni i malcapitati dissidenti si ritrovavano veramente con il cuore strappato, sul patibolo, esposto al pubblico ludibrio. Stupiscono alcuni temi ricorrenti che se riscontrati in opere isolate, possono non destare particolari sospetti ma che diventano messaggi chiarissimi proprio per Ia loro ricorrenza lungo tutto il canone; con l'esilio dei buoni, il diritto al tirannicidio persino l'invasione straniera (spesso guidata da quegli stessi esuli «rinnegati, come unico rimedio per salvare un Paese ferito e oppresso dai suoi stessi governanti. Tutti temi scottanti e proibiti, politicamente e religiosamente scorrettissimi attraverso i quali il drammaturgo parlava a chi, tra il pubblico, aveva orecchie per intendere. Perché il teatro, pur sotto censura, era l'unico mezzo di comunicazione di massa non direttamente controllato dal governo.
L'opera shakespeariana è tutta intrisa del le sofferenze del suo Paese: in mezzo tanto dolore, mentre il sangue dei martiri ancora grondava dal patibolo, la passione di un intero popolo si faceva passione letteraria, reticente e nascosta, e si incarnava in drammi senza tempo. Giacché, per dirla con Peter Milward (l'illustre caposcuola della corrente "cattolicista"), il cuore del suo mistero sta proprio qui. •
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