Sono le “Sisters of life”, giovane ordine religioso femminile, nato negli Usa. Il loro carisma è la difesa della vita. Hanno vocazioni e la loro opera cresce. Sono un segno di speranza
Che la situazione degli istituti religiosi femminili negli Stati Uniti sia critica – tra scadimento dottrinale, invecchiamento e crollo delle vocazioni – è noto a chi conosce la Chiesa americana. Lo testimonia anche la visita apostolica avviata il 22 dicembre 2008 dal Vaticano, ormai alla conclusione, i cui risultati serviranno per stilare un referto più preciso sullo stato di salute di suore e consacrate americane. In ogni caso, sbaglia chi pensa che tutto sia da leggere nel segno di un declino più o meno accelerato, ma comunque inevitabile. Segni di rinascita non mancano. E se quantitativamente non sembrano in grado di compensare il vuoto lasciato dalle realtà religiose storiche, ricordano però che il soffio dello Spirito sfugge alle previsioni umane ed è in grado di far fiorire vocazioni dove uno meno se l’aspetta.
Un bell’esempio a riguardo è quello delle “Sisters of life”, le “suore della vita”, in Italia ancora poco conosciute ma negli Stati Uniti spesso citate quando si parla dei frutti della Nuova Evangelizzazione. La loro storia non inizia in qualche isola conservatrice del Midwest, ma nel cuore della città più secolarizzata: New York. E come si addice allo stile della metropoli per antonomasia dell’Occidente, inizia con un’inserzione su un giornale. Era il 2 novembre 1989, infatti, quando sul settimanale diocesano usciva un editoriale firmato dall’arcivescovo di New York, il cardinale John Joseph O’Connor, intitolato: “Cercasi aiuto: suore per la vita”. In quel breve articolo, O’Connor parlava ai fedeli di un sogno che coltivava da un po’ di tempo: avere a disposizione una comunità religiosa femminile che si dedicasse esclusivamente all’affermazione e alla difesa della sacralità della vita umana. Nato nel 1920, figura carismatica dell’episcopato americano, rocciosamente pro-life, a metà degli anni ’80 O’Connor era stato in visita al campo di concentramento di Dachau in Germania (l’attenzione al mondo ebraico era un altro dei temi per cui aveva una speciale sensibilità). Il vedere di persona i luoghi di morte del nazismo e la meditazione sul sacrificio di massa di vite innocenti gli aveva ricordato immediatamente un altro genocidio silenzioso di cui era testimone nella civilissima America: l’aborto. Da lì l’idea di fare qualcosa, di mandare un messaggio forte a una città come New York dove circa il 40% delle gravidanze terminano con un aborto, il doppio della media nazionale, mentre nelle comunità afroamericane si arriva a oltre il 60%. Il cardinale chiedeva la disponibilità di persone motivate ma anche ben formate intellettualmente, con i mezzi umani e psicologici per affrontare un apostolato complesso e duramente osteggiato dalla cultura liberal.
L’articolo fece rumore. All’invito a partecipare a una nuova fondazione risposero in molte. Tra queste, una docente di psicologia della Columbia University, Agnes Mary Donovan, profondamente cattolica, ancora in ricerca vocazionale nonostante la carriera accademica già avviata. Anche lei, provvidenzialmente, era rimasta colpita durante gli studi al college dal tema dell’Olocausto, messo in parallelo con quanto stava accadendo in Usa dopo la depenalizzazione dell’aborto nel 1973. Un anno dopo, O’Connor tenne una serie di ritiri di discernimento vocazionale e il 1° giugno 1991 otto giovani donne diedero vita alle Sisters of life, riconosciute come associazione pubblica di fedeli e più tardi, nel 2004, come istituto religioso di diritto diocesano. Da allora le vocazioni sono state costanti: alto il numero di candidate e rigorosa la selezione, tale da ammettere non più di una dozzina di novizie all’anno. Oggi le Sisters of Life sono in 76 e la loro Madre superiora è Agnes Mary Donovan. Un manipolo di angeliche suore da combattimento, in tenuta bianca e blu, con un’età media di 37 anni, tra cui è possibile trovare l’ex amministratrice delegata di un’azienda informatica, l’ex universitaria di Yale o quella proveniente dall’accademia navale di Annapolis. Il loro carisma è sigillato da un quarto voto che le impegna alla difesa della vita e l’arcidiocesi ha affidato loro quasi da subito l’ufficio che si occupa delle iniziative pro-life.
Le Sisters of life sono religiose di vita attiva radicate nella contemplazione, scandita dalla preghiera, dalla Messa, dal rosario e dall’adorazione eucaristica. Quasi quattro ore della giornata passate in cappella alla presenza del Santissimo Sacramento. A New York hanno quattro conventi e il loro apostolato principale ruota attorno alla Visitation Mission, un centro di ricevimento e allo stesso tempo un call center a cui si possono rivolgere donne alle prese con gravidanze drammatiche. Ogni anno sono tra le 700 e le 800 che chiedono aiuto. La metà di costoro continuano la propria vita e la gestazione a casa, altre vengono alloggiate presso amici o strutture di altri ordini religiosi, a seconda dei bisogni e delle problematiche. Altre ancora vengono ospitate direttamente dalle Sisters of life nel loro convento del Sacro Cuore a Manhattan, che sembra creato apposta per esorcizzare il nome del quartiere in cui si trova: Hell’s Kitchen, la cucina dell’inferno. Lì possono restare da sei mesi prima a un anno dopo il parto. Ricevono aiuto materiale, ma soprattutto un conforto umano e un accompagnamento spirituale in quella che è pensata come un’isola di pace nel frastuono della Grande Mela: senza internet, senza radio e senza televisione. Vivono fianco a fianco delle suore nei momenti di comunità e partecipano se vogliono ai riti e alle preghiere. Ovviamente l’accoglienza è aperta a chiunque, indipendentemente dalla fede o dalle convinzioni politiche, e a nessuna è imposto alcunché di religioso, ma è solo offerta la testimonianza di una generosità squisita e di un amore incrollabile per la vita.
Il convento è stato aperto il 28 giugno 1999. La prima ospite bussò prima che la struttura fosse terminata. Non era indigente e si definiva pro-aborto, ma sentiva di essere finita in un impasse da cui non sapeva come uscire. «Quando realizzò che era incinta – ha raccontato madre Agnes – si buttò sul letto e chiese a Dio di aiutarla, dicendogli “ti darò un anno della mia vita perché questo bambino possa nascere, ma voglio indietro anche la mia di vita”. È stata con noi dodici mesi e ha finito per dare il bambino in adozione. Passato un po’ di tempo, è tornata a trovarci dicendo che Dio le aveva effettivamente restituito la vita e che era migliore rispetto a prima. Questa è l’esperienza che accomuna le persone che sono state qui: alla fine si ritrovano persone migliori».
Le Sisters of life si occupano anche di formazione. In una splendida casa a Stamford, Connecticut, acquistata grazie all’aiuto dei Cavalieri di Colombo, tengono ritiri per aiutare chi ha abortito a ritrovare la pace interiore, organizzano corsi sulla teologia del corpo di Giovanni Paolo II, sulla dignità della donna o sulla militanza pro-life a livello sociale e culturale. Curano anche una grande raccolta di documenti e materiale sulla difesa della vita, uno degli archivi più importanti sul tema negli Usa.
E in tutto questo le suore non sono sole. I loro sforzi sono moltiplicati in modo esponenziale dalla rete dei collaboratori della vita, i laici che sentono proprio il carisma di madre Agnes e compagne, facendo da ponte tra i conventi di Manhattan e la società, nei vari angoli degli Stati Uniti. Quel tipo di cooperazione ormai vitale per le realtà religiose e che permette anche senza grandi numeri di raggiungere risultati una volta appannaggio solo dei grandi ordini. Segno anche questo del fatto che il ruolo della vita religiosa in una società postmoderna è lungi dall’essersi esaurito, ma è semmai alla prese con una trasformazione, di forma e carisma, di cui stiamo vedendo solo gli inizi.
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«L’amore verso tutti, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura”».
(Benedetto XVI, Omelia per la celebrazione dei Vespri del tempo di Avvento, 27/11/2010).
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 28 – 29
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