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12.12.2024

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“Tanto gentile e tanto onesta pare…”
31 Gennaio 2014

“Tanto gentile e tanto onesta pare…”

Uomo e donna nei Romanzi cortesi. L’attualità di un’epoca nella quale il “grande amore” è capace di resistere negli anni, rinnovandosi di fronte alle inevitabili prove della vita.

“Sorella mia dolce, in ogni cosa vi ho messa a dura prova. Cessate ormai di preoccuparvi perché vi amo più che mai, sicuro e certo che voi mi amiate perfettamente. D’ora in poi sono tutto ai vostri ordini, com’ero prima; e se voi m’avete offeso con le parole, ve lo perdono per intero”. Così abbraccia la moglie, la rassicura, la bacia, la stringe contro il cuore: è la scena ?nale di “Erec ed Enide”, un romanzo francese scritto verso il 1170 in lingua d’oïl da Chrétien de Troyes; malgrado sia una storia ambientata nel mondo dell’amor cortese, dunque stilizzato, narra di un affetto coniugale messo alla prova dalle circostanze ma liberato grazie a un felice esito.
Erec, il cavaliere protagonista, sposata la bella Enide, dopo le nozze dimenticò i propri doveri, rammollendosi nella sola vita di coppia; la gente del borgo se ne lamentava con gli altri cavalieri, dicendo: Erec ha perduto il proprio valore. Svegliatosi una mattina di sorpresa, egli trovò Enide piangere di nascosto: la bella moglie si doleva che il marito fosse invilito. La vicenda seguente è contorta ma istruttiva, il cui lieto ?ne vede re Artù incoronare gli sposi magni?cando le gioie del matrimonio fedele.
I “Romanzi cortesi” di Chrétien de Troyes (Oscar Mondadori, 5 voll. in cofanetto) narrano le peripezie di Lancillotto, Merlino e Perceval. In “Ivano”, l’amore coniugale è esaltato poiché messo alla prova: la “prova” stessa è protagonista, quasi una veri?ca dell’amore tra uomo e donna. Infatti, la prova dell’innamoramento è il saluto; la prova della costanza, il valore, il rispetto reciproco; la prova dell’amore sponsale è senza dubbio il lungo andare nel tempo: non si riteneva un grande amore quello che non sapesse resistere negli anni trasformandosi, rinnovandosi di fronte alle inevitabili prove della vita. Alla ?ne, dopo una vita insieme, i due coniugi (nobili o contadini) uscivano dal mondo sì provati, ma in possesso delle “prove” che il loro amore fosse un dono della fedeltà di Dio.
Pochi studenti conoscono i romanzi d’amore cortese, perché il Medioevo, questa età a noi così estranea da sembrare più lontana dell’antichità stessa, continua a essere mal conosciuto e male insegnato: non è questione di malafede “alla Voltaire”, è vera e propria ignoranza a contraddistinguere i docenti.
La spregiudicata libertà culturale medioevale raggiunge livelli per noi impensabili nella rielaborazione dei miti classici greco-romani, ?ltrati dalla mitologia celtico-europea e riletti in ottica cristiana.
Il “lai” di Sir Orfeo (Carocci editore), poemetto inglese del XIII secolo, ripropone il racconto del tragico amore di Orfeo, mitico cantore, e della sposa Euridice. Il menestrello anglosassone operò le inevitabili varianti: l’aedo ha nome Sir Orfeo, sua moglie Dama Heurodis. La donna non ?nisce nell’Ade, è invece “rapita” di sotto un albero dall’inesorabile Re degli El?, e trasferita là dove non si è né vivi né morti. Sarà interessante andarsi a leggere come il narratore conduca le ?la della vicenda, sino a un esito semplice e sorprendente, eloquente della mentalità dei popoli medioevali.
E cioè: che Sir Orfeo ritorna nel mondo dei vivi assieme a Dama Heurodis; compie anche il viaggio di ritorno, oltre quello di andata. È un fatto sconvolgente questa restituzione, questo ricongiungimento: non solo per la cultura classica, nella quale è vero che Ulisse avesse fatto ritorno presso la moglie Penelope, ma a che prezzo! Siamo piuttosto di fronte a una riunione sponsale, sì favolosa e poetica, però allegorica di qualcosa di sublime e umano: la riconciliazione, ossia l’ingrediente indispensabile per la vita coniugale.
Non sempre la poesia profana medioevale se l’era ricordato. La storia di Tristano e Isotta (o di Lancillotto e Ginevra) è eloquente dell’atteggiamento esistenziale che ritiene il sentimento d’amore essere autentico e intenso soprattutto se sprezzante del vincolo matrimoniale: dal tempo dei Trovatori, le ?la dei cantori delle gioie dell’amore adulterino han prodotto oceani lirici, romanzeschi, teatrali, ?lmici. Ci pensò Denis de Rougemont in “L’amore e l’Occidente” (Rizzoli) a smitizzare un simile complesso dell’anima europea, la persuasione cioè che la vera passione d’amore consista nell’avventura extraconiugale.

Verso la “Vita Nuova”

La rinascita del Duecento in Europa fu meravigliosa come una verde primavera ?orita di tanti colori. Sembrava quasi che, dopo i secoli dif?cili nei quali s’era ritirata in un saporoso letargo accoccolata accanto alla teologia, sua sorella maggiore, adesso la poesia timidamente si riaffacciasse sulla scena della vita degli uomini.
Nel bacino del Mediterraneo ?orirono i poeti provenzali, poi i siciliani alla corte dell’imperatore Federico II, in?ne gli Stilnovisti toscani; presso le corti, nella Bretagna leggendaria e insulare (l’attuale Gran Bretagna), apparvero due poemetti assai illuminanti, entrambi di autore anonimo: “Perla” (Carocci) e “Sir Gawain e il cavaliere verde” (Adelphi). Dentro l’allegoria, come gemma nella materia spuria, era celato il midollo, il cuore del senso medioevale dell’amore: nel primo, la perla preziosa si rivelava essere, al termine della cerca, nientemeno che l’Amato, Gesù Cristo, fonte di ogni nostro amare; nel secondo, l’avventura da affrontare era, come sostenne in sede critica lo stesso J.R.R. Tolkien (ora ne “Il medioevo e il fantastico”, Bompiani 2003), la tentazione dell’infedeltà alla legittima consorte.
Dante cantò, in una canzone stilnovista, “Per una ghirlandetta ch’io vidi, mi farà sospirare ogni ?ore”. Ma la grande scoperta, la cui portata è tuttora incalcolabile perché aprì una nuova prospettiva nella poesia occidentale d’amore, sta nel suo libretto intitolato “Vita nuova”: tutt’altro che un’autobiogra?a amorosa. Su tale linea, spesso interrotta eppure sempre verde, giunge sino a noi la tradizione dell’amore autentico in poesia.

Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo all’anima: Sospira.
(Dante Alighieri,La vita nuova, capitolo XXVI,

Edizione nazionale delle Opere di Dante, vol I, a cura di M. Barbi, Bemporad 1932).

IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 52 – 53

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