Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

12.12.2024

/
Telefilm USA: terreno minato
31 Gennaio 2014

Telefilm USA: terreno minato

 

 

I film TV che spopolano tra gli adolescenti sono di elevata qualità tecnica e, anche per questo, riescono ad instillare una visione radicale e relativista.

 

 

C’erano una volta Dallas e Dynasty. C’erano una volta Perry Mason e Il tenente Colombo. C’era una volta, insomma, il telefilm americano – diciamo così – «tradizionale». Tutte le settimane un nuovo appuntamento con personaggi che portavano il pubblico negli Stati Uniti e romanzavano la vita delle metropoli o dei ranch di questo grande Paese. Oltre al piacere di ritrovare gli stessi beniamini e perciò di evitare lo sforzo mentale necessario per ambientarsi in una storia del tutto nuova – come, invece, è inevitabile quando si guarda un film –, il telespettatore sapeva che avrebbe assistito ad uno scontro tra il bene e il male in cui, quanto meno, le due parti in causa sarebbero state chiare: si pensi, per esempio, alla leggendaria perfidia di J.R. in Dallas.
Oggi le cose sono un po’ cambiate. Il telefilm americano si è trasformato in un giocattolo da maneggiare con una certa cautela.
I successi degli ultimi anni si chiamano E.R. Medici in prima linea (dottori di un pronto soccorso di Chicago, stacanovisti, con famiglie, a causa di questo professionismo esasperato, trascurate e disastrate), Friends (trentenni newyorchesi che si attardano in un’adolescenza dorata, e fanno ridere ragionando come bambini, ma discorrendo quasi sempre di sesso), The O.C. (rampolli di un quartiere «bene» di Los Angeles che, pur essendo in età liceale, farebbero invidia ad Alba Parietti e a Flavio Briatore per la mole delle loro esperienze erotico-sentimentali).
Questi accenni bastano a dare l’idea di come i telefilm sono diventati, con qualche eccezione, il frutto di fantasie estreme, abili a tratteggiare mondi dai criteri morali offuscati. Si aggiunga che il pubblico d’elezione dei telefilm americani è sempre più quello dei giovani e si converrà di come possa tornare utile qualche dritta per orientarsi in un’offerta in rapido aumento. Proveremo a dare qui di seguito alcune sintetiche indicazioni.
La considerazione di apertura del nostro breve vademecum riguarda il perché i telefilm americani sono pane più per denti di adolescenti che per quelli di adulti maturi. La ragione è da ricercarsi nella qualità della scrittura che è sovente elevatissima. In effetti, la sceneggiatura dei telefilm – cioè il copione su cui il programma viene recitato e girato – rasenta non di rado il virtuosismo. Il motivo è presto detto. La televisione americana è un’industria rodata in cui ambiscono ad entrare legioni di giovani sceneggiatori che hanno studiato la disciplina all’università. Chi mette in piedi la produzione di un telefilm, e ci investe denari impensabili dalle nostre parti, ha dunque a sua disposizione un ampio bacino di potenziali autori: un vivaio ricchissimo in cui cogliere i migliori talenti.
Ora, questi talenti sono, appunto, giovani e sono, pertanto, inclini a scrivere scene e dialoghi rapidissimi, vertiginosi, pieni di ironie e sottointesi, con un ritmo che appaga chi è capace di seguirlo, essendo cresciuto con i videoclip di MTv. Per esempio, ci vogliono riflessi non comuni al grosso pubblico televisivo per cogliere l’allusione di un personaggio di Friends quando questi – mettiamo – citando la canzone di una pop star americana intende fare riferimento al film che ha usato quel motivo come colonna sonora e, per via di questa pellicola, suggerire la propria latente omosessualità.
In un certo senso, si deve alla stessa ragione – l’età degli autori e le diverse dimensioni del sistema televisivo Usa – un’altra prerogativa di valida tecnica di scrittura: l’attitudine a fare leva sui bisogni affettivi di chi sta crescendo, magari trasferendoli in personaggi già adulti. La maggior parte degli scrittori di telefilm, oltretutto, riversa nelle proprie creature nozioni di psicologia studiate all’uopo. È così che, per esempio, il problema di riuscire a comunicare con i coetanei e con il mondo dei grandi innerva le atmosfere tormentate dei teenager di Dawson’s Creek, intercettando con precisione le insicurezze e le speranze del pubblico giovanile. Da noi sarebbe difficile fare lo stesso, sia perché la nostra scuola di sceneggiatori non è ancora all’altezza, sia perché il target dei giovani è numericamente esiguo rispetto al corrispondente americano (in pratica la proporzione di un continente). Dunque, visti i costi di produzione di una serie, il segmento giovanile sarebbe un corpo di destinatari non sufficiente a rendere profittevole l’investimento di una fiction che da noi deve puntare ad almeno sei milioni di telespettatori.
Detto questo, eccoci al punto dolente del vademecum. L’ideologia prevalente nei telefilm odierni che, purtroppo, è radicale e relativistica.
La famiglia normale sempre più una rarità, l’apertura all’eutanasia e il possibilismo sull’aborto, l’equiparazione di omosessualità e eterosessualità, la critica ad una religiosità ortodossa e il complementare, diffuso gusto per la New Age, quando non per la sua versione colta, la gnosi, sono tutti elementi abbondanti nei telefilm. Anche quando, come per esempio in Everwood – il successo dell’estate scorsa, prima del Tg serale di Canale 5 – si vuole descrivere un padre di famiglia modello, lo si dipinge fautore di una visione liberal, per esempio facendolo strafavorevole alla fecondazione assistita e alla maternità in affitto.
Perché questo? Tre, fondamentalmente, i motivi. Primo: nove su dieci, chi lavora nel business televisivo ha idee radicali, anche solo per influsso ambientale. Secondo: i ritmi lavorativi di questo settore comportano vite stressate, esistenze disordinate che, gioco forza, filtrano nei personaggi raccontati – di qui l’inflazione di personaggi single –. Terzo: se si raccontano personalità squilibrate e famiglie spezzate, si ha più facile gioco nell’escogitare conflitti e relazioni sempre nuovi per continuare ad alimentare serie che, per coprire l’investimento, devono arrivare, mal che vada, a cento puntate.
Oggi come oggi il bilancio sulla poetica dei telefilm made in Usa è, nel complesso, negativo, ed è un peccato. Se, infatti, centoventi minuti – la durata media di un film – sono un tempo ideale per raccontare la trasformazione di un protagonista che abbraccia un valore morale inizialmente trascurato, l’arco di diverse stagioni su cui si estende la narrazione di un telefilm si presterebbe invece bene ad un’altra causa espressiva: il racconto dell’appassionante tirocinio che l’acquisizione di ogni virtù comporta. Resta, questo, per adesso, solo un auspicio: una nuova frontiera per la qualità di scrittura delle serie americane.

RICORDA

«[…] è totalmente infondato negare che la lettura – e, lo ripetiamo, quando parliamo di lettura parliamo anche della fruizione di un film – abbia una qualche forma di influenza sul comportamento: ogni lettore che abbia una qualche esperienza sa che questo è vero; gli unici a continuare a negarlo […] sono solo i critici letterari. Fra le domande centrali da farsi per un’etica della narrazione, ci sono allora le seguenti: quando leggo, che tipo di abiti [morali] acquisisco o rinforzo?».
(Gianfranco Bettetini, Armando Fumagalli, Quel che resta dei media. Idee per un’etica della comunicazione, Franco Angeli, 1998 p. 89).

BIBLIOGRAFIA

Paolo Braga, Dal personaggio allo spettatore. Il coinvolgimento nel cinema e nella serialità televisiva americana, Franco Angeli, 2003.
Paolo Braga, La media serialità americana in Gianfranco Bettetini, Paolo Braga, Armando Fumagalli (a cura di), Logiche della televisione, Franco Angeli, 2003, pp. 257-285.
Leopoldo Damerini, Fabrizio Margaria, Il nuovo dizionario dei telefilm, Garzanti, 2005.
Diego Del Pozzo, Ai confini della realtà. Cinquant’anni di telefilm americani, Lindau, 2002.
Franco Monteleone (a cura di), Cult Series vol. I. Le grandi narrazioni televisive nell’America di fine secolo, Dino Audino Editore, 2005.

IL TIMONE – N. 51 – ANNO VIII – Marzo 2006 – pag. 54 – 55

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista