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13.12.2024

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Tra il potere e Dio
31 Gennaio 2014

Tra il potere e Dio

 

Come reagì Roma quando Pilato dovette riferire riguardo alle vicende di Cristo? A quel tempo era imperatore Tiberio, che governò dal 14 al 37 d.C.; Eusebio da Cesarea nella sua Historia Ecclesiastica racconta che «quando il miracolo della Resurrezione del nostro Salvatore e la sua ascesa al cielo erano ormai noti ai più, Pilato, secondo un’antica usanza che imponeva ai governatori di comunicare all’imperatore ciò che di nuovo accadeva nei loro territori affinché egli fosse al corrente di ogni cosa, riferì all’imperatore Tiberio i fatti riguardanti la resurrezione dai morti del nostro Salvatore Gesù, ormai nota a tutti gli abitanti dell’intera Palestina. Informandolo degli altri suoi miracoli e della sua resurrezione dopo la morte, gli disse che dai più era ritenuto Dio. Si dice che Tiberio abbia sottoposto ciò che aveva appreso al giudizio del Senato, che rifiutò di dare però la propria approvazione […], perché non era stato richiesto prima il suo parere; vigeva infatti un’antica legge secondo la quale i Romani non dovevano riconoscere nessuno come Dio se non per deliberazione e decreto del Senato. […] Così dunque il Senato romano non ratificò ciò che era stato sottoposto alla sua approvazione riguardo al nostro Salvatore; ma Tiberio rimase saldo nella sua precedente opinione, e non mosse alcuna ostilità contro l’insegnamento di Cristo» (Eusebio, Historia Ecclesiastica, II,2,1-3).
Questa notizia ci è confermata anche da Giustino e Tertulliano, e sembra alludere ad una possibile conversione di Tiberio. Certo è che Tiberio, pur avendo fallito nell’ottenere dal Senato il riconoscimento del cristianesimo come religio licita, non ordinò mai persecuzioni. Anzi reagì «lanciando minacce di morte contro gli accusatori dei cristiani» (Tertulliano, Apologetico, 5,2).
L’atteggiamento di Tiberio fu visto come un segno della Provvidenza «affinché la parola del Vangelo nascesse senza impedimento e si diffondesse in ogni angolo della terra» (Eusebio, op cit, II,2,6). Il vescovo Eusebio spende delle parole molto belle per descrivere questa improvvisa evangelizzazione: «Così, con l’aiuto della potente forza celeste, la parola della salvezza, come un raggio di sole, portava la luce sul mondo intero. Subito, per usare le parole della Sacra Scrittura, per tutta la terra si propagò la voce dei suoi divini evangelisti ed apostoli, e le loro parole giunsero fino ai confini del mondo. In ogni città e villaggio molte Chiese erano piene di fedeli, come aie straripanti di grano» (ibid, II,3,1-2). Purtroppo a Tiberio succedette nell’anno 37 Gaio Cesare Caligola, il quale, proclamandosi egli stesso “dio”, non fu affatto tollerante verso i cristiani. Pur rimanendo in carica meno di 4 anni, fu assai odiato per le sue pazzie (inasprite probabilmente dai sintomi del saturnismo, avvelenamento da piombo causato dal materiale degli otri per il vino di cui si serviva). Anche i giudei subirono le sue angherie, quali l’introduzione delle proprie effigi imposta alle sinagoghe. Ce lo racconta Filone l’Alessandrino, dotto teologo giudeo: «La stranezza del comportamento di Gaio coinvolse tutti i popoli, ma in particolare quello dei Giudei, che lo odiava per aver introdot- Tra il potere e Dio to nelle sinagoghe… immagini e statue che lo raffiguravano… e per aver sconsacrato il Tempio che sorgeva sull’acropoli, trasformandolo in uno proprio dedicato al nuovo Zeus Epifane Gaio. Esso era rimasto fino allora inviolato ed aveva goduto di completo diritto di asilo » (Filone, Ambasceria a Gaio, 43). Lo stesso Filone fu, per tali motivi, inviato dai giudei a Roma, per cercare di convincere Caligola a recedere, ma fu sbeffeggiato dall’imperatore che lo invitò ad andarsene se non voleva essere ucciso all’istante. Eusebio sottolinea ironicamente che quel giorno i giudei si rimangiarono quanto gridarono davanti a Pilato al momento del processo a Cristo; avevano infatti proclamato: «Non abbiamo altro re che Cesare!» (Gv 19,15). Questa “sottomissione” di comodo costò cara ai Giudei, perché già lo stesso Pilato ne approfittò per accentuare l’imposizione dell’idolatria e per accaparrarsi il “corban”, il tesoro sacro custodito nel Tempio come frutto delle offerte per i sacrifici, utilizzandolo per la costruzione di un acquedotto lungo 300 stadi. Eusebio racconta che «ciò causò il malcontento del popolo, che riempì di insulti Pilato al suo ingresso a Gerusalemme; ma egli, che aveva già previsto la loro rivolta, mescolò alla folla soldati armati camuffati con abiti civili, a cui ordinò, quando egli avrebbe dato il segnale dalla tribuna, di non trafiggere i manifestanti con le spade, ma di colpirli con bastoni. Molti giudei morirono, alcuni per le percosse, altri travolti nella fuga dai compagni. […] Da quel momento, rivolte, guerre, macchinazioni vicendevoli di mali non abbandonarono mai più la città e l’intera Giudea; esse continuarono fino all’assedio che ebbe luogo sotto Vespasiano, ultima di tutte le loro sciagure» (Eusebio, op cit, II,6,6-8).

 

 

 

 

IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 61

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