15.12.2024

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Tutta la creazione geme e soffre…
31 Gennaio 2014

Tutta la creazione geme e soffre…


Il maremoto nell’Oceano Indiano ripropone la domanda di sempre: perché Dio permette simili tragedie?
Il mondo secolarizzato ammutolisce o impreca, le altre religioni balbettano. Solo la Chiesa risponde alla luce della Rivelazione. E lancia un monito: convertitevi.

Nel giorno di Santo Stefano del 2004 l’Oceano Indiano è stato sconvolto da un maremoto di proporzioni impressionanti, che ha provocato la morte di più di 200.000 persone. L’opinione pubblica del pianeta ha assistito attonita alle immagini della tragedia, mentre i televisori trasmettevano le cataste di corpi senza vita, le scene di disperazione dei sopravvissuti, il paesaggio sconvolto. Come sempre accade di fronte ai cataclismi naturali, l’uomo si interroga sul significato di quanto è accaduto. È un’occasione da non perdere: proviamo a mettere in fila alcune considerazioni, senza pretendere di esaurire un tema così impegnativo.
1. Perfino una società secolarizzata come la nostra, che vuole vivere come se Dio non esistesse, in queste occasioni ritorna a parlare di quello stesso Dio, e lo chiama addirittura in giudizio come fosse colpevole. È una reazione sbagliata a un’inquietudine legittima e perfino necessaria. Come spiega don Claudio Crescimanno, monaco benedettino, «se questa tragedia non pone problemi alla nostra fede significa o che non prendiamo sul serio ciò che è accaduto o che non prendiamo sul serio la nostra fede». Quindi l’uomo non si deve spaventare del suo smarrimento di fronte alle forze della natura. L’importante è che non si fermi a un muto sbigottimento, che non trova conforto alcuno nella fede. Una cosa è certa: un uomo che si alimenta quotidianamente di ateismo pratico, nichilismo, edonismo, relativismo, è nella condizione ideale per annegare nel mistero insondabile del dolore innocente.
2. Nella storia sono ovviamente già accaduti molti disastri, percepiti come quello dell’Oceano Indiano. Il 1° novembre del 1755, ad esempio, Lisbona fu rasa al suolo da un terremoto che causò migliaia di vittime. Anche allora gli intellettuali si interrogarono su un argomento fondamentale: si Deus est, unde malum? Se Dio c’è, da dove proviene il male che colpisce il mondo? Voltai re ne trasse II poema sul dramma di Lisbona, nel quale il filosofo illuminista conclude che Dio esiste, ma che si disinteressa dell’uomo e del mondo: la Provvidenza non esiste. Questa reazione rabbiosa rimane il simbolo ancora oggi di quanti, di fronte all’imponderabile incidente, dubitano di Dio e della sua bontà, o lo immaginano lontanissimo dalla realtà in cui viviamo.
3. Il cattolicesimo ha una parola certa anche di fronte alla furia cieca della natura: all’origine di ogni male c’è quella veritàdi fede che chiamiamo peccato originale (Gn 3, 16-19; Rm 5,12). In Adamo l’uomo ha usato della sua libertà per voltare le spalle a Dio, sommo Bene. Ed è da quel momento che si introduce nel mondo il male, inteso come peccato, ma che trascina con sé tutta la Creazione. «Il mondo – spiega don Crescimanno – non è più il giardino voluto da Dio, ma una selva spesso inospitale, che produce anche fenomeni devastanti». Inoltre, la scelta originaria del primo uomo si rinnova in ciascuno di noi attraverso il peccato personale. Da questa verità si giunge a una prima drammatica conclusione, che ci riguarda tutti: anche il mio peccato è causa dei mali del mondo. Se diminuiamo i nostri peccati, Cristo e le membra del suo corpo soffrono di meno.
4. Ma per quale motivo Dio permette che accadano questi mali? La Bibbia ci descrive con accenti commoventi il rap porto fra Dio, l’uomo e il creato prima del peccato: in quel mondo il Creatore stesso “passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (Gn 3,8). Un ordine perfetto che nessun elemento poteva sconvolgere, all’infuori della libertà dell’uomo sedotto dal tentatore. Diverso è il nostro mondo, dove i fenomeni naturali avvengono in un certo modo a causa del peccato ori-ginale. Dio rispetta la libertà dell’uomo sino alle sue ultime conseguenze, e quindi permette che i fenomeni naturali si sviluppino secondo quei meccanismi che sono divenuti loro propri in seguito al decadimento in cui l’uomo peccatore ha trascinato il mondo. Questo mondo non è quello che Dio aveva voluto per l’uomo, ma è quello che l’uomo si è scelto. Il creato porta ancora impressa la bellezza e l’amore di Dio, e in questo senso merita di essere amato e contemplato. Ma queste catastrofi ci ricordano che la nostra vera vita è altrove, in cieli nuovi e terra nuova che attendono i santi.
5. È possibile parlare di “castighi di Dio”? Intendiamoci. Se con questa espressione si vuole intendere che Dio colpisce con le sciagure uomini particolarmente malvagi, Gesù stesso nel Vangelo ci obbliga alla massima cautela. Dal Vangelo di Luca (13,1-5) abbiamo notizia che diciotto uomini erano rimasti uccisi per il crollo della torre di Sìloe. Gesù nega che questi sciagurati fossero più peccatori di tutti gli abitanti di Gerusalemme, eppure aggiunge: «Ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». Dunque Gesù si serve di un fatto di attualità per ammaestrare le folle. Così Dio si serve di questi mali per ricavarne molti e grandi beni. Se non castighi, i disastri naturali sono dunque segnali che muovono alla conversione, perché chiudono la bocca all’arroganza, alla ubris – la tracotanza – dell’uomo moderno e gli mostrano che egli è fragile e peccatore.
6. Rimane altrettanto vero che Dio è libero anche di castigare alcuni peccatori in questa vita, e di stimmatizzare l’abominio di certi peccati anche con sciagure proporzionate. Poiché siamo cattolici, e non abbiamo paura del politicamente scorretto, non possiamo tacere che proprio in quella zona del mondo così duramente colpita dal maremoto è in atto da anni un orrendo mercato sessuale che coinvolge perfino i bambini. Una mostruosità che è alimentata dai “consumatori” occidentali e gestita da una parte dei locali. La “coincidenza” deve almeno farci riflettere, e spingerci alla conversione di vita personale.
7. C’è infatti un risvolto di questa catastrofe che pochi vogliono riconoscere: e cioè che il “tragico” non è soltanto il maremoto che uccide 200.000 persone. Il tragico è impresso comunque nella mia, nella tua vita. Come ha splendidamente scritto Antonio Socci, «ciò che corrode l’Occidente è una cultura che censura questa condizione di mendicanti che tutti, anche noi occidentali, viviamo». La morte di una singola persona, della donna che amiamo, o di un nostro figlio, non è forse drammatica anche molto più che la scomparsa di centinaia di migliaia di sconosciuti? Eppure, accade. C’è un bellissimo racconto di Tito Casini, intitolato Villa Rose, in cui il grande scrittore cattolico narra la sua visita a una diciassettenne ricoverata in fin di vita in ospedale. Scrive Casini: «Ogni innocente che soffre è uno che paga per altri, che non è innocente e non soffre; e ognuno che gode pur avendo peccato dovrebbe chiedersi: “Chi è che paga per me?” (…) Ognuno che soffre è uno che redime, uno che aiuta Cristo a salvare; ogni ospedale è come un complemento, una “succursale” di Betlemme, e potrebbe recare a insegna le parole di Paolo: Adimpleo ea quae desunt passionum Christi, completo ciò che manca ai patimenti di Cristo (Col 1 ,24}». (T. Casini, /I Pane sotto la neve, LEF, 1935, pp. 216-223).
Si dirà che c’è una bella differenza fra un’onda anomala e un tumore. Ma la differenza sta solo nel fatto che l’onda anomala va in mondovisione e così pure le sue vittime, tutte insieme. Il maremoto ci sconvolge non perché è “l’eccezione”, ma perché è visibile e ci apre gli occhi sulla normalità della morte quotidiana che non vogliamo mai vedere, che censuriamo. Gesù Cristo è l’unica risposta seria a questa tragedia inevitabile.

RICORDA

«Di fronte a simili catastrofi, ci si domanda: ma Gesù non ci ha liberati dal male? Rispondiamo: la redenzione è anzitutto liberazione dalla causa radicale del male, il peccato, e si realizza storicamente in proporzione a coloro che la accolgono nel proprio cuore. La liberazione totale e definitiva da tutti i mali avverrà solo alla fine del mondo. Anzi nel disegno di Dio la sofferenza è lo strumento della salvezza: in questo modo si manifesta la grandezza di Dio, che non ha semplicemente fatto scomparire il male, ma lo ha piegato a servire il bene: la conseguenza della ribellione è divenuta il mezzo della riconciliazione. Cristo subendo il male sconfigge il male, accettando la morte vince la morte. Dal Golgota in poi la sofferenza e la morte non sono più una maledizione, ma la possibilità offerta ad ogni uomo di essere il luogo in cui si realizza il drammatico ma grandioso disegno salvifico di Dio. In questi 2000 anni la croce di Gesù continua a stillare sangue, il fiume dei martiri e degli innocenti che consapevolmente o inconsapevolmente (i bambini vittime di Erode, gli Erode di ogni tempo) irrigano il deserto di questo mondo». (don Claudio Crescimanno).

IL TIMONE – N.40 – ANNO VII – Febbraio 2005 pag. 8-9

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