1. Essendo questo, però, il comune denominatore di ogni vita cristiana santa, ancora non abbiamo detto nulla che riguardi un Papa, e in particolare questo Papa. Per dire qualcosa di come Giovanni Paolo II ha vissuto da Papa il necessario “cristocentrismo” di ogni cristiano, occorre prestare attenzione a come egli ha saputo essere “cristoforo”, portatore cioè sempre e soltanto di Cristo, mai di se stesso. Egli ha creduto opportuno rilasciare interviste e scrivere libri a carattere autobiografico (cosa che i Papi prima di lui di regola non facevano), sappiamo bene come egli da Papa sia stato, nello svolgimento del suo ministero pastorale, straordinariamente “protagonista”, come hanno rilevato tutti i mass media del mondo per tanti anni, e soprattutto in occasione della sua morte: ma tutto questo senza mai mettere in ombra Cristo, del quale era il vicario in terra e dal quale traeva tutta la forza per pregare, agire, soffrire e predicare. Proprio per questo Giovanni Paolo II non nascondeva la sua totale ed esclusiva fiducia nelle risorse soprannaturali della preghiera, ossia nel ricorso alla potenza divina del Risorto; e quante volte le macchine fotografiche e le telecamere, che cercavano sempre inquadrature trionfali, con davanti folle oceaniche ed entusiaste, dovevano invece rassegnarsi a ritrarlo da solo, in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento, o con il rosario in mano.
A questa dimensione cristocentrica va ricondotta certamente la grande e suggestiva devozione mariana del Papa Giovanni Paolo II, ossia la devozione alla Madonna che egli già praticava appassionatamente fin da giovane sacerdote e poi da vescovo. Riprendendo da san Luigi Maria Grignion de Montfort, con il motto Totus tuus ego sum, la pratica devota della “volontaria schiavitù” (dedizione piena) alla Madonna, Karol Wojtyla voleva esprimere nella pratica della preghiera la sua profonda convinzione di essere tutto di Cristo e di dovere tutto a Cristo: non solo la missione di farne le veci sulla terra durante il tempo del suo pontificato (missione singolarissima e sublime), ma anche la possibilità e la grazia (questa invece comune a tutti i cristiani) di restare sempre in intima e affettuosa unione con Cristo mediante la Madre sua, che per sua misericordia è anche la Madre della Chiesa e di ogni cristiano.
È particolarmente utile rilevare il senso cristocentrico della vita di preghiera di Giovanni Paolo II. Dandoci l’esempio di una vita interiore e di un’azione pastorale tutta incentrata sulla richiesta a Cristo di intervenire in prima persona, di operare quelle meraviglie che solo l’amore divino può operare (la conversione dei cuori, le vocazioni), Giovanni Paolo II ci ha saputo ricordare con eccezionale efficacia che, nelle cose che riguardano il fine della Chiesa, chi agisce è Cristo, chi risolve i problemi è Cristo, chi alla fine giudica è Cristo (e il suo è sempre un giudizio di misericordia in vista della salvezza di tutti). Insomma, senza falsa umiltà (l’umiltà falsa della retorica o dell’ipocrisia farisaica) e senza rinunciare mai a esporsi in prima persona, rischiando anche di non essere compreso o accettato, Karol Wojtla ha sempre mostrato Cristo come il vero protagonista, lasciandogli sempre tutta la scena. Mi pare di aver visto in lui ripetersi il modo di agire di Giovanni Battista, il quale si riferiva a Cristo (l’Agnello di Dio, da lui stesso indicato presente nel mondo) dicendo così: «Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca». E poi: «Non sono io il Cristo». E ancora: «Dopo di me viene Uno che è maggiore di me e al quale io non sono degno di scogliere i legacci dei sandali».
2. Oltre alla vita di preghiera (che, quando nasce dalla vera fede, non è mai una cosa secondaria nell’esistenza cristiana), un aspetto del necessario “cristocentrismo” di ogni cristiano, da Papa Giovanni Paolo II vissuto come Maestro della fede di tutti noi, è la sua predicazione, il suo messaggio alla Chiesa e al mondo intero. Riprendendo un celebre discorso del suo predecessore Paolo VI a Manila, Giovanni Paolo II ha detto fin dall’inizio del suo pontificato che egli esortava tutti ad «aprire le porte a Cristo», a far entrare Cristo nella vita di ognuno, tanto nelle grandi scelte vocazionali quanto nelle piccole decisioni di ogni giorno riguardanti la pratica dei sacramenti, il compimento dei doveri del proprio stato, l’esercizio delle opere di misericordia.
Cristo Redentore è effettivamente al centro della catechesi del Papa Giovanni Paolo II, a cominciare dalla sua prima enciclica, la Redemptor hominis; questa, assieme all’enciclica sul Padre (Dives in misericordia) e a quella sullo Spirito Santo (Dominum et vivificantem), costituisce una organica catechesi sul dogma trinitario. In diretto riferimento, anche lessicale, a Cristo Redentore, il Papa ha poi parlato della Vergine Maria (Redemptoris Mater), di san Giuseppe (Redemptoris custos) e della missione evangelizzatrice della Chiesa (Redemptoris missio).
Poi è stato sempre così. A Parigi, rivolgendosi ai cattolici francesi, Papa Wojtyla applicava loro – si tratta di un’applicazione del Vangelo non solo possibile ma assolutamente doverosa – la domanda di Cristo a Pietro: «Mi ami tu?». Il Vicario di Cristo aveva applicato innanzitutto a se stesso questa domanda, e così poteva applicarla agli altri senza retorica, in pienezza di senso e di verità. Nel pontificato di Giovanni Paolo II diventano così meno rilevanti le domande secondarie (“Ami la Chiesa?”,”Ami il Papa?”, “Ami l’uomo?”), perché egli ha rimesso in primo piano la domanda primaria ed essenziale, l’unica che presenti chiaramente il fine, mentre le altre presentano ciò che costituisce un mezzo o una conseguenza: «Ami Cristo? Te lo hanno annunciato altri prima di me, e te lo annuncio io adesso: lo riconosci come il tuo Salvatore?».
3. Nel modo in cui Giovanni Paolo II ha costantemente reso presente Cristo nella sua predicazione e nella sua azione pastorale si nota la consapevolezza piena della funzione essenziale del Papa, quella espressa da Cristo stesso quando disse, rivolto a Pietro: «Io ho pregato per te. E tu, una volta convertito, conferma nella fede i tuoi fratelli». Il Vicario di Cristo deve confermare nella fede in Cristo i suoi fratelli, dopo che Cristo ha confermato nella fede lui. E l’essenziale di questa fede che Cristo vuole nel suo vicario in terra è che egli lo renda sacramentalmente visibile e operante nella dottrina, nella liturgia, nella comunione di carità. Per questo non deve sembrare irrilevante (purtroppo molti, irretiti dalla dialettica ideologica di progressismo e conservatorismo, hanno fatto attenzione ad altre cose, queste davvero irrilevanti) che Giovanni Paolo II, nel mettere fine al dibattito sul conferimento dell’ordine sacro alle donne, abbia dato come unica ragione del suo autorevole e solenne intervento il fatto che questa cosa – come tutte quelle del medesimo genere – esula dalle competenze della gerarchia ecclesiastica, che ha l’obbligo di attenersi a quanto risulta essere la volontà di Cristo; e in questo campo la volontà di Cristo risulta in tutta evidenza essere quella che la Chiesa ha sempre conosciuto e rispettato.
Dossier: Giovanni Paolo II: punti fermi
IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 39-41
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