Dall’esilio agli altari. La Chiesa proclama beato Carlo V, l’ultimo imperatore cristiano. Era morto in esilio, umiliato dal “mondo”. Oggi viene proposto come modello.
Il 1° aprile 1922, a meno di trentacinque anni, moriva Carlo, l'ultimo imperatore della dinastia asburgica.
Era salito al trono nel 1916, alla morte del mitico Francesco Giuseppe, incarnazione stessa di quell'idea imperiale «sacra e romana», culmine dell'architettura politica del cristianesimo occidentale che, nell'Austria-Ungheria, sopravviveva in versione secolarizzata. Il suo regno si era concluso drammaticamente nel 1918, al termine di un conflitto immane, che aveva visto il crollo delle rimanenti entità politiche sovra-nazionali: il Reich germanico, il plurisecolare regno degli Zar e il decadente Impero Ottomano.
Perché riparlare di un personaggio che la storia sembrerebbe aver «condannato» ?
È vero. Carlo è storicamente un «fallito»: regna per due anni, il suo impero crolla, viene esiliato e muore giovanissimo lontano dalla patria. Ma, se si muta prospettiva, si nota che nel suo «fal-limento» ha messo in mostra un tale insieme di virtù umane e una così mirabile imitazione di Cristo, che oggi (domenica 3 ottobre 2004), la Chiesa cattolica lo proclama beato, testimoniando, con l'autorità stessa degli apostoli, che Carlo d'Asburgo, lungi dal fallire, ha invece raggiunto la massima meta che un cristiano possa sperare: la gloria celeste.
Carlo era nato nel 1887 ed era pronipote dell'imperatore Francesco Giuseppe. Era cresciuto nella serenità della corte viennese fra giochi, studi, cacce e balli. Ma fin da subito aveva rivelato, anche sotto l'influsso dei gesuiti viennesi, una serietà non comune e uno stile di vita limpidamente cristiano. Tragici eventi – la fucilazione di Massimiliano, fratello di Francesco Giuseppe, in Messico nel 1867 e il suicidio di Rodolfo, a Mayerling nel 1889 – lo avevano fatto avanzare nella linea successoria. Con l'uccisione dello zio Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914 era balzato al primo posto.
Alla morte di Francesco Giuseppe, nel 1916, ne ereditò l'immenso impero. Ne ereditò però anche la tremenda responsabilità di reggerne le sorti in un'epoca di nazionalismo rivoluzionario e di coinvolgimento in una guerra tragicamente «di massa», che usava armi micidiali e coinvolgeva pesantemente i civili.
Carlo, nonostante la sua giovane età, capì che la posta in gioco non era solo questa o quella retti-fica territoriale, ma il futuro stesso dell'Europa. A dispetto dei successi delle armate, che egli co-mandò con intelligenza e valore su più fronti, la guerra degli Imperi Centrali contro una coalizione, ormai mondiale, nel 1916 era infatti decisa.
Per questo, fin da subito, Carlo avviò una serie di contatti di pace con le potenze nemiche – i più noti precedettero e seguirono la denuncia della«inutile strage» di Benedetto XV nell'agosto del 1917 -, rimasti però senza esito.
I suoi generali non lo capirono e l'alleato non si fidò di lui. La sua fede vissuta e la sua condivisione dei disagi e dei rischi della trincea gli conquistarono l'affetto dei suoi soldati, ma gli attirarono anche molti odi: di quelli che preparavano il «dopo-Asburgo», dell'alleato, ma, soprattutto, di quei «poteri forti» che avevano condannato a morte gl'imperi e l'Austria cattolica in particolare. Carlo ne sopporterà gli attacchi e i tradimenti con cristiana fermezza, ma con altrettanta umana sofferenza.
Carlo aveva sposato nel 1911 la principessa Zita di Borbone-Parma, che in undici anni di matrimonio gli darà otto figli. Egli amò teneramente la sposa e la famiglia, che fece crescere in un'atmosfera di cristianesimo coerente e vissuto, ma non si fece scudo di loro nelle decisioni politiche. Anzi, nei due anni di regno e, poi, nel dopoguerra, non esitò a rischiare anche la sicu-rezza dei suoi cari per l'avvenire dei suoi popoli, ma lo fece con calma e serena fiducia nella Provvidenza.
Nell'autunno 1918 la duplice monarchia implose e i cento frammenti che la componevano presero ciascuno la sua direzione: lo sfaldamento dell'apparato militare – che garantirà all'Intesa le grandi «vittorie» del 1918 – fu solo una conseguenza dello sgretolamento politico. Dissolta la monarchia, quando a Vienna e a Budapest si voleva proclamare la repubblica, Carlo si rifiutò e si opporrà sempre, quasi con testardaggine, ad abdicare: considerava infatti troppo serio l'impegno assunto nel1916 verso i suoi popoli e verso Dio, perché si rassegnasse alla vita del pensionato di lusso.
Per questo fu esiliato in Svizzera e non rivide più il suo paese, se non in due brevi occasioni, nel 1921, quando, confidando nell'appoggio occidentale e di Papa Benedetto XV, tentò di restaurare la monarchia in Ungheria. Tradito e umiliato, venne però imprigionato e deportato, questa volta nella lontana isola portoghese di Madera.
Minato dalla «spagnola», contratta nel 1918, vi morì, stroncato da una polmonite, alla presenza del figlio primogenito Otto – l'erede, oggi novantaduenne -, fra le braccia della sposa e in adorazione del Santissimo Sacramento.
Fin da subito molti intellettuali, uomini politici e di Chiesa e semplici fedeli videro in lui un santo, un martire della pace e della coerenza cristiana in politica. Il movimento per la sua beatificazione è nato subito dopo la sua morte, ed è ripreso con vigore dopo la ostile parentesi hitleriana e il secondo conflitto mondiale. Nel 2003 è stato riconosciuto a Carlo il miracolo: nel 1960 una suora polacca residente in Brasile – scomparsa nel 1989 -, dopo averlo invocato, era guarita inspiegabilmente da una grave forma di malattia alle vene delle gambe. Il lungo percorso conosce oggi una ulteriore e importante tappa con la beatificazione.
Carlo è stato un santo, uno sposo fedele, una figura limpida ed esemplare di padre e di amante della vita, un comandante abile e giusto, un sovrano lungimirante e tutto dedito al bene, non solo materiale, dei suoi sudditi.
La fine dello Stato asburgico ha lasciato – secondo lo storico Giorgio Rumi – «un buco nero» al centro dell'Europa, con la perenne instabilità politica dei paesi balcanici. Davanti alla precarietà delle soluzioni dispiegate in quell'area c'è forse da domandarsi se non siano da riprendere in considerazione, mutatis mutandis e al di là delle ideologie, modelli simili.
La difficoltà, mi pare, stia meno nel ricreare forme politiche sovra-nazionali, che non capi con la stoffa di Carlo… .
BIBLIOGRAFIA
Oscar Sanguinetti – Ivo Musajo Somma, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo, D’Ettoris Editori, 2004.
IL TIMONE – N. 36 – ANNO VI – Settembre/Ottobre 2004 – pag. 28 – 29