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15.12.2024

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Un dono grande
31 Gennaio 2014
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Un dono grande

 

 

Quanto è grande Dio! Con la Confessione sacramentale offre il perdono ad ogni peccatore pentito. Eppure non manca chi la contesta. A torto, perché la dottrina cattolica è vera, fondata sulla Scrittura e la Tradizione. Come conferma la storia.

 

 

Peccato e redenzione

 

Dio ha creato l’uomo per la vita, per la felicità, per la piena realizzazione di tutte le potenzialità di bene che ha posto in lui. L’uomo trova tutto questo nella comunione con il suo Creatore. Questa comunione è poi un’amicizia che eleva l’uomo ad una dimensione umanamente insperata ed irraggiungibile: la partecipazione alla vita di Dio stesso, quale suo figlio adottivo.
Con il primo peccato i nostri progenitori, istigati da Satana, hanno reciso questa amicizia, hanno creduto di poter trovare la propria realizzazione fuori da Dio, anzi, contro Dio. In questo modo l’uomo si è ritrovato in un mondo ostile, incapace di ritrovare armonia con Dio, con se stesso e con gli altri.
Tremenda conseguenza della separazione da Dio è la morte spirituale dell’uomo, che si manifesta in questa vita con l’abiezione nei vizi, e nella vita futura con l’inferno.
Ma Dio nella sua infinita misericordia non ha abbandonato l’uomo nella condizione di schiavitù e di infelicità alla quale si è condannato, ma per pura benevolenza ha voluto soccorrerlo e liberarlo. Cristo morto e risorto è la causa e il modello della nostra salvezza. Infatti per il grande amore che egli ha espresso al Padre nel sacrificio della croce ha riparato l’immenso male del peccato e ci ha ottenuto il dono di una vita nuova. Con questa vita nuova, che è la grazia, Dio
– ci rende suoi amici, cambiandoci da peccatori in santi;

– ci rende capaci di vincere il male e fare il bene;

-ci rende possibile la felicità in questa vita e ci fa eredi della felicità eterna nel Cielo.

Il sacramento della Confessione
 
La grazia della vita nuova, però, non coarta la nostra libertà di scelta, poiché Dio non obbliga nessuno a perseverare nella sua amicizia. Per questo anche il cristiano può disgraziatamente decidere di voltare le spalle al Signore e ripiombare nel male. A questa caduta possono cooperare due fattori:
-l’instancabile opera di seduzione del demonio, che cerca di allontanare l’uomo da Dio;
-la fragilità della nostra natura, segnata dalla concupiscenza che ingigantisce il fascino del male e la fatica del bene.
Al peccatore che si converte, però, Dio offre la possibilità di recuperare la grazia: per questo il nostro Redentore ha istituito il sacramento della penitenza.
Un dono così grande, che ci manifesta la bontà di Dio proprio nel momento in cui mostriamo tutta la nostra miseria, dovrebbe riempirci di gratitudine e spingerci al ricorso ad esso. E in realtà sono tanti i fedeli che, specialmente presso i santuari, ricorrono a questo potentissimo mezzo di grazia.
Ma non di meno, purtroppo, la confessione è da più parti svilita e osteggiata.
 

I “nemici” di questo sacramento
 
È davvero paradossale che un sacramento di cui l’uomo ha tanto bisogno sia oggetto di un così pressante e variegato attacco. Eppure proprio questo accade. Giungono attentati a questo sacramento da tre direzioni: dall’uomo emancipato, dal cristiano riformato, dal cattolico adulto.

1. Nella nostra società, il senso della grandezza di Dio si è ampiamente eclissato, e la confidenza ispirata dal Vangelo verso Colui che comunque resta il Signore dell’universo è degenerata abusivamente in una perdita del senso delle proporzioni tra chi è Dio e chi sono io; di conseguenza anche il giusto senso del peccato ha finito per oscurarsi ed è stato sostituito dal rispetto per un nuovo decalogo, il politicamente corretto, con le sue diramazioni ecologista, pacifista, ecc… In tale contesto è facile sentir dire che la Confessione è il retaggio di un passato moralista, nel quale il clero si serviva di questo strumento per assoggettare la gente. L’uomo emancipato del terzo millennio non si inginocchia più, né alla grata di un confessionale né al-trove: sta in piedi, e non ha nulla di cui scusarsi davanti a Dio; caso mai tocca a Dio (se c’è) rendere conto del proprio operato davanti all’Uomo moderno (sempre più “maiuscolo”!) per come vanno le cose nel mondo.

2. Ma anche i figli della riforma, o i suoi figliastri (avventisti, testimoni di Geova, mormoni, ecc…), che pure non dovrebbero aver perso il senso della misura riguardo a Dio e al peccato, da cinquecento anni lottano senza tregua contro la natura sacramentale della Chiesa e la sua più splendida manifestazione: i sette sacramenti. Certo, la loro somma indignazione è riservata all’Eucaristia, ma anche verso la Confessione non sono teneri. Riguardo ad essa il protestantesimo e i suoi derivati negano che sia stata istituita da Cristo, e di conseguenza che sia mai stata creduta e praticata dagli apostoli e dai primi cristiani; negano che la remissione dei peccati sia legata al ministero sacerdotale e affermano al contrario che i peccati sono da “confessare” a Dio direttamente.

3. Ma persino tra i cattolici la Confessione è in ribasso. L’eclissi del senso di Dio e del peccato ha colpito anche loro. Il più contagiato è il cattolico adulto, che scimmiotta le pose del non credente nel tentativo di vincere il complesso di non essere abbastanza moderno, e snobba con sussiego le verità del proprio catechismo per rincorrere i nuovi dogmi del politicamente corretto. Il cattolico adulto guarda con disagio al sacramento della penitenza perché “il prete è un uomo come me” (come insegna il mondo), e “i miei peccati li discuto direttamente con Dio” (come dice Lutero); sempre ammesso che di peccato si possa ancora parlare. Per molti credenti aggiornati, infatti, l’unico vero peccato è l’indifferenza verso gli emarginati o gli immigrati, a cui logicamente si rimedia più con un adeguato impegno per l’accoglienza, che non frequentando un confessionale. Si capisce allora come la Confessione sia ritenuta da molti ormai superata; tutt’al più, complice qualche prete alla moda, la si può considerare un dialogo tra amici, con un vago sfondo psicologizzante. Pur non condividendo, grazie a Dio, queste posizioni, forse però anche noi siamo influenzati da questo clima; e così, spinti anche dalla naturale ritrosia ad aprici davanti ad un sacerdote, ci ritroviamo in alcune di queste obiezioni. Per consolidare le nostre convinzioni ed essere in grado di rispondere a chi ci chiede conto, vediamo di capire meglio l’origi-ne e il valore di questo sacramento.
 

L’istituzione divina della Confessione
 
Gesù di Nazareth è Dio fatto uomo per riconciliare gli uomini con Dio. Dunque è proprio della sua missione perdonare i peccati (cf. ad esempio Mc 2,3-12).
Dopo la sua risurrezione dai morti, prima di lasciare questo mondo, Gesù comunica questo incarico ai suoi apostoli perché lo esercitino in sua vece: «Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi… Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,21-23). Questo incarico si fonda sul potere delle chiavi, conferito a Pietro (Mt 16,19) e a tutti gli apostoli (Mt 18,18).
Questo potere viene da essi effettivamente esercitato, come ac-cade ad esempio a Corinto, quando l’apostolo Paolo giudica un caso di immoralità e, invocando il potere conferitogli dal Signore Gesù, incarica i presbiteri (sacerdoti) della comunità locale di amministrare la sentenza (1 Cor 5,3-5).
Poiché la Chiesa deve realizzare la sua missione sino alla fine del mondo, è naturale che gli apostoli abbiano a loro volta trasmesso questo incarico ai loro successori, ai vescovi, che lo esercitano personalmente o mediante coloro che con il sacramento dell’Ordine partecipano del loro ministero, cioè i sacerdoti.
 

La pratica della Confessione nei primi secoli cristiani

Questa consapevolezza è chiara sin dalle prime generazioni cristiane. Nella prima metà del III secolo il grande teologo Origene spiega che i peccatori sono incatenati ai loro peccati «sino a quando non li sciolgono, per volere di Gesù, quelli che ne han-no la facoltà» (Omelia su Lazzaro) e chi siano questi è chiaro quando dice: «Il peccatore non deve arrossire quando indica al sacerdote del Signore il suo peccato e ne riceve la medicina» (Omelia sul Levitico).
Intorno al 250 san Cipriano, vescovo di Cartagine, dice che ai peccatori «viene lavata la coscienza con la mano del sacerdote» e li esorta a «confessare ciascuno il proprio delitto … poiché la remissione fatta per mezzo dei sacerdoti è gradita al Signore» (De Lapsis, 16 e 29).
Nella seconda metà del III secolo la Didascalia Apostolorum dà al vescovo questa incombenza: «Imporrai le mani (al peccatore pentito) mentre tutto il popolo prega per lui; quindi lo farai rientrare, restituendogli la comunione della Chiesa. L’imposizione della mano sarà come un secondo battesimo» (II, 41,1).
Nello stesso periodo l’opuscolo Contra Novatianum spiega che il penitente «ottiene la remissione in virtù di Cristo, per mezzo del sacerdote».
Nella prima metà del IV secolo il biografo di sant’Ambrogio ci riferisce che il santo vescovo di Milano «delle colpe che venivano a lui confessate parlava solo a Dio presso cui intercedeva» (Vita di s. Ambrogio, 39).
Poco dopo il vescovo san Basilio parla dei sacerdoti come di coloro che «ricevono dai colpevoli la confessione dei loro segreti, di cui solo Dio è stato testimone» (In Isaia, 10,19).
Nella stessa epoca san Giovanni Crisostomo ammonisce il peccatore: «Ti vergogni di confessare i peccati? Vergognati piuttosto di commetterli» (De Labaro, 4, 4).
È evidente che non ritroviamo in questi antichi testi l’identica disciplina penitenziale dei nostri giorni, poiché nel corso dei secoli si è perfezionata e arricchita; ma vi ritroviamo i medesimi elementi fondamentali: l’esistenza di una prassi di riconciliazione del peccatore nella Chiesa, la mediazione dei ministri sacri che ascoltano e giudicano l’entità della colpa, la riammissione alla comunione ecclesiale dopo un’adeguata espiazione.
 

Attualità della Confessione

 

Dunque la Confessione non è un’invenzione dei preti, ma un dono fatto da Cristo alla sua Chiesa e da essa sempre praticato per il bene delle anime.
Un bene che conserva il suo valore anche nella società moderna. E che ha le sue ragioni, anche antropologiche. Il peccato esiste. E anche l’uomo contemporaneo lo sa, perché ne sente il peso. Che cos’è l’esplosione attuale delle nevrosi e delle ansie se non il frutto del continuo soffocare i rimorsi? Che cos’è l’ondata di buonismo e di filantropia di massa, tipo “Theleton”, se non il surrogato di un rituale di purificazione collettiva? Dunque anche l’uomo di oggi sente che c’è il male in lui. Il rimedio vero non è negarlo o depistarlo, ma consegnarlo a Dio in un rito penitenziale, che infatti il Signore ha “inventato” per noi.
E questo rito ha bisogno del sacerdote. Infatti esso è pacificante solo se comunica la certezza del perdono. Ma perché vi sia tale certezza è necessario che esca dai confini della soggettività, che venga oggettivizzato grazie alla mediazione di uno in carne ed ossa che prenda le mie colpe e le consegni a Dio e prenda il perdono di Dio e lo consegni a me. E infatti chi non si accosta più al confessionale ha bisogno di raccontare la sua vita ad uno psicologo, o ad uno sconosciuto “chattando” in internet. La nostra fede, ancora una volta, ci mostra lo splendore del dono di Dio che appaga pienamente il bisogno dell’uomo.

Dossier: La Confessione

IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 36-38

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