15.12.2024

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Un esame di coscienza

Un esame di coscienza

 


A ottobre inizia un “anno della fede”, indetto da papa Benedetto XVI. Occorre viverlo con consapevolezza e senza dare nulla per scontato. Perché in gioco c’è la vita eterna

È cominciato l’anno della fede, un evento molto importante per la Chiesa e per ogni cristiano. Così è naturale che tutti ne parlino. Consentite, dunque, anche a me qualche modesta riflessione. O forse, più che altro, un piccolo esame di coscienza su alcuni punti.
Per iniziare, possiamo partire da uno dei maggiori pericoli che oggi la fede corre. Così, per esempio, sarebbe bene chiederci se anche noi che ci diciamo cristiani, siamo davvero sicuri di sfuggire del tutto alla tentazione che va per la maggiore e cioè a quella che è stata chiamata, con espressione certamente colorita ma efficace, “la sindrome del supermercato”. Il fatto cioè che, anche in un campo così delicato come è quello che ci pone in relazione con il soprannaturale, spesso prevalga il “fai da te”. Con la conseguenza che l’entrare a far parte di un credo – che nel caso del cristianesimo, è bene sottolinearlo, significa accettare una rivelazione che giunge dall’alto e non una costruzione umana – spesso non viene più vissuto come una adesione umile e disponibile ad in insieme coerente. Un insieme che intende illuminarci e guidarci sulla via della verità e della santità e che, come tale, necessariamente comporta da parte nostra una conversione talvolta faticosa, ma proprio per questo efficace. Tale adesione viene piuttosto vissuta come il frutto di una selezione operata scegliendo all’interno dell’intero pacchetto, proprio come sugli scaffali di un supermercato, ciò che risulta più conforme ai propri gusti e desideri personali e scartando il resto.
Nel caso nostro, ciò potrebbe significare nutrire qualche perplessità sui dogmi cristologici o su quelli mariani e dunque, per esempio, avere grande stima della figura di Gesù come uomo ma dubitare della sua divinità e di conseguenza, dubitare necessariamente di quella sua Risurrezione che sta alla base stessa della nostra fede. Oppure, dubitare della perpetua Verginità di Maria o della sua Immacolata Concezione o della sua gloriosa Assunzione. Aspetti che a taluni sembrano – seguendo l’onda protestante – una enfatizzazione eccessiva e superflua del ruolo della Madre di Gesù. In sintesi, non accettare in tutta la sua estensione e in ogni suo articolo quel Simbolo Apostolico che riassume così efficacemente la nostra fede cattolica.
Forse queste mie supposizioni potranno sembrare eccessive trattandosi di atteggiamenti che pensiamo propri solo degli eretici conclamati e dunque lontani dalla nostra realtà quotidiana. Temo, invece, che essi serpeggino spesso anche là dove sono meno sospettabili. Per allontanarsi, infatti, dalla giusta dottrina in fatto di fede basta anche molto meno. Per esempio, basta anche solo non cogliere in tutta la sua importanza l’unicità e la singolarità del cristianesimo tra le varie religioni. E dunque, considerare il fatto di appartenervi piuttosto un “accidente” dovuto al caso e non invece un grande dono della Provvidenza che ci ha voluti porre all’interno di quella che è la “Verità” su Dio, sull’uomo e sul mondo.
In particolare poi, questo “fai da te” oggi comprende altri due aspetti assai importanti della fede. Il primo è quello morale, nel senso che, per esempio, aderiamo alla dottrina della fede ma poi non condividiamo che in parte le conseguenze che discendono da questa fede e dunque abbiamo opinioni diverse da quelle ufficiali nel campo, per esempio, del matrimonio, dell’aborto, dell’eutanasia, dell’omosessualità e così via. Il secondo aspetto si collega in qualche modo al primo, anzi ne è la causa più importante e riguarda il rapporto che ciascuno di noi ha con la Chiesa. È infatti abbastanza facile oggi trovare, persino all’interno del gruppo sempre più esiguo dei praticanti, chi dice di considerarsi cristiano cattolico, ma di non ritenere per questo necessario aderire totalmente alla Chiesa, cioè accettarne con pienezza quell’autorità, quel carisma di guida che Gesù stesso le ha voluto riconoscere e affidare. Questo atteggiamento può riguardare, come abbiamo già detto, il campo morale, ma anche più in generale tutto l’intero ventaglio della fede. E che si traduce nella pericolosa convinzione – frutto della mentalità dominante in questa nostra cultura che intende spesso in modo erroneo ragione e libertà umane – che ognuno di noi sia benissimo in grado di giudicare da solo, in base al proprio sentire, ciò che è bene e ciò che è male, e di distinguere con chiarezza ciò che è giusto e vero da ciò che è ingannevole e sbagliato. E poiché è possibile che questi atteggiamenti, spesso inconsci, abbiano contaminato in tutto o in parte anche noi, credo sia bene che essi rientrino seriamente in quell’esame di coscienza che stiamo cercando di fare.
Se poi passiamo dagli aspetti per così dire dottrinali della fede ad esaminare la profondità con la quale viviamo questo nostro rapporto con il soprannaturale, molte altre riflessioni si affacciano alla nostra mente. In particolare, due sono forse le domande fondamentali che pensiamo utile porci, domande che anche questa volta si collegano al clima culturale nel quale viviamo e che non può non influenzare la nostra vita e di conseguenza anche la nostra fede. Così, per esempio, sarebbe utile domandarci che posto ciascuno di noi riesca davvero a dare a Dio in un mondo che, ormai praticamente desacralizzato, ci propone sempre e solo come meta principale l’orizzonte terreno. O ancora, qual è il valore e il senso che noi diamo alla Croce di Cristo, partecipi come siamo di una cultura che esalta continuamente il nostro io, che ci pone come obiettivo il massimo del piacere, del successo, della ricchezza.
Non si tratta di risposte semplici, evidentemente. Proprio per questo, credo che possa aiutarci a giungere velocemente al cuore del problema anche solo soffermarci su una tra le tante possibili citazioni evangeliche. Eccola: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Chi accoglie voi accoglie me: e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato… E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,37-40).
Come vediamo, in poche frasi possiamo leggere una sintesi lapidaria, fatta da Gesù stesso, di che cosa sia il cristianesimo. Un testo breve nel quale però credo ci sia già tutto ciò che può aiutarci davvero a riposizionare la nostra fede perché in esso troviamo esplicitato con pochissime parole tutto quello che deve interessarci, cioè il rapporto con Dio, il significato della venuta di Gesù, le conseguenze per la vita di coloro che credono, il rapporto con i fratelli.
Iniziamo da Dio: da quanto dice Gesù, è chiaro che Egli non può non essere il riferimento essenziale della nostra esistenza, ciò che conta più di tutto e di tutti, fossero pure gli amori più preziosi. Non perché Egli sia un padrone esigente, ma perché è quell’assoluto del quale il nostro essere relativo ha bisogno per dare un senso, un ancoraggio alla propria vita. È quell’amore senza limiti su cui fondare, come su una roccia, ogni altro amore, anzi è la garanzia stessa della nostra capacità di amare. Può sembrare, questo, un discorso facile da capire. Eppure, i limiti del peccato delle origini, ma anche il nostro personale, ci fanno spesso resistere a lungo prima di “cedere” a Dio. Così, lottiamo talvolta a lungo, procurandoci infelicità e angoscia, prima di riordinare davvero fino alle radici la nostra vita e di affidarla con decisione a Lui. Così, pur essendo credenti, spesso restiamo aggrappati per anni a quelle malmesse zattere che sono i nostri piccoli progetti, cercando di convincere Dio ad aiutarci senza capire che essi sono spesso degli ostacoli a una unione più profonda e intima con Lui. Con la conseguenza che, magari per una vita intera, la nostra fede può restare tiepida, meschina, calcolatrice e dunque limitata nel suo slancio interiore. Temo che tutti abbiamo qualcosa da rimproverarci al proposito.
Eppure c’è una via privilegiata che può aiutarci a prendere presto il largo per entrare con decisione nel grande oceano dell’amore divino ed è sempre la stessa citazione evangelica a segnalarcela. È quella della Croce. È capire, prendendo a modello Gesù, che c’è un cammino da compiere in questa nostra esistenza. Un cammino di purificazione che non cerca volontariamente il dolore e la sofferenza, ma che nemmeno li esclude perché essi misteriosamente ci trasformano, insegnandoci la vera sapienza. Un cammino lungo il quale a tratti la fede potrà farsi oscura e Dio potrà sembrare lontano, molto lontano. Ma non sarà per sempre e se, con l’aiuto della grazia, riusciremo a perseverare, allora potremo sperimentare davvero ciò che Gesù promette e cioè che: «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà».
È questo un mistero profondo che scandalizza e spaventa molti, ma al quale non possiamo sfuggire se vogliamo dirci cristiani perché esso costituisce il cuore stesso della fede. È un mistero intessuto di dolore ma anche di gioia grande, illimitata, di morte ma anche di vita traboccante. Un mistero che è la chiave di tutto. La chiave della redenzione che il Cristo ci ha portato, ma anche di quella che noi, uniti strettamente a Lui, possiamo contribuire a estendere ai nostri fratelli nella forma di carità più elevata. Di quel «bicchiere di acqua fresca» cui accenna Gesù che noi, anche oggi, possiamo offrire a un mondo che spesso non si accorge nemmeno di essere sul punto di morire di sete.  

 

 

 

IL TIMONE  N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 56 – 57

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