Formato al cattolicesimo dalla madre Mabel, Tolkien è per anni un brillante docente universitario, amico di C.S. Lewis. Sul finire degli anni Trenta esce Lo Hobbit, la fiaba che è all’origine dell’epopea tolkieniana, Il Signore degli Anelli. Pubblicato nel 1954, renderà il suo autore celebre in tutto il mondo
John Ronald Reuel Tolkien, l’uomo che riportò nella letteratura il genere epico, il maestro della fantasia e dell’avventura, ebbe una vita assolutamente normale, tranquilla, dedita al suo lavoro, alla sua famiglia, agli amici, ai suoi interessi culturali. Una vita trascorsa in buona parte nell’Inghilterra profonda, nelle verdi Midlands lontane dal caos urbano. Un’Inghilterra che gli fu sempre particolarmente cara, fin dai più remoti ricordi dell’infanzia, da quando la scoprì con stupore.
Era nato infatti il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, Stato Libero d’Orange, nel Sudafrica allora conteso tra britannici e boeri di origine olandese. Era il primogenito di Arthur e Mabel, nata Suffield. Entrambi i genitori erano inglesi, originari dell’area di Birmingham. Il padre era un funzionario di banca che aveva colto una migliore opportunità di carriera accettando il trasferimento in Sudafrica. Qui, dopo un anno, era stato raggiunto dalla fidanzata Mabel, e i due si erano sposati nella cattedrale anglicana di Città del Capo. La felice vita della famiglia Tolkien durò pochi anni: Arthur si ammalò gravemente e morì, e Mabel decise dunque di ritornare in Inghilterra con John e il fratellino Hilary. La morte del marito l’aveva lasciata in condizioni economiche piuttosto modeste, così andò a vivere con i bambini nel villaggio di Moseley, alla periferia di Birmingham, in una tranquilla località ove sorgeva un antico mulino che per tre secoli aveva macinato il grano: Sarehole. Il piccolo Ronald era finalmente arrivato a casa, e ancora di più ora aveva un piccolo mondo in cui identificarsi, in cui radicarsi. Era un bambino desideroso di conoscere e imparare, e la madre, una donna volitiva, intelligente, dalla grande sensibilità artistica e dal profondo senso religioso, ne divenne volentieri la prima insegnante. Mabel aveva notato che il bambino nutriva un particolare interesse per le lingue, era affascinato dal mistero dei linguaggi, dalle parole e dalla ricerca del loro significato.
Nell’autunno del 1900 il mondo delle ciminiere e delle grandi costruzioni in mattoni rossi prese decisamente il posto, nella vita del piccolo Ronald, del delizioso mondo di Sarehole. Ronald era infatti stato ammesso alla King Edward’s School, la prestigiosa istituzione scolastica che già suo padre aveva frequentato, e che era situata nel centro di Birmingham. La situazione economica famigliare non permetteva le spese dei mezzi di trasporto, così Mabel, a malincuore, decise di trasferirsi in città con i bambini, lasciando il piccolo cottage dove avevano trascorso i giorni difficili ma sereni seguiti alla morte del capofamiglia.
In quell’anno fatidico, un’altra importante decisione era maturata in seno alla piccola famiglia. Mabel aveva sempre avuto una spiccata sensibilità religiosa, che era andata approfondendosi dopo la morte del marito. Questa sua ricerca la fece imbattere con un grande cercatore di Verità, il cardinale John Henry Newman. Fu l’incontro decisivo della sua vita, e con grande sorpresa dei parenti nella primavera Mabel annunciò la sua conversione al cattolicesimo.
John Ronald Tolkien amò subito appassionatamente la fede cui sua madre lo aveva condotto: trovò accoglienza in una Chiesa che era la chiesa dei suoi padri, dei suoi antenati. Questa consapevolezza, questo amore per le proprie antiche radici religiose si manifestò in seguito nell’interesse e nell’amore per il Medioevo, quando l’Inghilterra era cattolica, quando l’intero continente europeo conosceva ancora una unità culturale e spirituale in seguito mai più sperimentata. Da ciò derivò anche quella disapprovazione per il cosiddetto “progresso”, nel nome del quale, dalla Riforma protestante in poi, tanti mali erano venuti. Il prezzo della conversione era stato per i Tolkien la condizione di miseria che ne seguì, e chi ne fece le spese fu Mabel. Nel 1904 fu ricoverata in ospedale, dove le fu riscontrata una grave forma di diabete che nel breve tempo di pochi mesi le fu fatale. Le era impossibile pagarsi le costose cure, e nessuno dei parenti fu disposto ad aiutarla. «Mia madre è stata veramente una martire – scrisse Ronald nove anni dopo – non a tutti Gesù concede di percorrere una strada così facile, per arrivare ai suoi grandi doni, come ha concesso a Hilary e a me, dandoci una madre che si uccise con la fatica e le preoccupazioni p e r a s s i – curarsi che noi crescessimo nella fede».
La morte della madre cambiò definitivamente la vita di Ronald, che ora era un orfano di non ancora tredici anni. Questa tragedia modificò in modo significativo anche il suo carattere, che se rimase sempre improntato alla gentilezza, alla disponibilità all’amicizia, all’amore per le cose belle della vita, acquisì tuttavia una nota di malinconia fondata su un intimo sentimento della caducità delle cose. Il ragazzo orfano venne affidato ad un sacerdote dell’Oratorio di Birmingham, padre Francis Xavier Morgan – un discepolo di Newman – che ne divenne il tutore. Il sacerdote trovò per lui e Hilary una sistemazione in un pensionato vicino all’Oratorio. Qui era ospitata anche una ragazza diciannovenne, anch’essa orfana, di nome Edith Bratt. Aveva tre anni più di Ronald, una giovane decisamente graziosa, piccola di statura, snella, capelli corvini e occhi verdi. Ronald, con la sua serietà, la sua timidezza, i suoi modi garbati e il suo cuore ferito e sognante ne fu presto conquistato. Le loro stanze erano su due piani diversi dell’edificio, e i ragazzi trascorrevano lunghe ore alla finestra a parlarsi, di sera, a volte arrivando a trascorrere l’intera notte in interminabili chiacchierate, fino a vedere sorgere il sole sulla foschia di Birmingham. Erano due ragazzi bisognosi d’affetto, e scoprirono presto di essere innamorati, un amore destinato a durare tutta la vita. Ronald ed Edith si sarebbero sposati nel 1916, quando il brillante giovane ebbe portato a termine i suoi studi a Oxford. Negli anni a seguire, il loro amore sarebbe stato allietato dalla nascita di quattro figli: John – che sarebbe diventato sacerdote – Michael, Priscilla e Christopher, che anni dopo sarebbe diventato collaboratore del padre nell’elaborazione dell’ampia produzione di storie e racconti, e avrebbe editato postumo il Silmarillion.
Accanto alla vita famigliare, e alla brillante carriera universitaria intrapresa prima a Leeds e quindi a Oxford, la sua Alma Mater, per Tolkien ebbero sempre grande importanza le relazioni di amicizia, tra cui la più bella e importante fu quella con C.S. Lewis, il futuro autore delle Cronache di Narnia, che Tolkien trasse dall’ateismo militante alla conversione al Cristianesimo, anche se – con suo grande dispiacere – Lewis non volle o non seppe fare mai il passo decisivo dell’ingresso nella Chiesa Cattolica. Con Lewis e altri amici diede vita ad uno straordinario sodalizio umano, un gruppo di entusiasti appassionati di miti, di leggende, e di Cristianesimo, che si denominarono Inklings. Alla fine degli anni ’30 Tolkien pubblicò una fiaba, Lo Hobbit, attraverso la quale faceva capolino parte di quel mondo incantato che da anni la sua fervida immaginazione stava elaborando. Il libro ebbe uno straordinario successo, e l’editore chiese immediatamente un seguito. Tolkien fece molto di più: ci vollero anni di lavoro, che coincisero anche con le ristrettezze della guerra, ma alla fine, nel 1954, apparve Il Signore degli Anelli, uno dei più grandi capolavori della letteratura. Il successo non sconvolse la vita del professore di Oxford, semplicemente lo stupì, come lo stupì il fatto di essere diventato un maestro per una generazione che di maestri autentici ne aveva disperatamente bisogno. Si spense serenamente nel settembre del 1973 mentre milioni di lettori in tutto il mondo si commuovevano alla lettura del suo capolavoro. Volle essere sepolto nella sua Oxford, insieme all’amata Edith, e sulla loro tomba Fantasy e Vangelo si intrecciano, perché vi si possono leggere i loro nomi, e quelli di Luthien e Beren, gli eroi di una delle più belle storie del Silmarillion.
IL SIGNORE DEGLI ANELLI
John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) ha impiegato decenni a scrivere Il Signore degli Anelli, la cui prima edizione inglese risale al 1954-1955 mentre in italiano – oggi è pubblicato da Bompiani – fu tradotto per la prima volta nel 1970.
Si tratta di un romanzo di genere epico che letterariamente utilizza diversi materiali mitologici precristiani, pure riletti alla luce della spiritualità cattolica.
Ambientato nel continente immaginario della Terra di Mezzo e alla fine della Terza Era di un tempo altrettanto immaginario, narra della missione pericolosa e decisiva affidata ai nove membri della Compagnia dell’Anello, rappresentanti dei Popoli Liberi che si oppongo al potere demoniaco di Sauron. Questo spirito malvagio mira infatti a soggiogare l’intero mondo servendosi dell’Unico Anello: Sauron, consunto nel fisico dalla propria malvagità, lo forgiò con l’inganno nella Seconda Era, poi lo perdette e ora ne brama spasmodicamente il potere cercandolo ovunque. L’Anello, del resto, simbolo della tentazione suprema e del male assoluto, non può essere utilizzato per il bene e può solo essere distrutto nelle voragini del Monte Fato dalle cui fiamme fu tratto. Distrutto così l’Anello, anche Sauron allora cadrà.
Della missione s’incarica il piccolo Frodo Baggins, del popolo degli hobbit (stirpe umile e coraggiosa, imparentata con gli uomini), alla testa della Compagnia dell’Anello. Gli altri membri sono il “mago” Gandalf il grigio, l’uomo Boromir, il nano Gimli, l’elfo silvano Legolas, gli hobbit Samwise Gamgee – suo sincero amico e “attendente” –, Meriadoc “Merry” Brandibuc e Peregrino “Pipino” Tuc, nonché Aragorn, l’ultimo erede del casato spodestato di Gondor. Il suo avo Isildur cadde anticamente vittima del potere dell’Anello dopo averlo strappato in battaglia a Sauron e così, mentre questi ne cerca le tracce coadiuvato dai suoi servi – gli Orchi e i Nove Spettri dell’Anello che un tempo furono grandi re tra gli uomini –, Aragorn cerca il riscatto della propria stirpe, la restaurazione del trono perduto e la salvezza dell’intera Terra di Mezzo.
Il viaggio verso il Monte Fato, il solo luogo dove l’anello può essere definitivamente distrutto, si compie al limite dell’umanamente possibile, irto di pericoli e di nemici, di tradimenti e d’inganni, ma anche confortato dalla costante presenza di – osservava Tolkien – Colui che nella storia non è mai nominato ma è sempre presente. Sarà infatti solo la sublime delicatezza della Provvidenza che consentirà a Frodo e a Samwise di propiziare il gesto finale di tutta la storia, che nell’economia del romanzo suggella la vicenda umana intera. Rinunciare al male dell’Anello per guadagnare la salvezza di sé e del mondo intero. (Marco Respinti)
Dossier:
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TOLKIEN E IL SIGNORE DEGLI ANELLI
IL TIMONE N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 36 – 38