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15.12.2024

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Un Paese troppo «Maduro»
2 Aprile 2014

Un Paese troppo «Maduro»

Povertà dilagante, inflazione alle stelle, criminalità senza freni. Dilaga la protesta nelle piazze e il nuovo presidente Maduro è sempre più in difficoltà. Il Venezuela sta facendo i conti con 15 anni di “chavismo”, ma l’Occidente che adora “il socialismo del XXI secolo” fa finta di non vedere

Questa volta c’è la crisi dell’Ucraina a fare da scusa. Con un conflitto grave sull’uscio di casa, che potrebbe degenerare in guerra aperta con la Russia, è anche comprensibile che si sia un po’ più distratti rispetto a quel che accade in America Latina, e precisamente in Venezuela. Anche lì manifestazioni di piazza, scontri, mano dura dell’esercito e delle milizie governative, morti e feriti. Ma, appunto, preoccupati per l’Ucraina non abbiamo tempo di pensare al Venezuela.
Senonché, anche questa è l’ennesima scusa per non vedere il fallimento di una ideologia che da noi – e non solo da noi – ha sempre buona stampa, un grande seguito tra politici, intellettuali e anche tra il “popolo” della sinistra. Personalmente sono sempre rimasto stupito quando alle Conferenze internazionali dell’Onu una variegata platea di diplomatici e uomini di governo di tutto il mondo regalavano scandalose standing ovation al dittatore cubano Fidel Castro dopo i suoi infiammati discorsi in cui riversava ogni genere di menzogna e insulto sui Paesi che rappresentavano. Materia da psicanalisti più che da analisti politici. E Hugo Chavez, in Venezuela, ha giocato a fare il “piccolo Castro”, stringendo immediata alleanza con Fidel sin dalla sua ascesa al potere nel 1999 e poi rafforzando questo asse dal punto di vista economico, militare e geopolitico. E la solita platea giù ad applaudire. “Il socialismo del XXI secolo”, “la Rivoluzione bolivariana”, sono definizioni di sicuro successo nell’opinione pubblica non solo occidentale. Solo che con il passare degli anni nascondere il fallimento, magari dando sempre la colpa agli Stati Uniti e alle cattive multinazionali, diventa sempre più difficile e imbarazzante. Allora si fa finta di non vedere, ci si nasconde dietro alla complessità degli eventi, i gruppi violenti che ci sono in entrambi i fronti. È vero, quest’ultimo dato, e anche la Chiesa cattolica in Venezuela chiede a tutti di cessare le violenze, preoccupata che la situazione possa finire in una guerra civile che distruggerebbe tutto; ma la Chiesa è da anni in prima linea nel denunciare il “chavismo” e le politiche repressive e l’impoverimento della popolazione che Chavez prima e ora il suo successore Nicolas Maduro (salito al potere giusto un anno fa) hanno portato. E per questo la Chiesa paga la sua parte: anche nelle ultime settimane «alcune chiese che si trovano nei luoghi dove la conflittualità è stata alta, sono state attaccate da gruppi violenti», anche «in piena messa», come ha riferito monsignor Victor Hugo Basabe, sottosegretario della Conferenza episcopale venezuelana. Protagonisti di queste violenze sono gruppi paramilitari, coperti dalle forze di sicurezza, che scorazzano nelle città dove più forte è la protesta contro Maduro per intimidire e terrorizzare. Anche in chiesa: irruzioni durante le messe ci sono state a Mérida e nella diocesi di Maracay, più tanti altri gesti di vandalismo, inclusa la profanazione di tabernacoli.
Se possibile, con il presidente Maduro le cose stanno andando anche peggio: mancando del carisma di Chavez, deve anche affermare la propria leadership all’interno della ristretta cerchia dei chavisti e tende quindi ad assumere posizioni sempre più dure e radicali, anche perché la situazione generale del Venezuela, dopo 15 anni di “cura Chavez”, sta rapidamente peggiorando. Poche cifre spiegano la situazione: l’inflazione che già nel 2009 aveva raggiunto il 25% ora addirittura è al 60%; non si trovano più nemmeno i generi di prima necessità e la corruzione è a livelli senza precedenti. E questo accade in uno dei Paesi più ricchi di risorse: il Venezuela è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, ma ha anche abbondanti riserve di minerali, come bauxite, carbone, oro. La sicurezza poi è una chimera; non solo c’è la repressione e la rigida censura contro ogni forma di opposizione, ma la criminalità la fa da padrona: solo nel 2013 ci sono stati circa 24mila omicidi, uno ogni 20 minuti, vivere nel Venezuela di Chavez e Maduro è di fatto una guerra quotidiana.
E non è un caso che sia stato proprio l’ennesima aggressione contro una studentessa a Tàchira, vicino al confine con la Colombia, ad aver dato il via alle proteste. Hanno cominciato i compagni di università della studentessa a scendere in strada, poi la protesta si è estesa agli studenti di Mérida e poi via via nelle principali città. E agli studenti si sono unite altre fasce di popolazione in un crescendo di frustrazione e rabbia contro il presidente Maduro. A Caracas alla fine sono state centinaia di migliaia le persone scese in piazza, senza però un programma o una leadership ben definita. È anzitutto espressione di un profondo malessere: i giovani non hanno un futuro, il ceto medio e i piccoli imprenditori sono sempre più condannati all’impoverimento da una politica di nazionalizzazione dell’economia che mortifica ogni ambizione di sviluppo, e inoltre diventano il capro espiatorio di un Maduro che nell’attacco virulento ai “borghesi nemici del popolo” cerca la giustificazione per i suoi fallimenti.
Maduro però può ancora contare su una base popolare costituita da quell’ampia fascia dei poveri che in qualche modo è stata beneficiata dalla politica economica chavista, che ha creato una massa di dipendenti pubblici a cui è garantito il minimo per vivere. E qui certo c’è anche l’incapacità di chi ha preceduto Chavez che non ha saputo mettere a frutto i vantaggi dell’impennata dei prezzi del petrolio negli anni ’70, così che il successivo crollo dei prezzi ha avuto ripercussioni gravi su ampie fasce della popolazione. Ma come in ogni esperimento socialista che si rispetti, a fronte del minimo garantito per tanti che ora costituiscono la base elettorale di Maduro, il chavismo ha distrutto il ceto medio e la classe imprenditoriale che costituivano comunque una speranza di sviluppo per il Paese. Così il chavismo ha anche creato due popoli che ormai hanno poco a che spartire l’uno con l’altro, anzi hanno interessi contrastanti. Così, alle folle che scendono in piazza per protesta contro Maduro, si contrappongono anche manifestazioni chaviste di chi ha paura di perdere quel minimo che il governo assicura. Si tratta della classica politica del “divide et impera” che ha permesso a Chavez di rafforzare il suo potere, ma oggi questo si potrebbe ritorcere contro il suo successore. Se il processo di impoverimento continuerà a questo ritmo, anche la massa di sovvenzionati statali passerà facilmente dalla povertà alla miseria, e allora per Maduro tenere il controllo del Venezuela potrebbe diventare impossibile. Tanto più che deve guardarsi anche all’interno della ristretta cerchia di potere. Un allarme è dato dal fatto che è stato segnalato l’arrivo di militari cubani per aiutare a mantenere il controllo della situazione: la cooperazione militare con L’Avana non è una novità, ma in questa situazione lo sbarco di truppe cubane sta a indicare che ci sono quantomeno forti dubbi sulla fedeltà dell’esercito al presidente.

IL TIMONE – Aprile  2014 (pag. 18 – 19)           

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