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12.12.2024

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Un ragazzo martire: Rolando Rivi
31 Gennaio 2014

Un ragazzo martire: Rolando Rivi

 

Il suo papà, a distanza di molti anni, lo chiamava ancora” il mio pretino tanto buono e studioso” e si commuoveva fino alle lacrime a parlare di lui. Il “pretino” si chiamava Rolando Rivi ed era nato il 7 gennaio 1931 a S. Valentino di Castellarano (Reggio Emilia), figlio di Roberto Rivi e di Albertina Canovi, agricoltori ricchi di fede. C’era tanta neve all’intorno, in quei giorni, e nella sua casa di campagna sulla collina del “Poggiolo” ci fu festa umile e lieta.
Nella sua famiglia, c’era vita cristiana intensa e lui crebbe respirando questo clima colmo di Dio: assai vivace, imparò presto a camminare e guai a chi voleva prenderlo in braccio, divertito più che mai a muoversi da solo, spiegando: “lo cammino da me”.

Un simpatico bambino
Intelligente, volitivo, allegro, dai genitori imparò prestissimo a conoscere Gesù e ad amarlo. Sua nonna, Anna, di grande fede, era solita dire di lui: “Diventerà o un gran mascalzone o un santo”.
Aveva il cuore grande e buono e il sorriso aperto; era incapace di sopportare ingiustizie, ma piuttosto abile a farsi perdonare le marachelle.
A scuola, ebbe la fortuna di incontrare come insegnante la maestra Clotilde Selmi, donna dalla Comunione eucaristica quotidiana e tutta dedita alla sua missione di educatrice. Rolando, a cinque anni, già serviva Messa al suo parroco don Olinto Marocchini. Era dei migliori e al catechismo ascoltava attento le sue spiegazioni: Dio stesso lo affascinava dentro.
Il 16 giugno 1938, festa del Corpus Domini, pieno di gioia, ricevette Gesù nella prima Comunione.
Da quel giorno, guidato da don Olinto, imparò a vivere la vita” a due con Gesù”: quotidianamente si recava in chiesa a trovare il suo Signore e a colloquiare cuore a cuore con Lui. Il 24 giugno 1940, da Mons. Eduardo Bretoni, vescovo di Reggio Emilia, fu segnato con la Cresima, apprendendo che ora toccava anche a lui essere testimone di Gesù.
Cominciò ad accostarsi settimanalmente alla confessione: ogni mattina si alzava presto per partecipare alla Messa. Alla Messa e al catechismo portava i suoi compagni: “Vieni, Gesù ci aspetta, Gesù lo vuole!”. Il sacerdote all’altare, celebrando la Messa, gli appariva grande da toccare il Cielo: “Perché – si domandava – non posso essere anch’io come lui?”. Era lieto di accogliere i poveri che si presentavano alla porta di casa sua. A chi gli faceva notare di avere dato troppo rispondeva: “La carità non impoverisce nessuno. Ogni povero rappresenta Gesù”.
Con i genitori, più che obbedir loro, preveniva i loro desideri. Capiva le necessità dei compagni, prima di esserne richiesto: “Vuoi giocare?”, domandava. E si giocava allegramente. Poi: “Andiamo tutti insieme da Gesù!” e trascinava molti di loro presso il tabernacolo.
Imparò ad amare la Madonna e ad affidarsi a Lei: “È la nostra Mamma che pensa a tutto”. Ogni giorno, da solo e con i suoi, la pregava con il Rosario.
Finì le elementari in modo brillante. La maestra, a molti anni da quei giorni, ricorderà “i suoi occhi vivi, espressivi, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria”.

Seminarista
Nell’estate del 1942, disse ai suoi: “Voglio farmi prete, per salvare tante anime. Poi partirò missionario per far conoscere Gesù”. All’inizio di ottobre, entrò nel seminario di Marola (Carpiteti-Reggio Emilia). Secondo le buone consuetudini del tempo, vestì subito l’abito talare, portandolo con fierezza, dignità e amore. Si distinse per l’impegno nello studio, per la bontà verso tutti, per l’affezione grande a Gesù che trapelava dalla sua gioia inesauribile. Accettava i sacrifici senza brontolare: “Tutto per Gesù che mi ama e mi vuole sacerdote”.
Durante le vacanze in famiglia a S. Valentino, continuava a far vita da seminarista: la Messa e la Comunione quotidiana al mattino, con la meditazione, la visita a Gesù sacramentato alla sera, con il Rosario alla Madonna. Anche in vacanza portava il suo abito religioso, spiegando: “È il segno che io sono di Gesù”. In chiesa suonava l’harmonium, accompagnando i cantori, tra i quali suo papà, che dirà: “lo ero fiero di cantare con il mio bambino, che si preparava, assai convinto, a diventare un altro-Gesù nel sacerdozio… andavamo poi nei campi insieme, cantando il Magnificat, la Salve Regina, le litanie della Madonna. Era davvero una gioia stare con lui”.
Aveva ascendente sui compagni. Lo si vedeva circondato da piccoli amici con i quali il discorso era caldo di fede e di amore. Finita la seconda media, nell’estate 1944, purtroppo il seminario, occupato da truppe tedesche, fu chiuso. Rolando tornò a S. Valentino e continuò a studiare da solo, perché la meta gli era sempre davanti: diventare un prete preparato e santo.

Il sangue per Gesù
Il momento era difficilissimo, da perdere non solo la vocazione, ma anche la fede. Vi erano scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani, l’un contro l’altro armati. Dilagava, nella sua terra, per l’azione del comunismo, un clima di odio alla Chiesa e ai preti. Rolando pregava per la pace e sognava di rientrare presto in seminario. Con i suoi amici seminaristi del paese ripeteva: “Quando sarò prete, partirò missionario a portare Gesù a molti”.
Un giorno, in una discussione in cui alcuni comunisti attaccavano ingiustamente la Chiesa e l’opera dei sacerdoti, Rolando, fronte alta, difese Gesù, la Chiesa e i sacerdoti. Non temeva né derisioni né insulti – che non manca vano – segnato a dito per la sua fede, il suo coraggio, per l’abito che continuava a portare, senza toglierselo mai, come segno della sua scelta di vita, anche se era rischioso indossarlo in quel momento.
Il 10 aprile 1945, dopo essere stato a Messa e aver ricevuto la Comunione, Rolando esce di casa con un libro per studiare all’aperto. A mezzogiorno, i genitori, non vedendolo tornare, lo cercano ma trovano un biglietto: “Non cercatelo, viene un momento con noi partigiani”. Il papà e il cappellano di S. Valentino partono alla sua ricerca.
Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro base. Lì, poiché è “un futuro ragno nero” (cioè un futuro prete), lo processano come colpevole di seguire Gesù Cristo. Lo spogliano della veste talare, che li irrita troppo, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano.
Quindi, facendo prevalere l’odio al prete sull’umana pietà, lo portano in un bosco presso Piane di Monchio (MO). Scavata la fossa, mentre Rolando è in ginocchio e prega per sé, per i suoi genitori, forse per i suoi stessi aguzzini, questi lo prendono a calci, poi lo uccidono con due colpi di rivoltella al cuore e alla fronte. La veste da prete diventa, nelle mani dei comunisti, un “pallone” da calciare e poi viene appesa come trofeo di scherno sotto il porticato di una fattoria vicina.
È il 13 aprile 1945, un venerdì come quando Gesù si immolò sulla croce. Rolando Rivi ha soltanto 14 anni.
L’indomani, suo padre e il cappellano ritrovano il corpo martoriato. Sepolto provvisoriamente a Monchio, un mese dopo torna a S. Valentino, in mezzo alla sua gente che guarda a lui come a un piccolo angelo: Rolando, della razza di S. Tarcisio, di S. Pancrazio e di S. Agnese, dei ragazzi eroici sacrificati dai senza-Dio in Russia, Messico e Spagna.
Dal 29 giugno 1997, Rolando riposa nella sua chiesa parrocchiale a S. Valentino di Castellarano e la sua tomba è meta di pellegrinaggio e luogo di preghiera. Con la sua vita e il suo sangue, anch’egli ha dichiarato: “Quanto ho di più caro al mondo è Cristo e tutto ciò che viene da Lui”.
La sua figura è ormai nota molto lontano e si parla con fondamento di grazie e di celesti favori ottenuti da Dio per la sua intercessione.

 



IL TIMONE N. 25 – ANNO V – Maggio/Giugno 2003 – pag. 58 – 59

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