Lo straordinario miracolo attribuito all’intercessione di Juan Diego, il veggente di Guadalupe.
Un giovane resta in vita dopo una caduta da dieci metri. I medici lo davano per spacciato.
Sin dall’adolescenza il messicano Juan José Barragan Silva aveva cominciato a sperimentare il disagio esistenziale che attanaglia tanti suoi coetanei e li spinge nella spirale della tossicodipendenza. La ricerca di un punto d’appoggio nel padre, che lo aveva abbandonato quand’era bambino per formarsi una nuova famiglia negli Stati Uniti, si era rivelata infruttuosa e un paio d’anni di vagabondaggio nell’America del Nord avevano dato il colpo di grazia a ogni sua speranza. L’unica opportunità era così stata quella di tornare a Città del Messico, dalla mamma Esperanza Silva Pacheco, trascorrendo le giornate nella ricerca di un po’ di droga e di alcool, per annegare nell’oblio il pessimismo a riguardo del futuro.
Il 3 maggio 1990 Juan José, che da due mesi esatti aveva compiuto vent’anni, era uscito di casa all’alba per accompagnare al mercato la madre, la quale aveva notato in lui molto nervosismo. Mamma Esperanza si era poi recata al lavoro e il giovane aveva raggiunto un amico, per passare insieme qualche ora a bere birra e fumare marijuana. Al rientro a casa, verso le 18, Juan José appariva ubriaco e alterato. Si avvicinò alla tavola sulla quale era pronta la cena, afferrò un coltello e cominciò a colpirsi la testa. La madre lottò per strapparglielo di mano, ma non ci riuscì. Le urla del giovane, che gridava «voglio farla ?nita, non voglio più vivere», risuonarono nel palazzo, insieme con le invocazioni d’aiuto della signora Esperanza. I vicini accorsero, ma la porta d’ingresso era chiusa e non poterono entrare.
Intanto Juan José si scrollò di dosso la mamma che cercava di bloccarlo, corse verso il balcone e si gettò a tuffo dal secondo piano verso la strada. In quei concitati momenti, Esperanza ebbe come un ?ash, ricordandosi che tre giorni più tardi, il 6 maggio 1990, papa Giovanni Paolo II sarebbe giunto in Messico per la lettura del decreto di beati?cazione di Juan Diego, il veggente di Guadalupe: «Mi rivolsi a Dio e gli dissi: “Ti af?do mio ?glio”. E poi pensai a Juan Diego, chiedendogli di intercedere per questo miracolo, e invocai anche la protezione della Madonna».
Juan Diego è il povero indio al quale, nel dicembre del 1531, apparve la Madonna sulla collina del Tepeyac, a Guadalupe, chiedendogli di far costruire su quel luogo un santuario. L’uomo si recò dal vescovo diocesano Juan de Zumárraga, ma non venne creduto. Il 12 dicembre l’indio raccolse delle rose di Castiglia, che in quella stagione non potevano assolutamente crescere, e le portò al vescovo come prova. Nel momento in cui aprì il mantello per mostrare i ?ori a monsignor Zumárraga, sul tessuto apparve prodigiosamente l’immagine della Madonna. La fama della santità di Juan Diego, morto nel 1548, si è mantenuta salda nei secoli, tanto da consentire a Giovanni Paolo II di confermarne il culto, nel 1992, e di canonizzarlo nel 2002, dopo il riconoscimento di questo evento miracoloso.
Mentre mamma Esperanza invocava il beato e Juan José precipitava da un’altezza di 8-10 metri, ai piedi del palazzo si trovava un suo amico, Jesús Alfredo Velázquez Ramírez, che lo vide piombare di testa, senza neanche tentare istintivamente di proteggersi con le braccia, sul cemento della strada: «Accorsero altre persone e una di loro gli posò addosso una coperta, perché tutti pensavamo che fosse morto sul colpo: gli usciva molto sangue dalla bocca, dalle orecchie e dal naso. Ma improvvisamente si mise seduto e si posò la coperta sulle spalle, come un mantello. Poi si alzò e si diresse verso l’ingresso del palazzo, sedendosi nuovamente su uno scalino».
Qui lo raggiunse la mamma, che dopo essersi affacciata dal balcone per rendersi conto dell’accaduto, aveva fatto un’affannosa corsa per le scale. Nel frattempo era stata chiamata un’ambulanza, che arrivò in una decina di minuti e trasportò Juan José al Sanatorio Durango, dove fu registrato il suo arrivo alle ore 18.30. La prognosi dei medici fu molto pessimistica: nella migliore delle ipotesi, dissero alla mamma, il giovane sarebbe rimasto completamente paralizzato. D’altronde per loro era già incomprensibile che fosse rimasto in vita, in quanto, come spiegò durante l’inchiesta ecclesiastica il dottor Juan Homero Hernández Illescas, direttore sanitario dell’ospedale, «una caduta come questa è necessariamente mortale».
Vennero immediatamente effettuati gli accertamenti radiologici, che evidenziarono una frattura cranica estesa dall’orbita destra sino al clivus, con la formazione di un vasto ematoma nella regione temporoparietale destra, emorragie subaracnoidee e pneumoencefalo. Inspiegabilmente, come hanno sottolineato diversi referti redatti da medici di fama, non si presentarono traumi della colonna cervicale – che avrebbero provocato la morte immediata del giovane, o almeno una paralisi più o meno completa – e altre lesioni del torace, del bacino e degli organi interni.
Infatti, secondo la perizia dell’ingegner Hugo Acevedo, l’impatto avvenne nella regione cranio facciale destra, con una inclinazione di 70 gradi, e sviluppò una pressione di circa due tonnellate: pertanto, si legge nel giudizio medico-legale del professor Franco De Rosa, «è impensabile che non si sia veri?cata la morte istantanea, secondaria a frattura della colonna cervicale». Inoltre, come ha aggiunto il professor Luigi Macchiarelli, anche «la frattura cranica del clivus non è compatibile con la permanenza in vita del traumatizzato». I pochissimi che sopravvivono «riportano e permangono con lesioni invalidanti e, al 100 per cento, con gravi lesioni alle pareti del cranio».
Dopo soli sei giorni di terapia intensiva, Juan José venne trasferito nel reparto di normale degenza, dal quale venne dimesso dopo altri quattro giorni. Le successive indagini radiologiche misero in luce una frattura della 2a vertebra cerebrale, della quale in precedenza i medici non si erano accorti, che da sola avrebbe dovuto provocare lesioni permanenti a carico delle funzioni cerebrali. E invece i test neurologici e le visite specialistiche hanno confermato negli anni la perfetta guarigione del giovane, che intanto abbandonò la droga e si rimise a studiare per imparare un mestiere.
BIBLIOGRAFIA
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Claudio Perfetti, La Madonna di Guadalupe, San Paolo 1997.
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Alessandro Crespi, Il poema di Maria, Signora di Guadalupe, Elle Di Ci 2001.
Giulio Dante Guerra, La Madonna di Guadalupe, Cristianità 1992.
IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 50 – 51