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13.12.2024

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“Una Chiesa per i poveri”
31 Gennaio 2014

“Una Chiesa per i poveri”


Papa Francesco non promuove il pauperismo. Occorre piuttosto praticare un distacco interiore da ogni ricchezza mondana, sia materiale sia immateriale. Perché se l’aspirazione al benessere è legittima, bisogna indirizzare il cuore verso i beni eterni. La povertà peggiore è la mancanza di Cristo

Il messaggio evangelico sulla povertà caratterizza la vita e la predicazione cristiana sin dai suoi inizi. Tutto il Vangelo richiama l’uomo al distacco dai beni di questo mondo come condizione per mettersi alla sequela di Cristo: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33), e: «Beati voi poveri perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20).

Povertà come distacco interiore

Certo, il senso della sentenza riportata nel Vangelo di Luca non deve essere inteso come obbligo a vivere in una condizione di povertà “effettiva”, cioè in una condizione di privazione di ogni possesso; la scelta della povertà effettiva è un invito, non un precetto: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi » (Mt 19,21).
Tuttavia, chi vuole essere discepolo di Gesù deve praticare obbligatoriamente la rinuncia ai beni di questo mondo vivendo in una condizione di povertà “affettiva”, cioè di distacco interiore da ogni ricchezza mondana, sia materiale (come il denaro) sia immateriale (come la fama o il potere).
Come ogni virtù, anche la povertà consiste più in un atteggiamento interiore che in una condizione di fatto: si può vivere nell’indigenza e avere il cuore pieno d’invidia per i beni altrui, o, al contrario, si può rinunciare alla ricchezza nutrendo sentimenti d’orgoglio e disprezzo verso chi non è capace di simili slanci sublimi ed eroici.

Prima di tutto la vita eterna
La povertà dello spirito è un orientamento dell’anima da esercitare nella vita quotidiana; esso consiste nell’indirizzare il cuore verso i beni eterni, ridimensionando l’attrattiva di quelli visibili e trasformando – quando la fede, la speranza e la carità lo suggeriscono – il distacco affettivo in rinuncia effettiva, praticata in armonia con la propria condizione di vita.
Anche la ragione naturale, coltivata con impegno e rettitudine, può rivelarsi un’alleata efficace nel liberare il cuore dalla seduzione delle ricchezze: la ragione mostra infatti che i beni maggiori come l’amore, la gioia e la pace non possono essere acquistati col denaro, e che, quando si muore, non è possibile portare con sé quanto si possiede. La legittima aspirazione naturale al benessere materiale non deve mai arrivare a scambiare i mezzi con i fini: se l’uomo vive per accumulare ricchezze o per ottenere fama e potere, insegue come fine della vita ciò che è un semplice mezzo, cadendo così nell’idolatria.
Nell’enciclica Lumen Fidei (in gran parte preparata da Benedetto XVI), Papa Francesco insegna che l’idolatra è chi pone se stesso al centro della realtà, sostituendo a Dio la molteplicità dei propri desideri; l’idolatria «è sempre politeismo […]. Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gridano “affidati a me”. La fede, in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale» (§ 13).

La Chiesa dei poveri

In questo senso si può dire che la Chiesa di Gesù è la Chiesa dei poveri, di coloro cioè che mettono Dio al centro della vita, rinnegando se stessi.
Ma la Chiesa è Chiesa dei poveri anche nel senso che «L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. A loro è annunciato per primi il lieto messaggio che Dio li ama con predilezione e viene a visitarli attraverso le opere di carità che i discepoli di Cristo compiono in suo nome».

Le periferie esistenziali
Oltre alla povertà economico-sociale, papa Francesco ricorda l’indigenza delle “periferie spirituali”, abitate da persone «che vivono senza speranza, e sono immerse in una profonda tristezza da cui cercano di uscire credendo di trovare la felicità nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo, nel potere del denaro, nella sessualità senza regole […]. Ma si ritrovano ancora più delusi e talvolta sfogano la loro rabbia verso la vita con comportamenti violenti e indegni dell’uomo». (Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, 17 giugno 2013). L’indigenza della disperazione è legata a un’altra, e diversa, «povertà spirituale che attanaglia l’uomo contemporaneo », quella di chi non conosce l’amore, la verità e la giustizia: «Siamo poveri di amore, assetati di verità e giustizia» e «la povertà più grande […] è la mancanza di Cristo» (Messaggio in occasione del XXXIV Meeting per l’amicizia tra i popoli a Rimini, 18-24 agosto 2013).

Non è pauperismo
Richiamando i cristiani alla povertà spirituale insegnata da Cristo e indicando nei poveri i primi destinatari dell’annuncio evangelico, Papa Francesco traccia la rotta della Chiesa odierna. Una rotta che deve essere seguita senza fraintendimenti: «Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti, o una sorta di “barboni spirituali”! No, no, non significa questo! Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza» (Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, 17.6.2013).
Dunque, l’andare verso i poveri della Chiesa non significa “diventare pauperisti”. Nei secoli passati la Chiesa ha conosciuto diverse forme di pauperismo: dai movimenti ereticali del medioevo, alla disputa sulla povertà sorta in seno al francescanesimo nel XIV secolo.

La distanza dalla teologia della liberazione
Con l’espressione «Chiesa dei poveri» non si deve neppure intendere l’identificazione della Chiesa con una classe sociale o con uno strumento della lotta di classe; a questo proposito la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede con l’Istruzione su alcuni aspetti della Teologia della liberazione (6 agosto 1984, cap. IX, 10) mette in guardia sulla confusione tra Chiesa dei poveri e chiesa di classe: «le “teologie della liberazione”, che pure hanno il merito di avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il povero della Scrittura e il proletariato di Marx. In questo modo il significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta delle classi. La Chiesa dei poveri significa allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa liberazione nella sua liturgia».
La povertà insegnata dalla Chiesa è quella delle beatitudini, essa sollecita la condivisione dei beni spirituali e materiali, non per costrizione, ma per amore, perché l’abbondanza degli uni supplisca all’indigenza degli altri.


Ricorda

«La povertà più grande, infatti, è la mancanza di Cristo, e finché non porteremo Gesù agli uomini avremo fatto per loro sempre troppo poco».
(Papa Francesco, Messaggio in occasione del XXXIV Meeting per l’amicizia tra i popoli a Rimini, 18-24 agosto 2013, www.vatican.va).


Per saperne di più…

Congregazione per la Dottrina della Fede, Libertatis Nuntius. Istruzione su alcuni aspetti della “Teologia della Liberazione”, 6 agosto 1984, www.vatican.va
Congregazione per la Dottrina della Fede, Libertatis Conscientia. Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, 22 marzo 1986, www.vatican.va

IL TIMONE n. 128 – Anno XV – Dicembre 2013 – pag. 32 – 33
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