Un esempio collettivo di fedeltà a Cristo dei soldati della celebre Legione Tebea. Fedeli all’imperatore ma prima di tutto servi di Cristo. A costo della vita
Nella storia della Chiesa capita spesso di imbattersi in uno strano fenomeno dialettico: tesi, antitesi e sintesi. La tesi è, di solito, una pia leggenda, arricchita di particolari favolosi ma adeguata ai tempi in cui venne diffusa. L’antitesi è la confutazione della pia leggenda e, di solito, si risolve nella demolizione di quanto, per secoli, è stato oggetto di devozione; poi, però, arriva la sintesi, frutto dell’apologetica che, pur tagliando e sfrondando, spesso riporta la Storia e le storie a una loro vivezza e contemporaneità, più commoventi e umane dell’antica leggenda.
I fatti
È il caso dei legionari tebei comandati da san Maurizio e glorificati per secoli come esempio di santità militare. È obbiettivamente difficile ricostruire che cosa sia esattamente accaduto ad Agaunum, l’attuale Saint Maurice en Valais, nel settembre del 295, anche perché le stesse versioni agiografiche divergono fra loro e sono distanti nel tempo. Si tratta, in definitiva, di un martirio collettivo, subito da una legione romana reclutata in Egitto e che era stata trasferita fino nell’attuale Svizzera per combattere i bagaudae, popolazioni celtiche che si erano ribellate all’oppressione dell’Impero romano e dominavano i passi alpini: un pericolo di tale portata strategica giustificava il trasferimento di un reparto proveniente dall’Egitto. In una prima stesura del 450-455, sant’Eucherio di Lione (380-449/50) scrisse al vescovo Salvo che ad Agaunum la legione tebea si era rifiutata di sacrificare agli déi prima di un combattimento contro i bagaudae. Non solo: per evitare di essere costretti a compiere sacrilegio, i tebei si erano allontanati deliberatamente dall’accampamento di Octodurum (l’odierna Martigny), dove risiedeva Massimiano Erculio (250 circa-310), co-imperatore e collega di Diocleziano (244- 311), e si erano ritirati ad Agaunum. Qui furono raggiunti dagli altri reparti e dallo stesso Massimiano che, di fronte alla disobbedienza dei soldati cristiani, ne ordinò la decimazione. Un soldato su dieci fu fustigato e decapitato. Poiché gli insubordinati persistevano nel loro atteggiamento, venne ordinata una seconda decimazione, poi, data l’incoercibilità di Maurizio e dei suoi, tutti i ribelli vennero massacrati.
In una versione più tarda del resoconto di sant’Eucherio, risalente al IX secolo, la ragione della disobbedienza non è più il sacrificio agli déi ma il rifiuto di uccidere civili o di combattere contro popolazioni cristiane ed è interessante l’argomentazione portata: «Siamo tuoi soldati – avrebbe scritto Maurizio in una lettera a Massimiano –, ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l’integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita […]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti […]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio. Siamo stati spruzzati dal sangue dei nostri fratelli e commilitoni, ma non ci affliggemmo, alzammo le nostre lodi perchè erano stati ritenuti degni di partire per il loro Signore Dio. Ecco deponiamo le armi […] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli. Non neghiamo di essere cristiani […] perciò non possiamo perseguitare i cristiani».
In altre parole, Maurizio e i suoi erano disposti a combattere ma si rifiutavano di essere considerati macchine prive di pensiero e di coscienza. Il che, implicitamente, comporta una notevole valutazione del loro essere militari in quanto uomini coraggiosi e dotati di senso dell’onore. Non c’è, quindi, da stupirsi se la fama di Maurizio durò per secoli e lo stesso santo divenne patrono del Sacro Romano Impero. Insieme a lui, molti altri martiri furono elevati agli onori dell’altare fin dall’antichità. Cattolici, ortodossi e copti venerano Maurizio e gli altri ufficiali della legione, Candido, Essuperio, Urso, Innocenzo e Vitale e il veterano Vittore. Ma ciò che desta stupore è il notare come vi siano circa 400 santi legati in qualche modo alla Legione Tebea così suddivisi; 58 in Piemonte, 15 in Lombardia, 2 in Emilia, 10 in Francia, 325 in Germania, 5 in Svizzera e 2 in Spagna. Elencarli tutti porterebbe via troppo spazio e si rimanda al sito www.santiebeati.it per una rassegna completa. Fra essi, va ricordato sant’Alessandro patrono di Bergamo e san Giuliano, venerato presso Fénis in Val d’Aosta.
La critica storica e l’analisi dei fatti
La critica moderna si è occupata di trovare le inevitabili contraddizioni di tali racconti e, a poco a poco, avvolte dall’incertezza storica, le figure di Maurizio e compagni hanno cominciato a sbiadire. Un’obiezione importante è stata quella riguardante la decimazione, che nell’esercito romano non veniva più praticata da due secoli. La stessa indeterminatezza nella denominazione del reparto, della sua composizione e provenienza ha posto dubbi importanti sulla veridicità del racconto.
Secondo il Denis van Berchem, che analizzò l’intera vicenda negli anni Quaranta del secolo scorso, non esistono fondamenti che accertino l’esistenza di questa legione e si tratterebbe di una leggenda devozionale creata da Teodoro, vescovo di Octodurum, intorno al 381, un secolo dopo i fatti. Vi è inoltre una palese contraddizione fra le versioni più antiche, che narrano di un totale sterminio del reparto di Maurizio, con il numero assai alto di scampati citato poco più sopra. Anche il fatto che la legione sia stata destinata a combattere sulle Alpi provenendo dall’Egitto desta qualche perplessità.
La ragione del martirio
Eppure, ove si consideri il contesto militare e politico del tempo, la “pia leggenda” assume una ragionevole e umana plausibilità. Fin dalla prima epoca imperiale era normale trasferire piccoli reparti scelti (“vexillationes”) da un capo all’altro dell’impero. Inoltre, le legioni del tardo impero non contavano più 6000 uomini di organico ed erano costituite da un migliaio di uomini circa (Edward Luttwak, La grande strategia dell’impero romano, 1986, BUR, p. 232). Le dimensioni ridotte rendevano facili gli spostamenti strategici e va ricordato che l’imperatore Giuliano l’Apostata (331-363), per la sua guerra contro la Persia, cinquant’anni dopo il martirio di Maurizio, impiegò anche le legioni galliche di guardia al confine renano. Un dato importante, se non decisivo, a favore dell’autenticità della vicenda è il fatto che nella Notitia Dignitatum, un importantissimo documento risalente alla fine del IV secolo, risulta esistente una Legio I Maximiana o Legio Thebaeorum di stanza in Egitto. Un’altra legione, la Flavia Thebaeorum, era invece destinata al confine orientale.
Altro elemento che va attentamente valutato è il rapporto esistente fra militare e imperatore: un’obbedienza che doveva essere cieca verso un dio incarnato. Il giuramento di fedeltà all’imperatore era simile a una cerimonia religiosa (sacramentum) e la placchetta di piombo che veniva appesa al collo del militare (signaculum) indicava la totale sottomissione all’imperatore.
Ma il fatto sicuramente più importante è che, nel 295, Diocleziano e il suo collega Massimiano non avevano ancora scatenato una persecuzione generalizzata contro i cristiani. Questa iniziò soltanto nel 303, su impulso del tetrarca Galerio, vincitore contro i persiani nel 297 e che, nello stesso anno, aveva promulgato una legge persecutoria contro i manichei, colpevoli di contraddire la religione più antica: la stessa accusa che sarà rivolta ai cristiani. Il martirio di Maurizio, quindi, non fu causato da una persecuzione diretta contro i cristiani in quanto tali ma da un’insubordinazione. Abbiamo quindi elementi sufficienti per comprendere i fatti di Agaunum.
La legione Tebea, comandata dal primicerio Maurizio, interamente composta da cristiani, si trovava sulle Alpi, impegnata nel duplice compito di respingere i barbari e di reprimere la rivolta bagaudica. Gli ufficiali rivestivano anche il ruolo di capi di questa comunità di fedeli e furono essi a fare da portavoce, pur lasciando liberi i propri compagni di decidere. Il dramma, più che mai attuale, riguardò l’inconciliabilità fra due obbedienze: quella all’imperatore, pur in presenza di un ordine criminale come quello di massacrare i civili, e quella alla propria coscienza di cristiano, pur essendo militari e avvezzi alla violenza del combattimento. Maurizio e i suoi scelsero di testimoniare il loro essere interamente uomini e furono macellati. Non tutti, però, poiché è plausibile pensare che la legione non sia stata annientata fisicamente, ma semplicemente sciolta e i superstiti integrati in altre unità. Di qui il gran numero di santi militari che si ritengono provenire da questa straordinaria formazione di eroi e che, negli anni successivi, quando la persecuzione divenne generalizzata, condivisero il destino dei propri ufficiali e camerati, testimoniando la fede in Cristo in ampie zone dell’impero.
Maurizio e i suoi compagni appaiono perciò gli alfieri di un cristianesimo autentico e irriducibile alle ideologie, fiero di servire Cristo e lo Stato, la coscienza e la legge, ma con una priorità che lo rende non assimilabile al mondo, si tratti dell’Impero romano o del nostro XXI secolo.
IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 44 – 45
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