Papa Francesco ha fatto della misericordia un leit motiv del suo pontificato. A cominciare dallo stemma pontificio. E nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium ne parla spesso, con solidi riferimenti evangelici e teologici
La misericordia «è un attributo di Dio stesso» e «il potere terreno appare più simile a quello di Dio allorquando la misericordia tempera la giustizia». Così William Shakespeare ne Il mercante di Venezia. Ma la misericordia riguarda tutti, non solo i potenti, come conferma il Discorso della Montagna: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia». Una misericordia, nell’ottica cristiana, che nasce dall’iniziativa di Dio e a Lui rimanda. Il prossimo santo Giovanni Paolo II diceva che «al di fuori della misericordia di Dio non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani».
Il tema della misericordia è stato subito un tema forte del pontificato di Papa Francesco, che alle parole ha sempre fatto seguire i fatti, con gesti di amore e di accoglienza verso tutti. Quattro giorni dopo l’elezione, all’Angelus del 17 marzo 2013, Bergoglio affermava: «la parola misericordia cambia tutto, cambia il mondo». E aggiungeva: «Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto».
«Miserando atque eligendo»
Conservando nei tratti essenziali il suo stemma vescovile, Bergoglio nello stemma pontificio ha anche mantenuto il motto che campeggia sotto lo scudo: «Miserando atque eligendo ». Il motto è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, sacerdote (672-735), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione dell’apostolo Matteo, scrive: «Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me». Ovvero: «Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse gli disse: Seguimi ». Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina; riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di san Matteo apostolo, riveste un preciso significato nella vita e nell’itinerario spirituale di papa Francesco. Infatti, nella festa di san Matteo (21 settembre) dell’anno 1953, il giovane Jorge Mario, all’età di 17 anni, in modo misterioso sperimentò la presenza amorosa di Dio nella sua esistenza. In seguito a una confessione si sentì toccare il cuore e avvertì la discesa su di lui della misericordia di Dio, che con uno sguardo di tenerezza lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di sant’Ignazio di Loyola. Quando venne eletto vescovo ausiliare di Buenos Aires, nel 1992, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio, decise di scegliere appunto, come motto e come programma di vita, l’espressione di San Beda miserando atque eligendo, che ha poi riprodotto anche nello stemma pontificio.
«Dio non si stanca mai di perdonare»
Non si contano le volte che papa Francesco in omelie, documenti, saluti, discorsi a braccio, ha citato la misericordia. Ma il testo che in maniera più organica, e in un preciso contesto dottrinale, sviluppa il tema della “misericordia”, è l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, che sintetizza con semplicità e dovizia di riferimenti la ricchezza magisteriale del Pontefice gesuita venuto «dalla fine del mondo». «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia», scrive Bergoglio al paragrafo 3. Al paragrafo 44 è di una chiarezza esemplare: «…senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno ». Aggiunge, con il linguaggio espressivo ed efficace che lo caratterizza: «Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile». E più avanti, al numero 47, continua la riflessione: «Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».
La Chiesa sacramento della salvezza
Al paragrafo 112, nel capitolo dell’Esortazione dedicato all’annuncio del Vangelo, colloca il tema della misericordia in un discorso più ampio. Scrive: «La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé». Perché il Signore si comporta così? «Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio». È proprio la Chiesa (paragrafo 114) che «dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo». La conseguenza è una misericordia che si fa presenza capace di cambiare il mondo. In questo senso (183) «chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità ».
La carità in atto dà fastidio
Non mancano i riferimenti evangelici, che collocano nel giusto rapporto misericordia e giustizia divina. Così l’apostolo Giacomo (193) «insegna che la misericordia verso gli altri ci permette di uscire trionfanti nel giudizio divino: “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (2,12-13)». Spiega Francesco: «In questo testo Giacomo si mostra erede della maggiore ricchezza della spiritualità ebraica del post-esilio, che attribuiva alla misericordia uno speciale valore salvifico: “Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità” (Dn 4,24)». Nella medesima prospettiva, «la letteratura sapienziale parla dell’elemosina come esercizio concreto della misericordia verso i bisognosi: “L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato” (Tb 12,9». E nel Nuovo Testamento riemerge la medesima sintesi: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Commenta Bergoglio: «Questa verità penetrò profondamente la mentalità dei Padri della Chiesa ed esercitò una resistenza profetica, come alternativa culturale, di fronte all’individualismo edonista pagano».
La visione estremamente concreta della misericordia arriva a far dire a Bergoglio che «la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica » (paragrafo 203). Invece, «quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia». Infine, nota Papa Francesco, è sulla croce che Cristo patisce, sulla sua carne, «il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina» (285). Ma qui, ad alleviare la sofferenza della sua natura umana, «poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre».
Dossier: LA MISERICORDIA
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 44 – 45
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