Dal 1850 a oggi, ogni quindici giorni esce «la Civiltà Cattolica», uno strumento che aiuta a comprendere ciò che accade nella Chiesa e nel mondo.
La Civiltà Cattolica accompagna la vita della Chiesa italiana da 155 anni, dalla sua fondazione avvenuta nel 1850 per iniziativa del beato papa Pio IX. Ogni 15 giorni, la rivista della Compagnia di Gesù propone a chiunque voglia leggerla un’analisi dei principali avvenimenti religiosi, culturali e politici dell’Italia e del mondo, oltre alla presentazione di libri e film, a un editoriale spesso dedicato all’attualità, il tutto nella piena fedeltà al Magistero della Chiesa, le cui bozze si dice vengano lette dal Papa o comunque da qualcuno fra i suoi più stretti collaboratori.
Lo scopo della rivista è di aiutare i dirigenti del mondo cattolico, clero e laici, a “leggere” il proprio tempo, interpretandolo alla luce del Vangelo per favorire la conversione dei singoli e delle società. È un compito importante, soprattutto in un tempo in cui, nella seconda metà del XIX secolo, i cattolici italiani cominciavano a prendere atto di dover fare i conti con l’ostilità dello Stato e con l’estraneità o l’avversità delle classi dirigenti.
Questi segnali di persecuzione si sarebbero manifestati in maniera diversa nei successivi 150 anni, ma sempre e comunque la Chiesa avrebbe dovuto fronteggiare forze avverse, con nomi e ideologie diverse, spesso antitetiche fra loro, ma sempre ostili o estranee alla fede cristiana. E sempre, ogni 15 giorni, la rivista dei gesuiti italiani, avrebbe aiutato il lettore a capire qualcosa in più di quello che stava accadendo nel suo tempo: così sarà nel corso della lunga lotta fra la Chiesa e lo Stato liberale durante il Risorgimento, così accadrà durante il fascismo e poi nel secondo dopoguerra. La rivista redatta da un Collegio di scrittori, tutti gesuiti, che appunto formano la comunità che scrive la Civiltà Cattolica, interverrà con la propria interpretazione dei fatti dell’epoca per colmare una delle principali mancanze del cattolicesimo italiano, l’assenza di una comune interpretazione della propria storia. Non sempre sono stati giudizi condivisi, ma sempre utili a capire meglio e a intervenire nel proprio tempo. Lo stile della rivista è semplice, con le note ridotte all’essenziale, con un modo di scrivere accessibile, con temi diversi per attirare l’attenzione di tanti: non si tratta di una rivista accademica, ma di un serbatoio cui può attingere chi vuole operare nella storia per rendere migliore il proprio tempo.
155 anni dopo l’inizio di questa formidabile avventura, il 17 febbraio 2006, papa Benedetto XVI ha ricevuto il Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica. È utile riprendere le brevi parole del Papa, che in qualche modo richiamano ciò che la Santa Sede si aspetta ancora oggi dal quindicinale della Compagnia di Gesù.
Anzitutto un chiarimento circa la parola “dialogo”. Benedetto XVI invita al dialogo con la cultura moderna, ma chiarisce in cosa consista. Usata come una “parola trabocchetto” negli anni ’70 del Novecento per trasportare cattolici incerti e incapaci di rispondere sulle posizioni della contestazione più radicale, la parola dialogo è poi andata perdendo sempre più significato.
Se usata nel senso classico di modo naturale per comunicare con il nostro prossimo, rimane per i cattolici uno strumento prezioso per proporre la Rivelazione di Dio. Ma il Pontefice invita a «sviluppare il dialogo con la cultura odierna e aprirla ai valori perenni della Trascendenza», cioè invita la Civiltà Cattolica a svolgere il compito specifico cui è chiamata: analizzare il tempo presente e individuarne le caratteristiche («una cultura caratterizzata dal relativismo individualista e dallo scientismo positivista; una cultura, quindi, tendenzialmente chiusa a Dio e alla sua legge morale, anche se non sempre pregiudizialmente avversa al cristianesimo»). Ecco allora la missione della rivista: partecipare al dibattito culturale, cioè non isolarsi, non fare della presenza cattolica un ghetto, un’isola, ma convincere i propri lettori a proporre la fede cristiana nel proprio tempo, difendendo la verità senza polemiche, utilizzando gli strumenti offerti dalla fede e dalla ragione.
Questo è il dialogo con la cultura del proprio tempo: partire da ciò che troviamo di comune con il pensiero cristiano (quelli che Plinio Correa de Oliveira chiama i “coaguli”) per cercare quindi di aprire la cultura del nostro interlocutore alla Trascendenza, facendogli capire che Dio lo ama e lo aspetta, nella gloria della visione beatifica. Un dialogo missionario, dunque, che non rinunci mai ad annunciare la fede senza omissioni, ma anche senza inutili e controproducenti forzature polemiche.
Un dialogo per comunicare la fede, per non rinchiudersi nelle proprie certezze, ma per comunicarle a tutti, cercando nella cultura moderna e nei suoi rappresentanti un punto di contatto da cui partire, appunto attraverso il dialogo.
D’altra parte, se il nostro è il tempo della dittatura del relativismo, non bisogna tuttavia credere che non ci siano segni di speranza. Il Papa li ricorda: «la nuova sensibilità per i valori religiosi da parte di tanti uomini e donne, la rinnovata attenzione nei confronti della Sacra Scrittura, il rispetto dei diritti umani in misura ben maggiore di quanto avveniva anche in un passato recente, la volontà di dialogo con le altre religioni». Sono segni che notiamo, soprattutto in Italia, dove in modo particolare il processo di secolarizzazione non è riuscito a estirpare il senso religioso di una parte consistente della popolazione; sono segnali riemersi nel mondo giovanile soprattutto grazie all’esempio di papa Giovanni Paolo II, ma continuano e anzi aumentano con il successore.
Certo sono segni anche contraddittori: si legge la Bibbia ma ci si confessa poco, si accettano alcuni insegnamenti della Chiesa e non altri, ma non c’è stato comunque quel distacco definitivo e radicale dalla fede religiosa che vent’anni fa era stato annunciato.
Sono segni da tenere presente e da utilizzare per seminare: molto dipenderà dal seminatore, dalla sua santità e dalla sua preparazione. Il Papa consiglia ai padri della Civiltà Cattolica «come faro» il Concilio Vaticano II, le cui ricchezze dottrinali e pastorali, e soprattutto l’ispirazione di fondo, non sono ancora stati assimilati dalla comunità dei fedeli. Anche in questo caso bisogna superare la confusione post-conciliare e leggere il Concilio come ha invitato a fare il Papa nel discorso alla curia del 22 dicembre, nella continuità con la precedente storia della Chiesa, e non nella prospettiva della rottura, come suggeriscono alcuni interpreti del Vaticano II ancora molto richiesti nel mondo cattolico. E soprattutto cogliere l’ispirazione di fondo del Vaticano II, cioè la sua prospettiva missionaria, assimilando in particolare il discorso di apertura del Concilio del beato Giovanni XXIII.
Qualcuno farà fatica a comprendere l’invito del Magistero ad adeguare il nostro stile per diventare più autenticamente missionari, perché tanti sono stati gli abusi compiuti in nome del Vaticano II e profondo è stato il disorientamento introdotto fra i cattolici dal voler far credere, erroneamente, che il Concilio fosse l’inizio di una Chiesa nuova e diversa rispetto a quella del passato.
Ma se il compito del Magistero è proprio quello di guidare, se la Chiesa è custode di una fede ricevuta e trasmessa, noi dobbiamo accogliere quello che ci è stato rivelato e sforzarci di percorrere la strada che ci viene proposta.
BIBLIOGRAFIA
Il testo dell’intervento del Santo Padre Benedetto XVI al Collegio degli scrittori si trova in La Civiltà Cattolica, anno 157, n. 3737, 4 marzo 2006.
IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 58 – 59