Le Beatitudini sono la strada indicata da Dio all’uomo per giungere alla gioia della vita eterna. Una via impossibile alla sola ascesi umana. Ma percorribile con l’aiuto dello Spirito Santo
Inoltrandoci nel cammino delle “Beatitudini”, abbiamo già percorso due tappe: la prima è quella che viene chiamata la “beatitudine della fede”. Fede, si intende, in Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, passaggio indispensabile per giungere al Dio trinitario e scoprirne il disegno di salvezza che ci riguarda e, dunque, accedere alla gioia che ci è stata promessa. Beatitudine questa prima, che abbiamo considerato come il punto di partenza perché senza almeno un minimo di fede non ha senso tutto il percorso successivo. Ma che è, al contempo, anche il punto di arrivo finale nel senso che, come vedremo, tutte le Beatitudini nel loro complesso hanno proprio lo scopo di indicarci la via per vivere in modo sempre più profondo la fede e farla giungere alla sua pienezza e, di riflesso, per farci giungere a una felicità sempre più piena.
La seconda tappa ha riguardato Maria considerata “beata” proprio perché ha saputo vivere la sua fede in modo perfetto, sia quando ha accettato di diventare la Madre del Salvatore, sia poi quando ne è diventata la migliore discepola.
Siamo così giunti alla terza tappa cioè alle classiche Beatitudini, quelle che Gesù ha proclamato nel discorso della montagna. Su di esse, che, lo sappiamo, sono considerate come il riassunto di tutta la dottrina cristiana, il simbolo della vera novità portata da Gesù, si è esercitata fin dall’inizio la riflessione di esegeti, di teologi, di santi nel tentativo di penetrarne fino in fondo lo spirito che vi è sotteso. Ecco come riassumeva al proposito ciò che ne pensavano due grandi del livello di Agostino e di Tommaso il padre Garrigou-Lagrange, famoso per il suo trattato di ascetica e mistica: Le tre età della vita interiore. Le beatitudini, sottolineavano questi due santi, non sono state espresse da Gesù e poi riprese dagli evangelisti in modo casuale. Al contrario esse rivelano un ordine preciso che vi è sotteso. Si tratta di «un ordine ascendente, inverso a quello del Pater, che discende dalla considerazione della gloria di Dio a quella dei nostri bisogni personali e del nostro pane quotidiano. [Così] le tre prime beatitudini esprimono la felicità che si trova nella fuga e nella liberazione dal peccato, nella povertà accettata per amore di Dio, nella dolcezza e nelle lacrime della contrizione. Le due beatitudini seguenti sono quelle della vita attiva del cristiano; esse rispondono alla sete di giustizia e alla misericordia esercitata a riguardo del prossimo. Vengono quindi quelle della contemplazione dei misteri di Dio: la purezza del cuore che dispone a vedere Dio e la pace che deriva dalla vera sapienza. L’ultima e la più perfetta beatitudine, infine, è quella che riunisce tutte le precedenti e chiama ad esercitarle anche in mezzo alla persecuzione subita per la giustizia; si tratta dell’ultima prova, condizione della santità». Beatitudine quest’ultima che, proprio perché più sublime, viene menzionata anche da Luca che pure, come sappiamo, ne restringe il numero totale e da lui ugualmente collocata dopo le altre, come un punto di arrivo finale.
Come sempre, dunque, occorre non fermarsi alla superficie ma cercare di penetrare nelle parole di Gesù. Scavare fino in fondo per scoprirvi tutti i possibili significati. Così, credo che finora, ancor prima di esaminare nel dettaglio le singole Beatitudini, abbiamo potuto capire alcune cose al riguardo. Anzitutto che ciò che sta più a cuore a Dio è la nostra felicità. Ce lo fa intuire chiaramente il fatto che Gesù Cristo stesso ponga questo obiettivo finale alla sua venuta e collochi questo traguardo “la nostra beatitudine” proprio al centro del suo messaggio. E inoltre ci spieghi nel dettaglio quali siano i sentieri per raggiungerla.
Non si tratta, badiamo bene, di un fatto scontato. Non lo è per esempio per chi crede che la fede, cristiana in particolare, alieni dalla vita; non lo è per chi pensa che essa limiti la creatività umana; non lo è per chi è convinto che la morale che deriva dalla fede, invece di aiutare la persona umana a realizzarsi, la chiuda come in una sorta di gabbia che ne soffoca la libertà. Ma ancora non lo è affatto per chi sottolinea come quel simbolo usato per identificare Gesù e scelto da coloro che si sono posti al suo seguito, e cioè il crocefisso, sia un richiamo negativo da relegare lontano dagli occhi perché induce a pensieri tristi, richiama in continuazione la morte, la sofferenza, il dolore.
È quello che pensano oggi in molti che si allontanano dal cristianesimo, anche se vi sono nati e sono stati battezzati in esso, non perché magari non avvertano il richiamo a migliorare la propria vita con un cammino spirituale ma perché pensano di trovare una risposta migliore altrove, per esempio nel buddismo o in qualche altra spiritualità e filosofia.
D’altra parte, non si può non riconoscere che la proposta di Gesù che passa attraverso le Beatitudini è veramente scioccante perché appare come il contrario esatto di ciò che istintivamente l’uomo pensa e crede a proposito della felicità. Ma allora perché prestarle fede?
Anzitutto perché a quella morte, di cui il crocifisso è diventato simbolo, è seguito un evento straordinario e cioè quella risurrezione che i Vangeli ci testimoniano; un evento che in moltissimi hanno cercato di smontare ma di fatto senza mai riuscirci. Un evento che sulle prime appare certamente incredibile, ma attorno al quale sono state raccolte prove che invece ci permettono di prenderlo sul serio, senza per questo sentirci dei creduloni che danno retta alle favole.
Ma è proprio quel ribaltamento totale, quella morte vinta, quel dolore enorme che si è tramutato in una gioia quasi indescrivibile che ci permette di prendere sul serio anche le Beatitudini, cioè questa via alla felicità che sembra stranamente passare attraverso la rinuncia, la sofferenza, la morte.
Una morte tuttavia particolare perché si tratta, come vedremo, della morte a noi stessi. Non però al nostro io vero e profondo, altrimenti avrebbero davvero ragione coloro che accusano il cristianesimo di alienazione. Ma al nostro io superficiale, a quello legato alla nostra istintività. A quello che è stato alla base del peccato originale e che continua tuttora a volerci allontanare da Dio in cerca di una falsa e ingannevole autonomia. A quell’io che tende a dominare ogni uomo fino a quando non ne prenda coscienza e non inizi un cammino per penetrare al profondo di sé e lì incontrarvi Colui che non vuole la morte del peccatore ma “che si converta e viva”.
Esaminate in questa luce, ecco allora che le Beatitudini ci appaiono non solo come degli utili consigli ma come una vera e propria scala necessaria per raggiungere la felicità. Un gradino dopo l’altro nel quale cimentarsi per crescere ogni giorno un po’ di più. Una salita da ripetere più e più volte nel corso della vita, fino al vertice, se a Dio così piacerà.
Sì, perché, anche questa volta in pieno accordo, sempre Agostino e Tommaso parlano delle Beatitudini come di una via impossibile alla sola ascesi umana. Una via percorribile solo con il soccorso dello Spirito Santo e di tutti i suoi sette doni.
DA NON PERDERE
Rosanna Brichetti Messori, Ecco mia madre. Maria nell’esperienza di una vita, Fede & Cultura, Verona 2013, pp. 128, € 12.
Ad Jesum per Mariam. La via più semplice e diretta per entrare in comunione con Cristo è la sua Mamma, la Vergine senza peccato che lo ha portato in grembo per nove mesi, lo ha fatto crescere, seguito nei tre anni della vita pubblica e con Lui ha condiviso il dolore della Passione e della Morte, abbracciandolo poi Risorto. L’autrice di questo agile libretto ha sperimentato personalmente questa verità, facendo in un santuario mariano l’esperienza diretta e interiore di un Amore che ti ha pensato e voluto, e che ti accompagna rimanendoti sempre accanto in ogni istante della vita, soprattutto nei suoi frangenti più dolorosi. La Madre di questo Amore, che si è fatto carne per salvare ognuno di noi, viene onorata in queste pagine attraverso brevi riflessioni che raccontano i tesori racchiusi nella devozione mariana e che analizzano le diverse apparizioni della Madonna che hanno accompagnato la storia moderna della Chiesa. Da non perdere.
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 56 – 57
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