La crisi che colpisce la modernità, e che riguarda anche la Chiesa, obbliga a rigenerare la nostra fede. E, nonostante tutto, offre un’opportunità di guadagnare uomini e donne al Vangelo. Purché i cattolici rimangano strettamente uniti al Papa
Ormai lo abbiamo capito tutti con chiarezza quanto l’Occidente sia alle corde. Dopo secoli di supremazia che sono finiti forse per sempre, dopo aver tentato di far fronte alla concorrenza dei popoli che lo stanno sostituendo a livello economico mondiale con espedienti finanziari che hanno rivelato tutta la loro pericolosità, ora è con le spalle al muro e capisce di dover cambiare almeno in parte quel livello di vita, ormai superiore alle sue possibilità, a cui aveva dato origine. Stretto a lungo nella morsa tra ideologia comunista e ideologia capitalista, sta accorgendosi che se la prima forse garantisce un pezzo di pane a tutti ma sacrifica in modo insopportabile le libertà di ogni tipo, la seconda, enfatizzando queste ultime fino alla esasperazione, produce una scia di povertà non solo materiali ma anche morali e spirituali che coinvolge quei tanti, sempre più numerosi, che non riescono a reggerne i meccanismi a volte infernali. L’Occidente, dunque, spinto dalla necessità e non dalla virtù, deve tornare con i piedi per terra e riscoprire quei valori di integrità, onestà, collaborazione, equità che lo aiutino a ritrovare la lucidità e la forza per non finire ai margini della storia. La crisi economica e finanziaria dunque, in ultima analisi, trae origine da una crisi morale.
Lo ha ripetuto spesso anche Benedetto XVI con una chiarezza impressionante, denunciando al contempo con altrettanta forza come alla base di questa crisi etica ci sia l’oscurarsi in molti dei figli di questo Occidente di quella fede cristiana che, nata al confine tra Europa ed Asia, si è espansa soprattutto verso ovest avendo come meta Roma. E che si è intrecciata strettamente e fin dalle origini con questi territori caratterizzandone – checché ne dicano i detrattori – lo sviluppo in senso moderno. Tanto che oggi proprio questi luoghi che hanno visto il primo radicarsi della fede cristiana si sono così allontanati da essa da richiedere – lo dice sempre il Papa che al proposito ha istituito un apposito organismo ecclesiale – una nuova evangelizzazione che porti a riscoprire quelle radici per trarne la necessaria linfa vitale.
Un’occasione senza dubbio storica quella che ci si presenta. Una svolta importante, dunque, se la si sa cogliere, sia per la Chiesa che per i popoli dell’Occidente. Sì, perché credo che nell’esaminare la complessità della crisi attuale (che è fatta, come abbiamo detto, di aspetti economici ma anche culturali e spirituali) occorra non dimenticare una cosa. E cioè il fatto che quelle nazioni che ora ci stanno sopravanzando mettendoci in difficoltà in realtà devono proprio allo sviluppo della cultura scientifica e tecnica – sviluppo avvenuto in Occidente, grazie alla mentalità plasmatasi in ambito cristiano ed ora divenuto patrimonio universale – la loro rapida crescita. E che, dunque, anche la crisi che ora attanaglia l’Occidente è con molta probabilità essa pure un evento anticipatore di futuro, nel senso che ancora una volta questa zona del mondo in cui ci troviamo a vivere diviene, come è stata in passato, una sorta di laboratorio, nel quale si stanno provando in anticipo soluzioni e ricette che forse si dimostreranno valide anche per il resto del mondo. E cioè, in pratica, con quali strumenti affrontare la crisi di uno sviluppo economico che, avendo già toccato il suo apice, ristagna e stenta a conservarsi. E al contempo, per quanto riguarda il versante Chiesa, come far fronte a quella crisi di fede che, lo abbiamo visto, quasi di necessità si sviluppa in società che, opulente e orgogliose del livello di sviluppo raggiunto, sono tentate di cancellare dalla loro vita l’orizzonte sacrale.
Una svolta storica, dunque dicevamo, certamente impegnativa che, tuttavia, proprio per questo noi credenti dobbiamo cercare di vivere con grande impegno, convinti come siamo che ancora una volta, come avvenne dopo i secoli bui che seguirono alle invasioni barbariche e al crollo dell’impero romano, il Vangelo e la buona novella in esso contenuta potranno avere gran parte nel riportare la luce e la forza necessarie a ritrovare la strada per continuare. A un patto, tuttavia, che sappiamo anche noi, figli della Chiesa – tutti insieme, gerarchia e popolo – fare l’autocritica necessaria. Anzitutto, per esempio, capendo il travaglio che la Chiesa stessa ha vissuto negli ultimi decenni. La necessità di un rinnovamento che Giovanni XXIII aveva captato indicendo il Concilio Vaticano II, il confronto acceso svoltosi al suo interno, gli entusiasmi suscitati. Ma anche la confusione del post concilio, l’improvviso franare di una cristianità che fino a quel momento si credeva solida. Le chiese sempre più vuote come del resto i seminari; l’abbandono in massa di clero e religiosi; il disorientamento dei fedeli che, lasciando sempre più numerosi la pratica religiosa, sono andati ritagliandosi un cristianesimo sempre più “fai da te” sia nel campo dogmatico che morale.
Ora, a distanza di alcuni decenni, mentre gli studi storici ci aiutano a ricostruire con la necessaria distanza l’intero quadro degli avvenimenti mettendone a fuoco le cause, si sta capendo sempre meglio come anche la Chiesa nel suo insieme abbia subito pesantemente l’abbaglio e il contagio di quella modernità che stava dilagando. Finendo con l’abbracciarla, senza i necessari anticorpi, proprio quando quest’ultima andava mostrando sempre più i segni della sua crisi profonda. Un terremoto che qualcuno non esita a paragonare, per la gravità e l’estensione delle devastazioni, alla Riforma protestante. Ma che tuttavia permette anche di vedere come, pur in mezzo a mille difficoltà, magari con qualche ritardo, il carisma e il ruolo papale, caratteristiche fondamentali della fede cattolica, nonostante tutto, non siano mai venute meno. Tutti i papi che si sono succeduti dal Concilio in poi, infatti, pur con le loro differenti caratteristiche personali, hanno saputo guidare la navicella di Pietro tra marosi altissimi intervenendo con il loro magistero espressosi in forme più o meno solenni per arginare gli eccessi, precisare i dubbi, creare uno strumento fondamentale per la fede e la pastorale quale si è rivelato il Nuovo Catechismo, anche e soprattutto nella forma del Compendio. E, infine, ponendo attenzione alla liturgia da riformare dopo una riforma affrettata e, più in generale, curando in ogni occasione quella interpretazione autentica dei testi conciliari che sta aiutando a ritrovare la piena e corretta adesione al patrimonio della fede.
Un lavoro vasto, difficile, faticoso, che pure incomincia a dare i suoi risultati e che certamente avrà occasione di approfondirsi ancora in quell’“anno della fede” che papa Ratzinger ha indetto a partire dal prossimo ottobre. Numerosi e graduali passi, dunque, ma inseriti in un disegno preciso. Un travaglio faticoso e sofferto dal quale tuttavia sta prendendo poco a poco forma una nuova cristianità. Una cristianità che, se si propone di continuare con decisione nel solco della Tradizione, sia nel dogma come nella liturgia, non può tuttavia non tenere conto di ciò che è avvenuto nel mondo: fatto oggi da un uomo che ha attraversato la modernità sperimentandola nei suoi aspetti negativi, che sono molti, ma anche in quelli positivi, che non mancano. La storia avanza non fermandosi mai e il cristianesimo ne partecipa pienamente, vivendone tutti gli scossoni. Ma alla fine ne riemerge, come sta dimostrando anche in questo caso. E questo perché è attrezzato per farlo, dal momento che ha dalla sua la promessa solenne della assistenza dello Spirito che trova nel carisma petrino il punto di riferimento essenziale. Da qui la necessità della nostra fedeltà umile e obbediente al suo magistero, soprattutto nei momenti difficili come quello attuale.
Una nuova unità dunque, con Pietro in Gesù Cristo, per affrontare la svolta storica che ci aspetta. Un nuovo incamminarci sulla via di Emmaus. All’inizio magari un po’ depressi e dubbiosi come i famosi discepoli, poi anche noi rinvigoriti da una rinnovata presa di coscienza che il Verbo si è davvero incarnato nella storia degli uomini per redimerla. E che continua anche ora ad operare, presente e vivo in mezzo a noi con la sua potenza e il suo amore. A patto tuttavia che anche i nostri occhi si aprano e che il nostro cuore accetti di incontrarlo e di farlo entrare davvero nella nostra vita. Allora, istintivamente, diventeremo anche strumenti efficaci di annuncio verso i nostri fratelli. Verso quei tanti che, oggi oberati dal peso di molti affanni, spesso prigionieri di modelli lontani dalla verità, tuttavia nutrono nelle profondità del loro essere, seppur inconsciamente, il desiderio di incontrare la Verità con la maiuscola, per esserne ristorati.
RICORDA
«Il mondo, con tutte le sue risorse, non è in grado di dare all’umanità la luce per orientare il suo cammino. Lo riscontriamo anche ai nostri giorni: la civiltà occidentale sembra avere smarrito l’orientamento, naviga a vista. Ma la Chiesa, grazie alla Parola di Dio, vede attraverso queste nebbie. Non possiede soluzioni tecniche, ma tiene lo sguardo rivolto alla meta, e offre la luce del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà, di qualunque nazione e cultura».
(Benedetto XVI, Angelus, 6 gennaio 2012).
IL TIMONE N. 110 – ANNO XIV – Febbraio 2012 – pag. 56 – 57
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