Si può dimostrare con la sola ragione, senza l’ausilio della fede, che l’uomo non è composto solo di materia? Si! Ecco, in sintesi, alcune prove. Che confermano la verità cristiana.
L’uomo e costituito solo dal corpo materiale o si trova in lui anche lo spirito?
La morte ci annienta per sempre, oppure c’è una vita che prosegue dopo la morte?
Quando il nostro corpo va in decomposizione possiamo, tuttalpiù, sopravvivere solo nel ricordo (come dice per es. Foscolo), oppure siamo in qualche modo immortali?
Se siamo composti solo di materia la morte e la corruzione del nostro corpo equivalgono al nostro annichilimento eterno, perciò noi e i nostri cari scompariamo nel nulla.
In tal caso, la nostra vita può assomigliare al viaggio di un pastore che si inerpica con un carico pesante sulle spalle, per montagne ertissime e luoghi aspri, faticosi e difficili, sotto la neve, il gelo, il sole cocente, per giorni e notti senza posa, finché non sprofonda in un “abisso orrido, immenso, ov’ei precipitando, il tutto oblia” (Leopardi).
Viceversa, se l’uomo è composto anche di spirito, questo sopravvive alla morte del corpo e vince la corruzione della materia. In tal caso, noi e i nostri cari siamo immortali e la vita terrena è solo una parentesi, una preparazione alla vita ultraterrena, che dalla vita ultra terrena deve prendere senso ed essere orientata.
Le grandi religioni hanno prefigurato un’esistenza ultraterrena, ma noi qui vogliamo esporre alcuni (non tutti) argomenti filosofici (che cioè prescindono da qualsiasi fede) per dimostrare la spiritualità dell’anima umana e dunque la sua sopravvivenza alla morte del corpo.
Se l’uomo è costituito solo di materia il suo comportamento è completamente vincolato alle leggi fisiche della natura, è necessitato. In altri termini, se l’uomo è un semplice pezzo della natura il suo agire non è libero: come una tessera di un domino, egli riceve necessariamente un movimento dalle tessere precedenti, e si limita a trasmetterlo necessariamente alle tessere successive. In tal caso io sto scrivendo questo articolo perché sono completamente condizionato dagli impulsi che ho ricevuto (per es., la richiesta del direttore del Timone), e tu, che leggerai questo articolo, sei costretto necessariamente a leggerlo dagli impulsi che hai ricevuto a tua volta. Tutto questo se noi fossimo soltanto materia e dunque sottoposti completamente alle leggi necessarie della materia.
Tuttavia noi siamo liberi, ossia le nostre azioni cominciano (almeno in parte) da noi, non sono la semplice ricezione e trasmissione di un impulso, bensì hanno in noi il loro inizio, un inizio che noi abbiamo deliberato e deciso, perciò io sto scrivendo liberamente questo articolo e tu liberamente lo leggerai.
Dunque, visto che siamo liberi vuoi dire che non siamo dei pezzi della natura, e se possiamo svincolarci (in parte) dalle leggi della materia vuoi dire che c’è in noi qualcosa di non-materiale: lo spirito.
Un’altra prova della spiritualità è la capacità umana di esercitare l’autoironia. Infatti, quando ridiamo di noi stessi in qualche modo “usciamo da noi stessi” e ci guardiamo come “dal di fuori”, ci osserviamo “dall’esterno”, come spettatori, individuando in noi stessi qualcosa di ridicolo. Solo l’uomo ride (Aristotele) perché solo l’uomo può uscire e astrarsi dal movimento della materia e osservarsi dal di fuori.
Ma questa capacità di astrarsi dal movimento della materia implica che in lui ci sia qualcosa di nonmateriale, cioè lo spirito. L’animale non avendo lo spirito non può ridere (la iena ridens fa dei versi che noi chiamiamo risa solo perché assomigliano alla risata).
Una prova analoga alla precedente analizza il pianto su di sé (che è diverso dal pianto per commozione o dal pianto di sollievo). L’uomo piange quando smette di resistere al dolore e comincia a commiserarsi, a compiangersi.
Pensiamo, per es., a un bambino che cade e si fa male. Il bambino non piange immediatamente: anche se da subito sente il dolore, piange solo dopo qualche attimo perché comincia, in qualche modo, a commiserarsi. E se nessuno viene a consolarlo il pianto aumenta perché il bambino (ma anche l’adulto) si sente abbandonato e dunque si compiange maggiormente.
Come nel caso dell’autoironia, anche qui si può notare una “fuoriuscita” dell’uomo da se stesso, il compiangersi come “guardarsi dal di fuori” come spettatore, che è sintomo di spiritualità. Anche qui, mentre l’animale urla, soltanto l’uomo piange.
Consideriamo ancora due prove, leggermente più complesse. La prima (già di Platone) fa leva sull’attività specifica dell’uomo di elaborare dei concetti, lo con i cinque sensi conosco, per es., questo particolare libro, che ha questa copertina, questo numero di pagine ecc. Cioè i cinque sensi conoscono necessariamente degli oggetti particolari.
Tuttavia noi abbiamo dei concetti universali, cioè dei concetti che esprimono ciò che è comune a tutte le cose simili: non solo conosco questo libro, ma possiedo il concetto di libro, il quale esprime ciò che è comune e identico in ogni libro (cioè essere “una serie continua di pagine rilegate insieme e fornite di copertina”), e prescinde da ciò che caratterizza solo questo libro (che ha questo numero di pagine, questa copertina, ecc).
Ciò significa che l’attività che produce i concetti non è un’attività che si esplica attraverso i cinque sensi del corpo (anche se parte da essi). Dunque è un’attività non-corporea, ossia è un’attività spirituale.
La seconda (S. Tommaso) fa leva sulla capacità della conoscenza umana di conoscere se stessa.
L’udito non ode l’udire, il gusto non gusta se stesso, il tatto non tocca se stesso ecc, cioè i cinque sensi hanno sempre un oggetto distinto da se stessi.
Invece la conoscenza conosce se stessa: mentre conosco un oggetto ho anche la consapevolezza di stare conoscendo, conosco di conoscere. Anche qui quest’attività eccede le possibilità dei cinque sensi corporei, dunque è non-corporea, cioè spirituale. Hegel diceva efficacemente che lo spirito è “colui che si sa”, cioè che si autoconosce.
Concludiamo: se Dio esiste (cfr. Il Timone n.16), essendo Dio sommamente buono, è ragionevole pensare che abbia creato l’uomo spirituale, e dunque immortale, per destinarlo all’eterna comunione amorosa con sé, purché l’uomo se la guadagni.
RICORDA
“Infine Dio trasse dal fango l’uomo, dotandolo di un corpo capace – non per esigenza di natura, ma per dono divino – di immortalità e di impassibilità (cioè della capacità di non soffrire). Creò inoltre l’anima dell’uomo a propria immagine e somiglianza, dotandola di libero arbitrio e temperando in lui gli istinti e le passioni in modo che mai potessero sopraffare il dominio della ragione”.
(Luigi Andrianopoli, II Catechismo romano commentato, con note di aggiornamento teologico-pastorale, Ares, Milano 1990, p. 46).
BIBLIOGRAFIA
Per una trattazione rigorosa ma accessibile:
Battista Mondin, L’uomo: chi è? Elementi di antropologia filosofica, Editrice Massimo, Milano 19937, pp. 340-344.
Elio Sgreccia, Manuale di bioetica, I, Vita e Pensiero, Milano 19962, pp. 127-130.
Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, III, La Scuola, Brescia, varie edizioni, pp. 157-183.
Per un approfondimento filosofico:
Gianfranco Basti, Filosofia dell’uomo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1995, pp. 138-143, 212-214.
Joseph De Finance, Essere e pensiero. Il “cogito” di Descartes e il realismo tomista, Dante Alighieri, Roma 1995, pp. 32-33.
Pierre Marie Emonet – Mirelia Lorenzini, Conoscere l’anima umana. Elementi di antropologia filosofica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1997.
Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I, qq. 75-76.
Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae: de spiritualibus creaturis, articoli 2 e 9.
IL TIMONE N. 18 – ANNO IV – Marzo/Aprile 2002 – pag. 44 – 45