Essere vivente razionale che comunica e conosce, connotato dalla socialità, capace di amare, libero, artista, dotato di spirito e strutturalmente religioso.
Ecco chi è l’uomo secondo la sua natura.
Chi è l’uomo? Quali sono le sue prerogative peculiari che lo distinguono dagli altri esseri? Che cosa gli conferisce una dignità particolare?
I contributi di antropologia filosofica e teologica di questo dossier cercano di rispondere a simili domande, ovviamente senza pretesa di esaustività, anche perché, tanto per incominciare a rispondere alle domande, l’uomo è un tema inesauribile e vastissimo, “è un grande mistero e inesplicabile […] e non c’è nulla di più alto sulla terra” (Dostoevskij). In particolare, le seguenti righe vogliono evidenziare alcuni lineamenti di quella realtà prodigiosa che è appunto l’uomo, con l’ausilio della sola filosofia.
Cominciamo a notare che l’uomo è colui che si interroga appunto su se stesso, che prende se stesso come oggetto di indagine, è colui per il quale l’uomo rappresenta un problema da chiarire quanto più possibile, cioè l’uomo è capace di fare astrazione dalle proprie esperienze per riflettere su di esse e per autoconoscersi. Questa sua attività ci indirizza subito verso la comprensione della natura dell’uomo, perché ci suggerisce quale natura l’uomo deve possedere per poter indagare se stesso. Infatti, insieme ad Aristotele possiamo cercare di ricostruire la natura umana a partire dalle operazioni che l’uomo esplica, un po’, per intenderci, come si fa in chimica, dove, per scoprire la natura di una sostanza, la si fa agire attraverso un reagente, e dalle sue reazioni si risale alla sua natura.
Chiediamoci, dunque: quali sono le operazioni peculiari dell’uomo? Non le operazioni “vegetative” come la nascita, la crescita, il nutrimento, ecc., perché esse vengono esplicate anche dalle piante e dagli animali; nemmeno le attività “sensitivo-motorie”, come la sensazione, il movimento, ecc., perché esse vengono esplicate anche dagli animali; piuttosto, le attività peculiari dell’uomo sono quelle razionali come, appunto, l’autoconoscenza e dunque, per il momento, possiamo dire che l’uomo può essere designato col termine persona, che vuole appunto dire un essere di natura razionale (Boezio).
Notiamo bene che un essere di natura razionale è un essere capace potenzialmente di compiere, prima o poi, operazioni razionali, e non solo colui che compie attualmente tali operazioni. L’uomo è persona anche quando non compie operazioni razionali perché possiede una natura che lo abilita, prima o poi a compiere tali attività. Questa sottolineatura è importante, perché i difensori dell’aborto e dell’eutanasia negano che siano persone l’embrione e il malato terminale, in quanto questi ultimi non esplicano attività razionali. Ma se persona fosse solo chi esercita attualmente operazioni razionali, allora bisognerebbe negare che un dormiente o un uomo sotto anestesia siano persone e dunque sarebbe legittimo sopprimere anche loro e non soltanto gli embrioni e i malati terminali.
Alcuni sostengono che anche gli animali sono intelligenti, perché esercitano delle forme di attività conoscitiva; tuttavia bisogna ribattere che la “conoscenza” degli animali superiori è qualitativamente inferiore a quella dell’uomo: mentre l’animale coglie nelle cose solo l’utilità/dannosità, la piacevolezza/dolorosità, l’uomo, poiché è razionale, indaga anche la natura delle cose, si chiede: “che cos’è questa cosa?”, vuole conoscere le cose a prescindere dalla loro eventuale utilità/dannosità, cioè vuole conoscere il vero, e dunque è un essere conoscitivo o teoretico, che cioè vuole conoscere la verità sulle cose, percepisce il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto. Vediamo, allora, che è proprio in forza di questa sua natura razionale che all’uomo competono in esclusiva alcune prerogative, che qui possiamo solo in parte enumerare e accennare. Per esempio, l’uomo è parlante, cioè capace di esprimersi e di comunicare mediante un linguaggio che (Aristotele) non si limita, come i versi degli animali, ad esprimere le sue sensazioni piacevoli/spiacevoli, ma può anche comunicare, come abbiamo detto, la verità sul mondo, sul bene, sul bello: cioè la sua , comunicazione non è solo strumentale al conseguimento di qualcosa, perciò è diversa da quella animale che è esclusivamente pragmatica (segnalare un pericolo, richiedere cibo, richiamare attenzione, ecc.).
Per esempio, ancora, l’uomo è connotato dalla socialità, cioè è portato a vivere con i suoi simili non solo per l’utilità materiale della vita in comune, ma anche perché dagli altri può ricevere un sostegno sul piano etico, cioè gli altri gli impartiscono insegnamenti sul bene e sul male, possono essere modelli di vita, fonti di esortazione, compagni nel cammino morale, amici che condividono gioie e dolori, ecc.
Dunque le comunità umane si distinguono dalle aggregazioni degli animali perché ricercano la verità e il bene e non solo l’utile.
Inoltre la socialità è strutturale per ognuno di noi, perché per costituire la nostra identità noi abbiamo bisogno fin dalla più tenera infanzia dell’affetto altrui:
chi non si sente affettuosamente accolto non riesce ad attivare le sue capacità fondamentali.
Notiamo che l’uomo esercita la socialità proprio perché è di natura razionale e dunque si interroga sul bene, lo esprime attraverso il suo peculiare linguaggio e cerca di favorirlo mediante l’amore, cioè, realizza la propria socialità, mettendo in comune la verità e favorendo la comune ricerca del bene.
Con ciò abbiamo già capito che l’uomo realizza la sua socialità perché è capace di amare: comprendiamo ora meglio che razionalità significa capacità di esercitare operazioni cognitive, ma anche capacità di amare e l’amore non consiste nel cercare l’utile o il piacere personale per mezzo di un altro uomo, ma cercare il suo bene, promuovere la sua felicità, cercare la comunione interpersonale, perché l’amore è forza che fa dirigere verso gli altri, che proietta verso l’amato e che produce la comunione quale partecipazione alla vita di chi si ama.
Ancora, essere razionale equivale a possedere la libertà, cioè la volontà umana può, almeno in parte, dare a se stessa motivazioni per agire o non agire, per agire in un modo o in altri, senza essere mossa dall’esterno, può selezionare tra alternative, può iniziare delle azioni senza essere solo il tramite di un movimento che proviene esternamente all’uomo e che egli si limita semplicemente a trasmettere (come la tessera di un domino). Inoltre, l’uomo è artista, perché abbiamo visto che è in grado di cogliere la bellezza e cerca di rappresentarla e di immortalarla in opere che non hanno una finalità pratica, bensì sollecitano l’ammirazione e lo stupore disinteressato, cosicché nella fruizione artistica l’uomo si immerge nell’oggetto bello e lo contempla quasi rapito, diventando un “puro occhio del mondo” (Schopenhauer), cioè un essere dimentico dei propri bisogni e dei propri desideri, almeno per qualche tempo.
Ma razionalità equivale anche a spiritualità, cioè l’uomo è un essere teoretico, sociale e capace di amare, libero e artista, perché è costituito di corpo ma anche di spirito e può “distaccarsi” dalle esperienze che vive e non essere determinato dalle leggi fisiche che determinano completamente la materia (qui non possiamo dimostrare la spiritualità dell’anima, perciò rimandiamo a Il Timone n.18, pp. 44-45).
E dal fatto che l’uomo è costituito anche dallo spirito comprendiamo che esso non è generato a partire dalla materia dei genitori di ognuno come avviene al corpo, bensì è creato e infuso da Dio in ogni persona al momento del concepimento. Con ciò arriviamo al vertice della nostra ricognizione, perché giungiamo alla religiosità umana. Molti filosofi (per es. Hegel e Cicerone) hanno rimarcato ciò che anche gli antropologi e gli etnologi sostengono: l’uomo da sempre esercita delle attività religiose e solo gli animali non hanno una religione. La definizione più incisiva dell’uomo è allora questa: l’uomo è un essere al cospetto di Dio, in relazione con Dio, cioè intrattiene un rapporto personale con Dio: “ogni singolo uomo, qualunque sia la sua condizione: uomo, donna, ragazza di servizio, ministro, commerciante, studente ecc. […] esiste davanti a Dio! Questo singolo uomo che forse sarebbe orgoglioso di aver parlato una volta in vita sua col re, quest’uomo che si vanta tanto di vivere in rapporti cordiali con questa e quest’altra persona famosa, ecco che quest’uomo esiste davanti a Dio, può parlare con Dio in qualsiasi momento, sicuro di essere ascoltato: insomma quest’uomo è invitato a vivere nei rapporti più familiari con Dio!” (Kierkegaard).
Ed è proprio questa sua relazione con Dio che gli conferisce una dignità intangibile e grandiosa ed è proprio Dio il senso e il fine ultimo della sua vita. Infatti Dio crea liberamente l’uomo senza guadagnarne nulla, perché Egli è già perfetto: dunque Dio lo crea per amore e per amore continua a farlo esistere, lo tiene come sul palmo della mano, altrimenti l’uomo scomparirebbe nel nulla. E allora l’amore di Dio per l’uomo fonda la libertà umana, spiega il suo fine e quello della razionalità, della socialità, dell’amore e di tutte le prerogative dell’uomo.
Kierkegaard propone a tal riguardo un ribaltamento di prospettiva del comune modo di pensare la relazione Dio-uomo: Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: “È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio” all’uomo “possa dire quasi come un pretendente […]: Mi vuoi tu, sì o no?”. Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e “Il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?”, cioè Dio vuole essere riamato liberamente: l’uomo “come tale ha valore infinito, ed essendo l’oggetto e le scopo dell’amore di Dio, è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e a far che questo spirito dimori in lui: cioè l’uomo è in sé destinato alla somma libertà” (Hegel).
L’UOMO
“L’uomo non può vivere senza amore.
Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso”.
(Giovanni Paolo Il, Redemptor hominis, n. 10).
BIBLIOGRAFIA
Per una trattazione filosofica accessibile e rigorosa
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PER UN APPROFONDIMENTO
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Yarza, I. (a cura di), Immagini dell’uomo. Percorsi antropologici nella filosofia moderna, Armando, Roma 1997.
Dossier: Uomo, chi sei?
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 32 – 34