Da quasi trent’anni negli USA è in corso una guerra omosessualista, soprattutto nel campo della televisione e del cinema. Per promuovere una vera rivoluzione. Nelle serie tv e nelle fiction si gioca una grande battaglia culturale
In molti Paesi del mondo sono in discussione leggi sull’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio naturale. È il punto di arrivo legislativo di una strategia e di una vera e propria “occupazione del territorio” culturale, compiuta da persone che aderiscono all’ideologia gay soprattutto nel campo dei grandi media: la televisione e il cinema.
30 anni di serie tv omosessualiste
Nella stagione 2012-2013 è uscita in America una serie televisiva che appare in qualche modo come il punto di arrivo di un percorso che dura da almeno trent’anni e che aveva avuto una importantissima tappa con il film Philadelphia, del 1993, che, per la prima volta in un film per il grande pubblico, in modo molto sottile e furbo (facendo leva su buoni sentimenti come la solidarietà verso i malati e i deboli), portava avanti l’equiparazione delle relazioni omosessuali a quelle eterosessuali. La serie di quest’anno si intitolava The New Normal, e il titolo era già una dichiarazione di intenti. Parlava infatti dell’adozione di un bambino da parte di una coppia di omosessuali e, come ormai di consueto, voleva convincerci che va tutto benissimo e che chi si oppone è un retrogrado e un violento. Non a caso l’antagonista principale era una donna che, la prima volta che veniva inquadrata, aveva in mano una pistola con la quale minacciava un fidanzato della figlia: una donna molto conservatrice, vecchia, possessiva, ricca, violenta, antipatica, ipocrita… Insomma, in The New Normal c’erano tutti i cliché che potevamo aspettarci.
La serie ha avuto per fortuna ascolti mediocri, precipitando presto dagli iniziali 7 milioni (era stata annunciata con grandi squilli di trombe) fino a solo poco più di 2 milioni, ma, nonostante questo, la NBC l’ha mandata in onda un’intera stagione, prima di chiuderla (per ora) definitivamente.
Sceneggiatori e produttori gay
Il suo autore, Ryan Murphy, è uno dei non pochi showrunners (cioè autori principali, nello stesso tempo sceneggiatori e produttori – a volte anche registi di qualche episodio) di serie televisive contemporanee che sia dichiaratamente omosessuale e sostenitore dell’ideologia del gender, quella che considera le differenze sessuali una pura questione culturale e di scelta personale. È stato autore di diverse altre serie televisive, fra cui le più importanti sono Nip/Tuck, una serie fortemente trasgressiva su due chirurghi plastici, e Glee, una serie musical ambientata in una scuola, in cui l’agenda gay era portata avanti in modo molto determinato.
Una rivoluzione culturale
Siamo abituati a pensare che i media americani siano guidati solo dal business, ma il caso di The New Normal è solo l’ultimo di una lunghissima serie di decisioni prese dai dirigenti dei network che poco avevano a che fare con lo share e gli ascolti e molto di più invece con la volontà di promuovere un cambio culturale. Ne porta molte prove un libro uscito un paio di anni fa in Usa, Primetime Propaganda, di Ben Shapiro, che raccoglie molte interviste con dirigenti televisivi che ammettono che a guidarli nelle loro scelte di programmazione e di conferma o meno di serie televisive influivano moltissimo le componenti ideologiche. C’era (e c’è anche oggi) una forte volontà di usare la televisione come arma di un cambiamento culturale.
Oggi questa ideologia è assolutamente maggioritaria nell’ambiente di autori e produttori delle serie televisive, molto di più che non fra gli autori e produttori di cinema, che per motivi diversi (non ultimi la necessità di incassare) deve necessariamente essere più vicino all’“uomo comune” e ad una visione del mondo più tradizionale. Ogni anno il cinema americano offre almeno una ventina di bei film che dal punto di vista valoriale sono del tutto condivisibili, mentre invece la situazione è molto più grigia nel campo delle serie televisive. Da vent’anni a questa parte è davvero difficile trovare serie televisive che non portino avanti l’agenda dell’ideologia di gender, o non siano (se sono destinate ai canali via cavo, quindi liberi da preoccupazioni di tutela dei minori) grondanti sesso e violenza (e anche malanimo verso la Chiesa cattolica: vedi le recenti serie sui Borgia o su Leonardo Da Vinci). C’è qualche serie rimasta immune, ma sono davvero pochissime.
Finanziamenti a Obama (e non solo)
D’altra parte, il mondo dell’intrattenimento non è mai stato staccato – tanto meno in Usa − dalle grandi battaglie culturali e politiche. Siamo abituati a pensare il mondo della politica come sostanzialmente “altro” rispetto a quello dell’entertainment cinematografico o televisivo, o al mondo del giornalismo. Ovviamente non è così. Se si va a vedere la storia, i collegamenti sono molto, ma molto più stretti di quelli che siamo abituati a pensare.
Fu uno degli uomini più potenti di Hollywood, Lew Wasserman, di fede politica democratica, a promuovere la carriera politica di Ronald Reagan, prima incoraggiandolo a diventare presidente del sindacato degli attori (la Screen Actors Guild), e poi sostenendo la sua elezione a governatore della California. Reagan continuerà a frequentare assiduamente la casa di Wasserman che, da capo di una delle principali agenzie di attori e registi, aveva esteso il dominio dell’azienda fino ad acquistare la Universal, una delle più grandi major cinematografiche, che lui guiderà fino a ben oltre gli ottant’anni d’età. Wasserman sostenne poi Clinton, per il qualche aveva una grandissima simpatia e considerazione.
In anni più recenti, quando Obama era testa a testa con Hillary Clinton per la nomination democratica, ottenne un endorsement ufficiale da parte di David Geffen, multimilionario produttore musicale che era stato anche uno dei fondatori della Dreamworks, nonché omosessuale dichiarato e tra i leader indiscussi di Hollywood: molti osservatori sostengono che questo appoggio fu decisivo per il vantaggio che Obama prenderà sulla Clinton e che lo porterà poi a vincere le sue prime elezioni a presidente.
Altro interessante personaggio è quello che oggi è considerato l’agente numero uno di Hollywood, Ari Emanuel, capo di William Morris Endeavor (WME). Emanuel ha fondato negli anni ’90 la Endeavor, che in pochi anni è riuscita a fondersi con la centenaria William Morris, che ha dovuto cedere il comando a Emanuel e ai suoi uomini: oggi la WME rappresenta centinaia di star di primissimo livello, ed è una delle quattro agenzie – la più importante − che si dividono gran parte del coordinamento del lavoro dei grandi professionisti hollywoodiani. Il fratello di Ari, Rahm Emanuel, per diversi anni è stato a capo dello staff di Barack Obama, e nel 2011 è stato poi eletto sindaco di Chicago.
Non sorprende, allora, che – oltre a tutto il supporto che le celebrità di Hollywood hanno dato a Obama − nella cerimonia degli Oscar 2013, in modo inusuale e sorprendente, sia stata Michelle Obama a intervenire nel momento clou della cerimonia, quello dell’apertura della busta dell’Oscar al miglior film.
Un’immensa potenza culturale
Ma gli esempi potrebbero essere moltissimi. Certo è che questi due mondi sono molto più collegati di quanto noi siamo abituati a pensare e che il “potere” del mondo dell’entertainment ha una forza di convincimento che riesce a spostare l’opinione pubblica, nel giro di relativamente pochi anni, su temi che potevano un tempo essere considerati assodati o non discutibili né negoziabili.
Ecco perché cinema e televisione – non solo e non tanto nel giornalismo, ma nelle serie televisive o comunque più in generale nelle fiction − sono tutt’altro che qualcosa di frivolo o superficiale, ma sono oggi uno dei terreni più importanti su cui si giocano le grandi battaglie culturali.
DA NON PERDERE
Armando Fumagalli, Creatività al potere. Da Hollywood alla Pixar passando per l’Italia, Lindau, 2013.
Questo interessante volume entra all’interno dei meccanismi di creazione, sviluppo e realizzazione dei film, mostrando il ruolo che ha nella realizzazione dei progetti quell’insieme di professionisti, di aziende, di pratiche realizzative che ha il nome di Hollywood, e la cruciale importanza della specifica cultura e sensibilità di questi professionisti e la loro ideologia. Un capitolo è dedicato anche alla descrizione dell’industria italiana del cinema, che ha subìto una notevole trasformazione negli ultimi dieci anni. C’è anche un capitolo rivelatore sulle lobbies anticristiane che influenzano il cinema e la politica. Chiude il volume un capitolo sulla Pixar. L’azienda che ha prodotto Toy Story e altri dodici film (un record) di grandissimo successo, mostra come si possa diventare i numeri uno raccontando storie in sintonia con la cultura di radice cristiana.
Per saperne di più…
Gianfranco Bettetini – Armando Fumagalli, Quel che resta dei media, Angeli, edizione aggiornata 2010.
Armando Fumagalli, Creatività al potere. Da Hollywood alla Pixar passando per l’Italia, Lindau, 2013.
Ben Shapiro, Primetime Propaganda, Broadside Books, 2011.
IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 48 – 49
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