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13.12.2024

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Vangelo quasi una cronaca
31 Gennaio 2014

Vangelo quasi una cronaca

 

 

Sono (anche) documenti storici, attendibili, scritti pochi anni dopo la morte di Cristo. I testimoni erano vivi e potevano smentirli. Ma non l’hanno fatto.

 

 

E in corso una disputa tra studiosi dei Vangeli. La contesa verte intorno alla loro credibilità storica.
Quanto c’è di vero, di realmente accaduto in quello che riportano i Vangeli? E quanto è stato aggiunto dai loro autori per scopi pedagogici, o semplicemente propagandistici?
Per chi sostiene la piena credibilità storica dei Vangeli, Marco, Matteo, Luca e Giovanni scrissero in anni vicini ai fatti che raccontano, quando i testimoni oculari della vita di Cristo erano vivi e potevano smentirli, chiudendo definitivamente il conto con la neonata Religione.
Tutto questo, però, non è successo, nonostante il clima ostile, l’ambiente avverso, la persecuzione in corso. Segno che chi scrisse i Vangeli era consapevole di dire cose realmente accadute e non temeva di essere sbugiardato.
La datazione dei frammenti antichi genera contrasti fra studiosi.
Il fatto è comprensibile. Che i vangeli siano stati scritti in epoca vicinissima ai fatti che raccontano, quasi fossero una cronaca, mentre testimoni oculari erano vivi, è un dato che gioca certamente a favore della loro credibilità storica.
Impossibile mentire per Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Se scoperti, questo avrebbe significato la fine del Cristianesimo. Un rischio troppo grande, dunque.
Il ritrovamento, nelle Grotte di Qumran, di un frammento di papiro che contiene 20 lettere in lingua greca, catalogato con la sigla “7Q5”, datato l’anno 50, ha scatenato una vera e propria bagarre.
José O’Callaghan, gesuita, papirologo di fama, docente del Pontificio Istituto Biblico di Roma, nel 1972 attribuisce le lettere del frammento 7Q5 a Marco 6, 52-53.
Nel 1986, un altro papirologo, un luterano, Carsten Peter Thiede, conferma la tesi di O’ Callaghan. Anche il computer gli dà ragione: quelle lettere appartengono sicuramente a Marco.
Ne consegue che a soli 20 anni dalla morte di Gesù, il Vangelo di Marco era già stato tradotto in greco. Ma questo vuoI dire che l’originale, scritto in aramaico, fu redatto anni prima, probabilmente all’inizio del decennio compreso tra il 40 e il 50 d.C.
Marco ha scritto in epoca così vicina ai fatti che racconta da rendere praticamente impossibile inventare miracoli, aggiungere fatti, modificare episodi riguardanti la vita di Gesù. Il pericolo di essere smentito da testimoni oculari era troppo grande.
Una vera e propria storia, quella di Marco, anzi: quasi una cronaca, il che gioca a favore della credibilità del suo Vangelo.
Non è tutto. Tre frammenti di papiro, custoditi ad Oxford, datati fra il 60 e il 70 d.C., contengono versetti del Vangelo di Matteo. Sono in lingua greca, mentre Matteo scrisse in aramaico.
Ne consegue che Matteo ha scritto il suo Vangelo ben prima, forse appena dopo il suo collega Marco, anch’ egli senza timore di essere smentito da testimoni oculari ancora vivi. Un altro dato che gioca a favore della credibilità storica del suo Vangelo.
Persino la datazione del Vangelo di Giovanni, che molti fanno risalire alla fine del I secolo, sembra vada corretta.
L’autore, al capitolo 5, dà per scontato che a Gerusalemme ci sia la Piscina di Betzaetà, con cinque portici, e che sia in funzione. Ma dopo l’anno 70, causa la distruzione della città da parte dei Romani, questo non sarebbe stato possibile.
È dunque probabile che anche Giovanni abbia scritto il suo Vangelo pochi anni dopo la morte di Cristo. Fatto che segna un punto a favore della sua credibilità storica.

RICORDA

“La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima che i quattro Vangeli, di cui afferma senza alcuna esitanza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù, Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettiivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza”.
(Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19)

IL TIMONE – N.2 – ANNO I – Luglio/Agosto 1999 – pag. 7

 

 

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