Rebecca, come è già stato detto, sapendo che Esaù vuole uccidere Giacobbe, gli chiede ancora di obbedire alla sua voce: «fuggi a Carrai da mio fratello Labano». Anche Isacco teme il furore di Esaù ed esorta anch’egli Giacobbe a fuggire presso lo zio materno. Il fatto sorprendente è che Isacco proferisce su Giacobbe un’altra benedizione: «Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga un’assemblea di popoli.
Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te». Isacco ha dunque compreso che è Giacobbe il prediletto da Dio e accetta quella dolorosa separazione da lui, purché egli si salvi.
Ora Giacobbe intraprende, solo, quel lunghissimo viaggio. Quando scende la notte deve fermarsi ed è scritto che «prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo». È scritto ancora che: «fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli stava davanti e disse: “io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza avere fatto tutto quello che ti ho detto».
Giacobbe si sveglia: le parole del Signore, una per una, si incidono nella sua mente. Egli comprende che quel sogno non è solo un sogno, ma una manifestazione meravigliosa di Dio. Pensa addirittura che quel luogo, ove egli si trova, sia la dimora di Dio (Bel-El). Cerca di fissare sul terreno la pietra che si era posta sotto il capo, la consacra ungendola con olio e, infine, dice che se il Signore lo proteggerà e lo aiuterà, egli sarà il suo Dio.
Fino a quel momento Giacobbe, che certamente aveva sentito narrare le grandi vicende del suo nonno Abramo, non aveva avuto un’esperienza diretta del contatto con Dio. Ma, da quel momento, la luce di quella visione dovette splendere in lui, dandogli una forza e una gioia sovrumane. E quando giunge nel paese degli orientali e chiede di Labano a dei pastori, ecco che essi gli indicano la sua giovane figlia Rachele che veniva verso di loro con il gregge.
Fu il primo grande dono che il Signore gli fece. Giacobbe era giunto alla meta. Ed è scritto che, dopo aver fatto rotolare lui la pietra dalla bocca del pozzo per far bere le pecore di Labano, egli «baciò Rachele e pianse ad alta voce», rivelandole che era suo stretto parente, essendo figlio di Rebecca.
Ahimè, dopo l’entusiasmo iniziale per quell’incontro, Labano accolse la proposta di Giacobbe di lavorare per lui sette anni per ottenere in sposa Rachele. Dal primo momento che l’aveva vista, infatti, egli era stato preso dalla sua grazia e dalla sua bellezza. Ed è scritto che: «Giacobbe servì (Labano)… sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei». Neanche lontanamente Giacobbe pensò di unirsi a lei “prima” che fossero celebrate le nozze. E quel lungo fidanzamento durò sette anni. Questi sono gli insegnamenti della Sacra Scrittura. Il vero amore è una misteriosa forza spirituale che prende tutto l’essere e lo trasforma, che lo porta in un’esaltazione nota solo a chi la vive e non coincide necessariamente con la sessualità. L’attrazione sessuale può esservi senza l’amore. L’amore è una “invenzione” sublime di Colui che nella sua essenza «è amore». Quel grande amore per Rachele non fece pesare a Giacobbe le estenuanti fatiche che egli dovette sostenere per quei sette anni, come pastore dei greggi di Labano. La generosità e la purezza di Giacobbe stavano dinanzi a Colui che tanto lo amava e che, tuttavia, lo avrebbe ancora messo a durissima prova…
(continua)
IL TIMONE N. 24 – ANNO V – Marzo/Aprile 2003 – pag. 60