Il tragitto che ha portato all’esito funesto dell’avventura umana di Piergiorgio Welby, il malato che ha chiesto e ottenuto di essere ucciso per abbreviare le sue sofferenze, conferma, ancora una volta, una dura verità. Una verità che è bene rammentare senza giri di parole: la battaglia che si sta svolgendo ai nostri giorni, che riguarda tutti, è quella tra la vita e la morte, la cultura della vita e la cultura della morte.
Narra il Vangelo che il Dio nel quale crediamo, Gesù Cristo, è il Dio della vita. Egli ha vinto la morte, riprendendosi la vita tre giorni dopo la sua crocifissione, a scorno di quanti si erano illusi che la partita con lui fosse definitivamente chiusa, e assicurando la stessa vittoria ai suoi discepoli. AI di fuori di questo Dio, va detto con franchezza, non resta altro che il trionfo della morte.
Rincresce essere così crudi e trancianti, ma quel che è successo ci conferma nel duro giudizio.
Tanto Welby quanto gli amici che lo hanno circondato fino agli ultimi, tribolati momenti della sua esistenza si ponevano dichiaratamente al di fuori della prospettiva cristiana. Costoro, quelli dell’Associazione Luca Coscioni e del Partito Radicale, hanno agito con spietato accanimento perché si ponesse fine al più presto alla sua vita sofferente. Di fronte alla drammatica infermità, altro non hanno saputo fare che sgolarsi, combattere, indire scioperi della fame perché morisse.
Questo è il dato di fatto. Che non si può occultare dietro la menzogna più volte proferita nel corso del funerale “laico”, secondo la quale la battaglia di Welby e il gesto dell’anestesista che lo ha soppresso sono da giudicarsi come autentico inno alla vita. Bugia. Sono stati l’esito inevitabile, tragico e tremendo di chi vive senza e contro Dio. Un esito mortale.
Una conferma, dicevamo. Sì, perché il trionfo della morte – non della morte biologica che tutti ci attende – ma della morte senza speranza cristiana, della morte come ultima, definitiva parola della umana esistenza, è ben visibile nella prospettiva all’interno della quale si muovono quegli avversari di Dio.
Essi hanno fatto della morte il loro vessillo. La bramano, la caldeggiano, la diffondono come un virus per ammorbare l’uomo e la civiltà. È la morte il comune denominatore di quelle che essi chiamano “battaglie civili”.
Mirano alla morte della famiglia con l’introduzione del divorzio e oggi con l’aberrazione dei matrimoni (sic) gay. Hanno voluto, e ottenuto, la morte di innumerevoli esseri umani – quattro milioni soltanto in Italia – con la legalizzazione dell’aborto. Inseguono la morte di tanti giovani ingannandoli con la menzogna dell’innocuità delle droghe leggere. E puntano ora alla morte dei malati terminali, poi degli anziani, infine – vedrete, se nessuno li ferma – di coloro che risulteranno non più utili al tipo di società cui tendono.
È così! Le forze che si muovono consapevolmente in un orizzonte anticristiano sono impegnate – malgrado si trovino tra loro anche anime sincere, ingenue e ingannate – ad operare per la morte. E sono destinate inesorabilmente a raggiungere esiti letali, perché si oppongono al Dio della vita.
Lo sconcerto che rischia di immobilizzare il nostro animo, quando osserviamo la straripante sequela con la quale quelle forze ottengono risultati impensabili fino a pochi anni orsono, è una tentazione che dobbiamo vincere. E la vinceremo se, con l’aiuto di Dio, rinnoveremo il fermo proposito di non retrocedere, di continuare la battaglia, di impedire a quelle forze di causare ulteriori danni.
A vista umana, sembra che la storia cammini con il loro passo, la loro strategia sia vincente, il loro avanzare inarrestabile. Sembra. Ma non è così.
Con buona pace degli urlatori alla Pannella, i conti li faremo tutti alla fine: quando il Dio della vita, somma misericordia ma anche infinita giustizia, caccerà la morte negli abissi dell’inferno. Dove rischiano di sprofondare, se non si ravvedono per tempo, anche coloro che l’hanno servita in questa vita.
Ricordiamo agli abbonati che quest’anno saranno celebrate tre Sante Messe alla settimana per loro e per le loro intenzioni. È il nostro modo di ringraziarli per l’attenzione con la quale seguono “il Timone”.
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 3