Espressione della legge naturale, vita, famiglia e libertà di educazione sono principi non negoziabili. La vita in particolare, per difendere la quale non bisogna tanto guardare alla legge positiva, ma all’insegnamento della Chiesa e alla propria coscienza
«Ci sono valori per i quali vale la pena di morire»: così si è riferito ai beni-valori non negoziabili il cardinal Angelo Bagnasco lo scorso 4 settembre. L’espressione «valori non negoziabili» è divenuta corrente nel dibattito pubblico dopo un famoso discorso del 30 marzo 2006 fatto ai politici del Partito Popolare Europeo da Benedetto XVI, che ha insistito molte volte sul valore incommensurabile di questi beni. Ma la menzione del Papa e del cardinal Bagnasco non deve trarre in inganno: per promuovere e difendere strenuamente questi valori non c’è affatto bisogno di essere cristiani. Essi e la loro importanza sono accessibili anche ai non credenti (dopodichè la fede cristiana può aumentarne la valorizzazione): lo prova (anche) la promozione di alcuni di essi, o di tutti, da parte (per fare solo alcuni nomi recenti e italiani) di Norberto Bobbio, Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Marcello Pera.
Valori non negoziabili e legge naturale
I valori non negoziabili equivalgono, grosso modo, ai beni primari che l’antica tradizione della legge naturale ha progressivamente prescritto di tutelare. Una tradizione (che ha diverse formulazioni al suo interno) che annovera moltissimi pensatori, come Aristotele, Cicerone, Agostino, Tommaso d’Aquino, Locke, Grozio, Kant (fatte per lui le debite precisazioni), fino agli odierni Finnis, Grisez, Rhonheimer, ecc: sono solo alcuni nomi tra tanti, e i primi due autori citati non erano cristiani. La legge morale naturale è l’insieme dei principi morali immutabili, validi sempre e per ogni uomo, che la ragione è in grado di cogliere da sola: per esempio «non assassinare ». E i beni-valori non negoziabili sono la vita, la famiglia, la libertà di educazione e la libertà religiosa ed esigono una somma tutela, dando luogo a dei diritti importantissimi, per esempio il diritto alla vita.
Perché precedono?
I beni non negoziabili hanno la preminenza su altri valori, pur importanti e preziosi, come la giustizia sociale, l’eliminazione della povertà, la solidarietà, l’accoglienza degli stranieri, la pace, ecc. Meglio: non soltanto sono gerarchicamente preminenti rispetto agli altri e non si possono mettere su un piatto della bilancia collocando sull’altro piatto gli altri valori (sarebbe come pesare con una bilancia a due piatti l’oro e l’argento: sono entrambi preziosi, ma l’oro lo è di più), ma, negando i primi, si negano anche i secondi.
Infatti, come ha detto efficacemente Bagnasco il 17 ottobre a Todi, con essi «sono in gioco […] le sorgenti» dell’uomo e degli altri valori. Lo stesso Bagnasco ha fatto alcuni esempi (il primo ripreso dal Papa) circa l’inaridimento degli altri valori prodotto dalla negazione della loro sorgente, che consiste appunto nei valori non negoziabili: «“Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, §. 28)». Infatti, che senso ha parlare di accoglienza degli immigrati se non si accoglie la vita, cosa che avviene tralasciando di combattere, o (peggio ancora) praticandoli, l’aborto e l’eutanasia, i quali uccidono l’essere umano nel grembo materno e il malato o il disabile?
E, similmente, che senso ha parlare di difesa dei deboli, poveri e indifesi se non si difendono o (peggio ancora) si uccidono gli esseri umani più deboli, poveri e indifesi, cioè quelli nel grembo materno o in stato di incoscienza? Infatti, come ha detto Bagnasco, «chi è più debole e fragile, più povero, […] più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora [cioè l’embrione] o, forse, non l’ha più [cioè chi è in stato cosiddetto “vegetativo”]?».
Ancora, una società che promuove la solidarietà, ma non tutela la vita e la famiglia fondata sul matrimonio, in realtà non è solidale con l’uomo, bensì «lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità». Non solo abbandona il concepito e l’essere umano incosciente, che hanno massimamente bisogno di essere protetti da coloro che li vogliono uccidere, ma abbandona anche il bambino e il ragazzino, che hanno bisogno di un padre e di una madre uniti con il legame il più forte possibile: nonostante i molti divorzi, ci sono dati inoppugnabili sulla maggiore tenuta del matrimonio rispetto alle convivenze, cosicché i “pacs” (o i “dico” progettati dall’allora ministro Rosy Bindi) non solo terminano molto più facilmente dei matrimoni, ma inoltre indeboliscono il matrimonio stesso, perché creano una forma di relazione più attraente (dato che comporta per i conviventi quasi gli stessi diritti dei coniugi, senza quasi nessuno dei loro doveri) che gli è alternativa e concorrenziale.
Similmente, chi promuove la lotta contro la povertà e l’emarginazione entra in contraddizione con se stesso se colpisce o non difende la famiglia edificata sul matrimonio tra uomo e donna. Infatti, come ho documentato in diversi miei articoli, tre dei quali sul Timone (Genitori separati. I figli soffrono nonché La famiglia? È cruciale per l’economia, parte I e parte II, il primo uscito su “il Timone”, n. 63 e reperibile anche su www.iltimone.org, gli altri due su “il Timone”, nn. 106 e 107, e disponili sul sito di questa rivista dopo sei mesi dalla pubblicazione), a cui devo rinviare, quando si sfasciano le famiglie, la povertà, l’emarginazione, la sofferenza psichica e la delinquenza aumentano spaventosamente.
Potremmo fare molti altri esempi, ma questi bastano per affermare, citando di nuovo Bagnasco, che «Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società […] germoglia e prende linfa dai primi», dai valori non negoziabili. Ed «Ecco perché nel “corpus” del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva».
Il diritto alla vita
Per quanto riguarda quel valore non negoziabile che è la tutela della vita, da quanto fin qui detto dovrebbe emergere già il motivo della sua importanza cruciale e il dovere categorico di difenderlo dall’assassinio. L’assassinio, cioè l’uccisione volontaria di uomini non aggressori e non combattenti, elimina esseri umani e con ciò stesso elimina sì la loro eventuale povertà e malattia, ma solo togliendoli dalla faccia della terra! Se la strategia di cancellazione della povertà, della malattia, della disuguaglianza ecc. attraverso l’uccisione di uomini fosse sensata, per condurla del tutto a termine basterebbe far deflagrare un numero sufficiente di bombe nucleari e sterminare totalmente il genere umano. Dopodichè non ci sarebbero più ingiustizia, povertà, emarginazione, ecc., perché non esisterebbero più esseri umani…
L’essere umano non aggressore e non combattente ha un diritto alla vita inviolabile perché, come ha detto icasticamente Kant, mentre le cose hanno un prezzo, che è misurabile, gli uomini non hanno prezzo, bensì una dignità-preziosità incommensurabile. Del resto, sulla clamorosa malvagità dell’assassinio c’è ancora abbastanza consenso.
Il dissenso comincia quando bisogna individuare l’assassinio. Per molti l’eutanasia non è un assassinio (ho cercato di dimostrare che lo è, anche quando avviene con delle attenuanti, cioè anche quando riguarda dei sofferenti molto gravi, cfr. Eutanasia e suicidio: che giudizio dare?, “il Timone”, n. 80, reperibile su www.iltimone.org) e per molti l’aborto non è omicidio (in Aborto, una valutazione filosofica, su “il Timone”, n. 72, anch’esso reperibile sul sito di questa rivista, ho cercato di dimostrare che l’aborto – anche se molti non ne sono consapevoli – è l’uccisione di un uomo e il fatto che talvolta maturi in circostanze drammatiche è un’attenuante, ma non una scusante; ovviamente è molto più grave quando avviene per ragioni futili).
Non c’è bisogno di essere credenti per condannarli: per esempio Giuliano Ferrara ha scritto (il 20 ottobre 2011 su il Foglio) che l’aborto «è il massimo omicidio possibile perché preclusivo di tutto il futuro della persona».
Il problema della legge positiva
Un ultimo accenno. Data la preziosità dei valori non negoziabili fin qui argomentata laicamente (ribadiamolo), una legge che li calpesta è un cancro sociale.
Così, da un lato, un politico che la promuove non dev’essere votato e sponsorizzato. Chi lo fa (anche se lo facesse perché quel politico promuove altri valori) è (nella misura del suo voto e del sostegno che ha dato) corresponsabile delle conseguenze nefaste della legge promossa da quel politico. È per questi motivi laici che la Chiesa condanna aspramente chi vota questi politici e queste leggi. Come dice la Evangelium vitae di Giovanni Paolo II al § 73, «Nel caso […] di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l’aborto o l’eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, “né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto”». E «la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, www.vatican.va).
D’altro canto, il § 73 della Evangelium vitae spiega altresì che ci possono essere dei casi in cui è possibile votare una legge che contrasta sì (purtroppo) dei beni non negoziabili, ma riduce la loro violazione rispetto ad altre leggi precedentemente emanate o che qualcuno sta per riuscire a promulgare. Ad esempio, «in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto […] quando non fosse possibile scongiurare [corsivo nostro] o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni [corsivo già nel testo] di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui». Si noti l’espressione «scongiurare […] una legge», perché scongiurare è un verbo che riguarda il futuro, si riferisce ad una cosa che non è ancora avvenuta, tanto è vero che esso è usato nel § 73 in alternativa al verbo abrogare, che invece si riferisce a qualcosa che c’è già. Quindi questo § 73 giustifica anche un parlamentare che vota una legge abortista sebbene in quel momento nel suo Paese non ci sia alcuna legge abortista, lo giustifica se la vota perché sta per essere promulgata una legge abortista peggiore.
Pertanto, in una situazione in cui non c’è alcuna legge (come nel far west) a tutela di certi beni non negoziabili ed in cui avviene già la negazione di tali beni, un politico è moralmente autorizzato a votare una legge che lede valori non negoziabili se altri politici stanno elaborando leggi peggiori, che rischiano di essere promulgate. Ovvero può farlo se proprio non è possibile scongiurare qualsiasi legge anti-bene non negoziabile e deve manifestare la propria personale assoluta opposizione alla violazione del bene non negoziabile prodotta dalla legge che egli vota.
Dossier: I PRINCIPI NON NEGOZIABILI
IL TIMONE N. 108- ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 36 – 38
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