di Benedetta Frigerio
«Stanno cercando di entrare nelle scuole elementari della città e non si fermeranno finché non riusciranno a portare il loro progetto nelle aule in cui fanno lezione bambini dagli 8 ai 10 anni d’età». A spiegare a tempi.it il tentativo di diffondere l’ideologia gender fra gli alunni degli istituti primari di Cagliari è Eugenio Lao, coordinatore regionale dell’Associazione famiglie numerose che siede nel direttivo del Forum delle famiglie della Sardegna.
IL BANDO DELLA DISCORDIA
Tutto è cominciato nel gennaio 2014, quando la Commissione pari opportunità del Comune, presieduta da Elisabetta Dettori, decise di destinare diecimila euro di fondi residui del 2013 a un progetto didattico che prevedeva corsi di educazione alle differenze di genere, di orientamento sessuale e rispetto delle minoranze nelle scuole elementari del capoluogo. Scoppiò una polemica a cui seguì la scoperta che la cooperativa Agape aveva vinto il bando comunale intitolato “Manifestazione d’interesse per l’abbattimento degli stereotipi di genere ed educazione alle differenze nelle scuole cittadine”, e affidato il compito di implementarlo all’associazione Snoq (“Se non ora quando”).
«Qualcuno di noi – racconta Lao – lesse la notizia sul sito del Comune e, consapevole della matrice di provenienza di Snoq, che appoggiò pubblicamente l’elezione del sindaco di Sel di Cagliari, Massimo Zedda, si insospettì». In effetti, il contenuto del progetto veniva presentato con gli stessi termini utilizzati dal controverso piano educativo dell’Unar “Abbattiamo gli stereotipi di genere”, da diffondere nelle scuole italiane. Per questo, «con il Forum delle associazioni familiari, avanzammo la richiesta di accedere agli atti e, dopo non poche resistenze, nonostante viga il diritto di educazione dei genitori, ci fu inviata una copia del progetto».
ROSSETTI E FIABE
I sospetti furono confermati. Non più visibile online ma visionato da tempi.it, il progetto parlava, ad esempio, della «necessità di trasmettere una moltitudine di modelli ai bambini e alle bambine», oppure dell’obiettivo di «far riflettere i bambini sulle connotazioni dell’essere maschio e femmina rispetto alla propria appartenenza di genere», che, tradotto, significa far divergere le proprie preferenze sessuali dal sesso biologico. Il tutto esplorato «in maniera divertente e giocosa», affinché i bambini conoscessero «i loro diritti e doveri con particolare attenzione alle Pari opportunità».
A quel punto il Forum delle associazioni familiari, l’associazione Famiglie numerose e l’associazione Giuristi per la vita, scrissero ai tre dirigenti scolastici già coinvolti, dell’istituto Pirri, Mulinu Becciu e del Convitto Nazionale, informandoli che «in questo tipo di attività, che verrà proposta nelle scuole, spesso descritte con terminologia ambigua e ingannevole, e purtroppo già svolte presso altre scuole della penisola, i bambini vengono “sessualizzati” con giochi, fiabe, rappresentazioni teatrali. In alcune scuole è stato per esempio consegnato ai bambini maschi un rossetto, sono stati invitati a metterlo sulle labbra ed è stato quindi chiesto come si sentivano; in altre scuole è stato proposto ai bambini maschi di giocare con le bambole ed altre sperimentazioni simili». E ancora che «questa ideologia sostiene che “maschio” e “femmina” sono il passato, il sesso è un’opinione, l’omosessualità è innata e i gay e le lesbiche hanno il diritto di creare coppie che saranno il fondamento di un nuovo tipo di famiglia».
UN NUOVO GERGO
Per destare l’attenzione di tutta la città, il forum decise di coinvolgere la stampa locale, sollevando la protesta dei genitori «che inondarono il Comune di lettere», spiega Lao. «Furono costretti a bloccare tutto, dato che la legge chiede il consenso dei genitori e degli organi scolastici per qualsiasi progetto extracurricolare, che, quanto meno, deve essere inserito nel Pof, in base al quale le famiglie scelgono la scuola a cui iscrivere i figli». Eppure, nonostante lo stop e le proteste, a settembre Agape e Snoq hanno presentato un nuovo piano di 230 ore per l’anno scolastico in corso, intitolato “Alla scoperta della differenza”. Ad adottarlo nelle classi dalla terza alla quinta elementare sono stati altri due istituti, il Ciusa e il Colombo di Cagliari. I contenuti appaiono diversi, ma Lao spiega «che dietro lo stesso progetto, solo edulcorato, si nascondono i contenuti di quello precedente: un insegnante ci ha contattato spiegandoci che nella presentazione al corpo docenti è stata illustrata la teoria gender, motivo per cui ci siamo riattivati informando di nuovo la dirigenza scolastica. Anche se credo che la cooperativa non si fermerà finché non avrà implementato il piano e riscosso la cifra di 8.500 euro prevista dal bando».
CHI RAPPRESENTA LE FAMIGLIE?
Ciò che Lao teme di più è l’idea che si portino progetti sperimentali nelle scuole, «perché non possiamo permetterci di fare esperimenti sui nostri bambini come fossero cavie. Da quanto accaduto abbiamo capito che è quanto mai necessario formare un coordinamento regionale che preveda la presenza di due o tre famiglie in ogni scuola per monitorare la situazione. Mi occupo di politiche familiari da tanti anni: certamente servono le firme e i ricorsi, ma non senza di noi. Non c’è più nessuno che rappresenti la famiglia? Bene, si deve rappresentare da sé, tornando a educare senza deleghe. E stando in tutti gli ambiti, scolastici, associativi, economici e politici»
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