Padre Santiago Cantera, priore della comunità benedettina della Santa Croce, della Valle dei Caduti, nella Sierra di Guadarrama, a pochi chilometri da Madrid, è stato intervistato pochi giorni fa da Misión Magazine. Il religioso che dice di aver sentito la chiamata alla vita religiosa sin da bambino, ha raccontato della sua vocazione dopo una lunga vita da laico, assicurando, proprio per esperienza personale, che il cristiano deve essere nel mondo ma non del mondo.
«Già da bambino ho sentito la chiamata dopo aver incontrato alcuni cistercensi. È scoccata una scintilla che è cresciuta nel tempo. Ho vissuto un corteggiamento, ho fatto il servizio militare e ho frequentato l’università. Fino a quando ho scoperto pienamente la chiamata del Signore alla vita monastica, proprio nei benedettini, una vita contemplativa dove c’è anche un certo apostolato».
Un compito che, tuttavia, subisce attacchi quotidiani da parte del “mondo”. Sottolinea, infatti, che persino la grande croce che sorge sul monastero è oggetto di odio, in particolare da parte della sinistra: «In Spagna c’è l’odio verso la croce. Ci sono state dichiarazioni da parte dei media e dei politici che hanno chiesto esplicitamente la demolizione di questa croce. La croce, infatti, è segno di contraddizione: Gesù Cristo stesso è segno di contraddizione tra gli uomini perché porta un messaggio di verità e di amore, e molti lo respingono».
Ma bisogna resistere strenuamente, sottolinea il religioso, ricordando che nella Valle sono sepolti 70 beati e 44 servi di Dio e martiri che ci insegnano la fermezza della fede, la serenità nel momento del martirio e il perdono per i carnefici. Una consapevolezza che lo rimanda direttamente, per contrasto, alla crisi della Chiesa che, secondo il Priore, è dovuta ad un suo eccessivo zelo nel cercare di adeguarsi al mondo, nell’errata convinzione che adattandosi al pensiero di questa terra, si possa attirare più gente.
«Il mondo ci assorbe. Il cristiano deve essere nel mondo, ma non del mondo. Non possiamo servire due padroni. Se soccombiamo al mondo, mondanizziamo il messaggio di Cristo e non cristianizziamo la società» – afferma. Un mondo in cui operare ma che fagocita, come aveva capito bene san Benedetto, dice padre Santiago: «L’opzione di san Benedetto non fu un ritiro per fuggire davanti ad una civiltà che affondava, ma un’intensa ricerca di Dio. Potrebbero esserci momenti in cui dovrai ritirarti per riprendere forza e formare legami comunitari così, da lì, puoi irradiare fede. Ma il cristiano non può semplicemente fuggire. Ha sempre la missione di evangelizzare con i mezzi a sua disposizione».
Dunque un gioco di equilibri in cui la missione evangelizzatrice, nella realtà che ci circonda, non ci porta a perdere la nostra identità e nemmeno ad isolarci. Evangelizzare, calarsi nella realtà, dunque, ma tenendo sempre lo sguardo fisso sulla croce e su tutto ciò che comporta abbracciarla: «Viviamo accanto alla croce più grande del mondo. Il cristiano scopre il senso della vita sulla croce, e abbracciarla nei momenti difficili dà un significato trascendente». Ciò fa sì che nelle persecuzioni «insieme al mistero redentore di Cristo, questo dolore offerto ha un valore positivo per la salvezza dell’umanità e per riparare tutte quelle mancanze di amore verso Dio».
(Fonte foto: Screenshot YouTube)
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