Si è dimessa Margherita Ulisse, la giovane infermiera del pronto soccorso dell'ospedale di Voghera (Pavia) che nei giorni scorsi era finita al centro delle cronache per avere negato per ben due volte l'accesso al reparto di ginecologia ad altrettante ragazze ventenni che volevano farsi prescrivere la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, quella che consente di evitare la gravidanza entro le 72 ore da un rapporto sessuale praticando un aborto chimico. Ripetiamo: aborto. Come si evince, la "pillola del giorno dopo" negata dall'infermiera alle due ventenni è un preparato a base di Levonogestrel comunemente in vendita nelle farmacie italiane da anni, ovvero il famoso e famigerato Norlevo. E il Norlevo, nonostante l'opinionismo diffuso, ivi compreso quello del Tar del Lazio (che sul punto ha emesso mesi fa una sentenza strana), è potenzialmente abortivo. Agisce cioè indifferentemente: da anticoncezionale se nell'utero materno, dopo il rapporto sessuale, l'embrione non è ancora stato fecondato impedendo che ciò accadda e da abortivo uccidendo l'embrione qualora la fecondazione sia già avvenuta.
"L'Azienda ospedaliera della Provincia di Pavia – si legge in una nota – a seguito delle notizie riportate in questi giorni da numerosi organi di stampa, al fine di chiarire la vicenda, dopo aver avviato una procedura di indagine interna per chiarire l'accaduto ed eventuali responsabilità, comunica che ha accolto le dimissioni volontarie dell'infermiera al centro della vicenda, formalizzate in data 6 ottobre 2014. Nel rispetto delle norme contrattuali, le dimissioni andranno a decorrere dal 1° gennaio 2015".
Qualcuno insinua che l’infermiera abbia minacciato le due ragazze, ma lei nega con decisione. E aggiunge: «Cercavo semplicemente di convincerle a salvare vite umane. Sono una cattolica praticante, ma la mia decisione deriva unicamente da motivi di coscienza e non religiosi».
Delle proprio dimissioni l’'infermiera non parla. Si dice che la sua caposala e il medico di turno l’avessero richiamata per quel diniego alle due ventenni, ma non c’è conferma.
La vicenda, cioè, non è completamente chiara. Sia come sia, è l’ennesimo conferma del fatto che viviamo in un mondo in cui una mamma è più che libera di ammazzare il bimbo che porta in grembo con il fai-da-te ma un’infermiera non di provare a dirle che queste cose non si fanno. Chissà se esiste un sindacato che tuteli i lavoratori che perdono il posto per avere cercato di salvare una vita umana innocente.
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