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12.12.2024

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Caso Viganò, una sfida per la Chiesa oltre la vicenda dell’ex nunzio
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24 Giugno 2024

Caso Viganò, una sfida per la Chiesa oltre la vicenda dell’ex nunzio

L’ex nunzio negli Stati Uniti, il vescovo Carlo Maria Viganò, è stato convocato a comparire al Palazzo del Dicastero per la Dottrina della fede per l’apertura di un processo penale “extragiudiziale” a suo carico con l’accusa di negazione della legittimità di Papa Francesco, rottura della comunione con lui e rigetto del Concilio Vaticano II. La convocazione è stata notificata all’ex nunzio per presentarsi il 20 giugno scorso, ma monsignor Viganò, come da lui stesso precisato, non si è presentato e ha dichiarato di non aver intenzione di recarsi all’ex Sant’Uffizio il 28 giugno, data ultima oltre la quale sarà giudicato in sua assenza. Stante questa situazione è verosimile ritenere che l’accusa di scisma verrà trasformata in sentenza, con tutte le conseguenze del caso.

Ma a monsignor Viganò la cosa non sembra interessare, visto che ha scritto che del Dicastero non riconosce «l’autorità, né quella del suo Prefetto [card. Victor Manuel Fernandez, nda], né di chi lo ha nominato [il Papa, nda]». Peraltro, lo stesso Viganò ha considerato che si sente un po’ come l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre che nel 1988, dopo aver illecitamente ordinato quattro vescovi, fu convocato nello stesso Palazzo vaticano per rispondere di una accusa analoga. La Fraternità San Pio X, fondata dallo stesso Lefebvre, ha però precisato in queste ore che le due posizioni differiscono. Viganò nel suo comunicato avrebbe fatto una aperta dichiarazione di “sedevacantismo”, affermando che per lui papa Francesco non sarebbe Papa «a causa di un “difetto di consenso” del cardinale Jorge Bergoglio, al momento dell’accesso al potere supremo». «Né Mons. Lefebvre, né la Fraternità da lui fondata», puntualizzano i lefebvriani, «hanno accettato di avventurarsi su questo terreno».

Monsignor Viganò ha avuto ruoli importantissimi nella Santa Sede, tra cui spicca quello di Segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano (2009-2011). Durante questo incarico scrisse a Benedetto XVI per denunciare manovre contro di lui in quanto impegnato a denunciare e eliminare corruzione e abuso di potere all’interno degli uffici vaticani. In queste lettere peraltro chiedeva di non essere trasferito ad altro incarico: «sarebbe per me una sconfitta difficile da accettare». Invece, la «promozione» avvenne il 19 ottobre 2011 quando Viganò fu nominato nunzio apostolico a Washington. Dopo la nomina Viganò non mancò di far sapere a papa Ratzinger il suo disappunto per quella che appunto vedeva come una sorta di punizione nei suoi confronti.

Eppure l’arcivescovo Viganò rimase nel suo incarico di nunzio negli States per il resto del regno di papa Benedetto e poi sotto papa Francesco. La visita di quest’ultimo negli Stati Uniti nel 2015 è stata ampiamente lodata come un successo, nonostante la polemica per l’incontro, favorito dallo stesso Viganò, del Papa con Kim Davis, funzionario del Kentucky che era stata incarcerata per essersi rifiutata di firmare licenze per matrimoni fra persone dello stesso sesso. Nel 2016, dopo che l’arcivescovo aveva presentato le sue dimissioni all’età legale di 75 anni, papa Francesco mandò in pensione il nunzio.

Da allora l’arcivescovo tornò alla grande ribalta con la presentazione di un memorandum pubblico nell’agosto 2018. Una lunga lettera in cui Viganò accusava Papa Francesco di aver trascurato i precedenti di cattiva condotta sessuale dell’allora cardinale Theodore McCarrick, ignorando le restrizioni imposte a McCarrick da Papa Benedetto e rendendolo un importante consigliere, in particolare per quanto riguarda la selezione dei vescovi statunitensi. Nella lettera, che tirava in ballo anche tre Segretari di Stato, Viganò invitava persino Francesco a dimettersi. Dopo un estenuante controversia nel 2019 Theodore McCarrick è stato ridotto allo stato laicale, dopo che un processo vaticano lo ha ritenuto colpevole di abusi sessuali su minori e cattiva condotta sessuale con gli adulti.

L’escalation di accuse di monsignor Viganò verso il Papa e la Chiesa sono poi passate anche su un piano più politico. Nel 2020 Viganò ha scritto al presidente Donald Trump per lodarlo su come stava conducendo la sua leadership nella pandemia da Covid-19 (la lettera ha ricevuto un tweet di ringraziamento dello stesso Trump). La battaglia dell’arcivescovo contro il deep state sia politico che ecclesiale ha poi preso toni sempre più accesi, trovando una certa eco soprattutto sul web. Contro l’immigrazionismo, l’ambientalismo, il Forum di Davos e quasi sempre accusando papa Francesco di essere un agente di queste ideologie: «Bergoglio è per la Chiesa ciò che gli altri leader mondiali sono per le loro nazioni: traditori, sovversivi e liquidatori finali della società tradizionale», ha scritto.

In generale si tratta di una triste vicenda che non deve destare meraviglia se ha trovato il giudice precostituito, l’ex Sant’Ufficio, a chiamare in causa l’arcivescovo. La Chiesa, si potrebbe dire, qui fa il suo mestiere.

Al di là del caso specifico, c’è un aspetto però che ci sembra meriti rilievo, ossia come il messaggio incendiario di monsignor Viganò si sia propagato con una velocità assolutamente straordinaria. Soprattutto il suo atteggiarsi a leader simil-politico (qui ha probabilmente giocato un ruolo importante d’innesco l’opaca vicenda pandemica mondiale).

L’aspetto di allarme per la Chiesa probabilmente non è la figura di monsignor Viganò, che peraltro pare si sia persino fatto riconsacrare vescovo dal monsignore Richard Williamson (nel 2012 cacciato anche dai lefebvriani), ma proprio questa fortissima polarizzazione che soprattutto il mondo del web facilita in modo esponenziale. Infatti, al di là della vicenda c’è una pletora di tribune social o parasocial in cui si parla di dottrina con certa cogenza senza però alcuna autorità, una sorta di libero esame che a volte assomiglia addirittura a una specie di bar sport. Anche questo contribuisce a una forma di protestantizzazione del mondo cattolico, dove, invece, l’autorità non è un accessorio.

È questa una sfida, o forse la vera sfida, che la Chiesa, ora e in futuro, dovrà affrontare. Magari proprio esercitando con maggior chiarezza il suo Magistero e la sua autorità.

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