È morto oggi Matteo Messina Denaro, 62 anni, l’ultimo stragista di Cosa Nostra arrestato il 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza. A fine 2020 gli era stato diagnosticato un grave tumore al colon, per questo era ricoverato dall’8 agosto nell’ospedale San Salvatore de L’Aquila. Seguito costantemente da una equipe di oncologi e di infermieri, nei 9 mesi di detenzione il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche. Dall’ultima non si era più ripreso, a tal punto che i medici avevano deciso di non rimandarlo in carcere ma di continuare con la terapia del dolore e con i sedativi in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale. Avendo rifiutato l’accanimento terapeutico, venerdì gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile.
Prima di morire ha potuto incontrare alcuni familiari e ha dato il cognome alla figlia avuta durante la latitanza e ancora mai riconosciuta, Lorenza Alagna. È stata lei insieme a una delle sorelle del capomafia e alla nipote Lorenza Guttadauro, la quale è anche difensore di Messina Denaro, a restare al capezzale nei suoi ultimi giorni di vita. Sarebbe giunta anche l’anziana madre, mentre in paese, a Castelvetrano, tutto è pronto per ricevere la salma che sarà tumulata nella cappella di famiglia vicino al padre Francesco – meglio conosciuto come “don Ciccio”, capo della mafia trapanese morto per infarto durante la latitanza nel 1998.
È Lorenza Guttadauro a occuparsi in questi giorni della procedura post mortem dello zio. In contatto con le questure de L’Aquila e di Trapani, con la Procura di Palermo, con i Comuni competenti e le prefetture sta cercando di ottenere al più presto tutte le autorizzazioni necessarie per trasferire la salma in Sicilia. Nelle ultime ore prima del decesso le misure di sicurezza sia all’interno che all’esterno della struttura ospedaliera sono state rinforzate, a sorvegliare i reparti dell’ospedale 15 membri delle forze dell’ordine, tra poliziotti, carabinieri, agenti della penitenziaria, militari dell’esercito e finanzieri.
«Rifiuto ogni celebrazione religiosa perché fatta di uomini immondi che vivono nell’odio e nel peccato», queste sono state le volontà del boss ritrovate scritte in un pizzino del 2013 il giorno del suo arresto dai carabinieri del Ros nel covo di Campobello di Mazara. «Non sono coloro che si proclamano i soldati di Dio a poter decidere e giustiziare il mio corpo esanime, non saranno questi a rifiutare le mie esequie», scriveva ancora il boss di Castelvetrano nel maggio di dieci anni fa, mentre la Chiesa proclamava beato don Pino Puglisi. Il riferimento sembrerebbe infatti chiaro al prete di Brancaccio assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993.
«Il rapporto con Dio è personale, non vuole intermediari e soprattutto non vuole alcun esecutore terreno», così aveva sentenziato. Ecco come si spiega la volontà di non avere nessun funerale religioso, «Dio sarà la mia giustizia, il mio perdono, la mia spiritualità», puntualizzando che le sue ultime volontà sono espresse «in piena coscienza» perché «il mio rapporto con la fede è puro, spirituale e autentico, non contaminato e politicizzato. Chi osa cacciare e ritenere indegna la mia persona non sa che non avrà mai la possibilità di farlo perché io non lo consento, non ne darò la possibilità».
Parole che non stentiamo a definire deliranti e che sfatano il mito dei mafiosi “devoti”, spesso utilizzato per tacciare la Chiesa di una vicinanza con la corruzione mafiosa. Con la morte di Matteo Messina Denaro si chiude in qualche modo il capitolo della storia italiana degli anni Ottanta fatto di stragi e ricatti allo Stato. O sarebbe meglio dire che si volta pagina, perché su Cosa Nostra ancora molto c’è da scoprire. Intanto Messina Denaro i suoi segreti se li porterà in tomba e di fronte a quel Dio sempre pronto a essere invocato, ma che scruta e conosce nel profondo l’anima dell’uomo. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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