V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B
«Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».
E’ una confidenza tenerissima e dolorosa quella di Gesù che si apre ai suoi discepoli, si rivela a noi, consegnandoci il turbamento della sua anima. È cosa rara per ciascuno riuscire a raccontarsi, tanto più per un uomo. Le donne sono più abituate ad esternare sentimenti. Quand’è stata l’ultima volta che sei riuscito a parlare di te, senza quella reticenza un po’ perbenista per cui “va tutto bene”, ma senza nemmeno quel risentimento di chi sfoga rabbia repressa? Quand’è che hai trovato quella libertà di aprirti con un amico? Quando hai dato un nome alle tue paure o confidato una tristezza?
Chissà con quale volto, con quale commozione, con quale intensità Gesù si è rivelato ai suoi, ad Andrea e Filippo, mostrando la drammaticità del momento e la condizione della sua anima! Tutto aveva preso spunto dal fatto che «alcuni greci» presenti a Gerusalemme alla vigilia della Pasqua si erano avvicinati a Filippo, uno degli apostoli, «originario di Betsaida di Gallilea, evidentemente capace di parlare la loro lingua. Lo avevano chiamato “Signore”. L’apostolo Filippo evidentemente doveva assomigliare al suo stesso Maestro da meritarsi di essere chiamato alla stessa maniera del suo Signore. D’altra parte, «se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Chi segue Gesù ne assume anche una certa somiglianza. Anche a me, è capitato. Quando, da ragazzo, sono rimasto affascinato da un sacerdote ne ho pian piano “copiato” i gesti, il tono della voce…ero diventato, pur rimanendo me stesso, “un altro lui”. Ero semplicemente divenuto figlio e come un figlio avevo assunto in me alcuni tratti del padre. Ancora oggi, la gente chiama il sacerdote “don”, diminutivo di “dominus”, Signore, un alter Christus, “un altro Lui”. Chiunque, segue Gesù diventa come lui, ne comunica il fascino e porta in sé il mistero. Ebbene, i Greci si avvicinano a Filippo e gli chiedono di poter vedere Gesù. Anzi, gli manifestano la loro urgenza: “Signore, vogliamo vedere Gesù” come se desiderassero la necessità dell’amore per vivere, come mendicanti affamati dell’essenzialità del pane.
“Dunque, lo scopo della vita è incontrare Gesù?” mi chiede Daniele, un ragazzo immerso e perso nella spiritualità orientale, da più di vent’anni, e a cui la vita non torna. La sua è la domanda di chi ha intravvisto Cristo, ma ancora non si è arreso. Cerca solo qualcuno con cui fare insieme quella strada che manca.
Filippo non se la sente di andare da Gesù da solo. Chiede ad Andrea di accompagnarlo. La vita cristiana non può essere vissuta individualmente magari anche con buone intenzioni cibandosi continuamente di catechesi e di una preghiera autoreferenziale. Una delle grandi povertà del nostro tempo è la solitudine e più ancora la solitudine nella Chiesa. No, la vita cristiana necessita di compagni. «Dove sono due o tre, io sono in mezzo a loro». A loro, ad Andrea e Filippo, infatti, Gesù si fa «vedere». Mostra il suo animo turbato, una trasfigurazione al contrario. Nessuna bellezza, ma un cuore inquieto.
Anche per noi, ormai, è vigilia della Pasqua. Attorno a noi, dentro di noi c’è un’aria malsana. La guerra è sempre più presente. Si parla sempre più di truppe di terra. C’è fermento e grande risentimento verso chi, come il Santo Padre, invoca bandiera bianca, non per arrendersi, ma per negoziare pace. A Bologna, una mamma è morta nel rogo con i suoi tre figli. C’è dolore. Perché? Un grande senso di ingiustizia e di smarrimento ci invade come nebbia nella notte.
«Che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».
Gesù non si sottrae. E’ giunta un’ora per la quale è venuto. Tutta la sua vita è orientata alla Croce. Tutto è stato preparazione a dare la vita come il chicco di grano che se non muore rimane solo. Il suo turbamento non è obiezione alla sua missione. Anzi, ne è il segnale. Gesù freme per vivere quest’ora, per compiere la sua vocazione.
C’è un’inquietudine che blocca e c’è un’inquietudine che muove. L’agitazione in Gesù, rivelazione della sua umanità, lo sollecita a vivere fino in fondo la sua storia, senza fuggirne, senza attenuarla con compromessi. Come quella di Donata. “Con il lockdown ero stata assalita da un’angoscia tremenda. Tuttavia, non un’ansia da stare a letto come già mi era accaduto in passato, ma una smania nel ricercare il senso di tutto. Dio non mi ha dato tregua. L’angoscia era invito a trovare Lui. Quando l’ho incontrato, dopo più di trent’anni, accettando la mia umanità ferita, ho trovato finalmente pace”.
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