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Il card. Piovanelli al Giorno del Timone-Toscana: «Gesù vuole che La Chiesa sia il timone dell’umanità »
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29 Settembre 2014

Il card. Piovanelli al Giorno del Timone-Toscana: «Gesù vuole che La Chiesa sia il timone dell’umanità »

Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata dal cardinale Silvano Piovanelli alla Messa per la Giornata del Timone – Tsocana che si è tenuta a Staggia Senese (Siena) lo scorso 20 settembre.

Avete udito l’inizio del Vangelo: Una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città. Anche qui, dalle zone della Valdelsa e del senese una grande folla si è radunata e si è raccolta tanta gente.

Mi piace pensare che Gesù voglia parlare proprio rivolgendosi a voi, che vi dichiarate “amici del Timone”. Il timone è un elemento/organo con cui si indirizza e si mantiene la direzione di una nave, di una barca. La nave può essere il simbolo dell’umanità,  il simbolo della Chiesa. Così la barca, nella quale si può facilmente riconoscere la propria famiglia, la propria comunità, la propria vita personale. Fratelli e sorelle, che vi dichiarate “amici del timone”,  diventate sempre più attenti al timone!

Nella Chiesa, la barca della Chiesa, qual è il timone? “La Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (DV,8). Il suo timone è Gesù, che si proclama via verità e vita. Timone è lo Spirito Santo, che, secondo le parole stesse di Gesù, ci guida verso la pienezza della verità.

Gesù vuole che la sua Chiesa sia il timone dell’umanità. Non nella politica, nei problemi economici, in quello che appartiene alla lingua, alla cultura e alle tradizioni di popoli diversi.

Ma nel senso di indicare a tutti i popoli di ogni lingua e cultura la via della pace per tutto il mondo  ed offrire ad ogni uomo e ogni donna la speranza della salvezza eterna. Non ha detto Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). “Andate”. A chi parla Gesù? Soltanto ai vescovi, ai preti, ai religiosi e alle religiose?

Dice papa Francesco, nella Evangelii gaudium: “In virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione … ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù;  non diciamo più che siamo  “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari” (EG,120).

Noi celebriamo oggi la memoria, esemplare da questo punto di vista, dei martiri coreani. Fu per l’apostolato di alcuni laici che la fede cristiana entrò in Corea agli inizi del secolo XVII.

Pensate: pur senza la presenza di pastori, si formò una forte e generosa comunità guidata da laici fino al 1836 quando i primi missionari provenienti dalla Francia si introdussero segretamente nella regione. Da questa comunità, nelle persecuzioni che si accesero negli anni seguenti, sorsero 103 santi martiri, fra cui il primo prete coreano, ardente pastore di anime, Andrea Kim, e l’insigne apostolo laico Paolo Chong Hasang. Tutti gli altri, in gran parte laici – uomini e donne, sposati e non, vecchi, giovani e bambini – associati nel martirio, sigillarono con il sangue la meravigliosa primavera della Chiesa coreana.

Fate attenzione: c’è una parola che ci dice con chiarezza l’impegno missionario di tutti noi. Quando Gesù, prima di entrare nella passione, ha pregato il Padre. Ha detto: “Non prego solo per questi – i discepoli con cui aveva celebrato la Pasqua – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: [siamo noi che abbiamo creduto per mezzo della loro parola che è giunta fino a noi ] perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato… siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola (Gv 17, 21-22).

Ecco in che modo la Chiesa diventa timone vero della intera umanità: con la testimonianza della sua unità, una unità che è realizzata, custodita, resa sempre più profonda dall’amore reciproco.

Ha ragione Papa Francesco: ognuno di noi collabora a rendere la propria vita annuncio di verità attraverso l’impegno dell’amore reciproco. Un amore che non esclude nessuno, che ti mette al servizio di tutti a cominciare dai più poveri e più lontani, che diventa sempre più evangelico evitando non solo la vergogna delle calunnie e delle interpretazioni cattive, ma anche le mormorazione, le chiacchiere e la indifferenza dinanzi ai problemi e alle sofferenze altrui.  Nella misura in cui una comunità, una famiglia, una parrocchia vive la comunione, tutto il corpo della Chiesa riceve ricchezza di vita  e  nella storia umana si accende una luce che splende nel buio, che è vista come segno di speranza e indicazione di strada da molte più persone di quanto immaginiamo.

Se la Chiesa è chiamata a diventare timone che indirizza tutta l’umanità verso la pace e, quando  Dio vuole, verso la pienezza della verità, ognuno di noi è coinvolto in questa responsabilità. Ognuno è interrogato: qual è il tuo timone?  Forse,  il tuo interesse, il tuo prestigio, la tua volontà di affermarti? Oppure Gesù è il timone della tua vita? Ha detto Gesù: Mio discepolo è colui che ascolta e mette in pratica la mia parola! Ti fai guidare dalla sua Parola?

In ogni Eucaristia, Gesù sembra dirci: attenti al timone! Nella liturgia della Parola, la Parola è proclamata per noi. Ieri l’apostolo Paolo ci ha detto: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Se noi abbiamo speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini, Ora, invece, Cristo è risorto, primizia di coloro che sono morti”.

Oggi l’apostolo ci dice: anche noi risorgeremo, anche se non riusciamo a immaginare come risorgerà il nostro corpo. E porta l’esempio di un seme, un chicco di grano o di altro genere. Tu semini un chicco di grano e nasce a suo tempo la spiga. Quel chicco di grano,  com’è diverso dalla spiga! Eppure tra il chicco di grano e la spiga c’è una identità profonda.

Si semina un corpo animale, risorge corpo spirituale. È quanto proclamiamo ogni Domenica nel simbolo niceno-costantinopolitano: “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”; o con le parole del Credo apostolico: “credo la risurrezione della carne e la vita eterna”.

Il cristiano che esce da Messa è il testimone della vita eterna e con la semplicità della sua vita dice a tutti: c’è una vita che viviamo qui sulla terra, fra gioie e dolori, e c’è un’altra vita che è la pienezza di ogni bene e il colmo della nostra gioia: la morte è il passaggio dall’una all’altra vita, la quale è eterna.

Chi meglio di un cristiano,  in mezzo a tanti uomini che hanno paura della morte e cercano di nasconderla più che possono,  può dare testimonianza della vita eterna? Gesù Risorto è in mezzo a noi e si fa particolarmente presente nella Eucaristia nella forza della Parola e nel mistero del pane e del vino consacrati, e può dare pienezza di significato alle parole che il salmo responsoriale ci ha messo in bocca oggi: O Dio, ti renderò azioni di grazie, perché hai liberato la mia vita dalla morte.

Certamente, perché la Parola di Dio illumini di questa luce stupenda la nostra vita e  noi possiamo vivere la gioiosa certezza della fede, occorre – come dice Papa Francesco, “accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a fondo nei nostri pensieri e sentimenti e generi in noi una mentalità nuova” (EG, 149). Ce lo dice oggi, in un modo diretto  Gesù nella parabola del seminatore che abbiamo ascoltato.

Spesso la Parola del Signore rimane in superficie, ti colpisce l’orecchio, ma  non entra nel cuore: il seme che cade lungo la strada è calpestato dai passanti e mangiato dagli uccelli del cielo. Altre volte la Parola del Signore è come il seme sulla pietra: è accolta con gioia, ma non ha radici, non penetra nella vita.

Spesso il seme cade tra le spine: le preoccupazioni terrene, l’attaccamento alle ricchezze e ai piaceri della vita non permettono al seme di dare frutto. Ma se il seme è accolto con l’interezza e la generosità del cuore, chi può calcolare la sovrabbondanza dei frutti? Dice Gesù: cento volte tanto!

È l’augurio e la preghiera ci facciamo reciprocamente, pregando gli uni per gli altri, affinché in un mondo smarrito e disattento, distratto e ripiegato su se stesso, la nostra testimonianza faccia risplendere la bellezza e la gioia liberante del Vangelo.

Come non pensare a Maria di Nazaret, che all’annunzio angelico rispose: avvenga per me secondo la tua Parola ?  Santa Maria, a cui Gesù dalla croce  ci ha affidati come figli, ci aiuti a prendere come timone della nostra vita la parola di Dio  e a non deludere le attese che il Signore Gesù ha posto in ciascuno di noi, nelle nostre comunità e nelle nostre iniziative di bene. Amen.

                                                                                        Cardinale Silvano Piovanelli

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