A fare da ago della bilancia per il progetto di legge sul suicidio medicalmente assistito in Veneto non è stata una pro life dichiarata, bensì la consigliera regionale veronese eletta nelle liste del Pd Anna Maria Bigon, unica del partito ad aver scelto l’astensione. Interrogata sulla scelta la consigliera ha dichiarato di aver «condiviso il percorso con Delrio», l’ex ministro alfiere dell’area catto-dem nel Pd. Nonostante la Bigon abbia dichiarato che il voto vada espresso «con libertà di coscienza, una libertà che ci lascia il partito», è evidente che qualcosa non ha funzionato e che coscienza personale e militanza in un partito piuttosto che in un altro debbano andare di pari passo.
È vero anche che il quadro è più complesso di una semplice divisione tra destra e sinistra. A non procedere a braccetto sono stati, infatti, gli stessi politici della Lega di Zaia. Quella parte che si è fatta in qualche modo portavoce della legge contrasta apertamente con chi, tra politici ed elettori del partito, chiede che il fine vita sia un principio non negoziabile. «Liberi subito», questo il titolo della legge di iniziativa popolare elaborata dall’associazione Luca Coscioni e sottoscritta da 9.072 cittadini veneti, ha mostrato quanto la deriva radicale che serpeggia nella Lega sia tutt’altro che debole. Ancora più evidente la spaccatura in seno al Pd, la determinante astensione della catto-dem Bigon è stata individuata come responsabile del mancato via libera alla legge e riporta a galla il vizio d’origine risalente alla nascita del Pd. La fusione a freddo fra gli ex comunisti e i cattolici di sinistra, frutto principale del lavoro dell’officina bolognese e del pensatoio con padre nobile Giuseppe Dossetti, mostra ancora una volta che non funziona.
Il clima all’interno del partito si è fatto teso e i commenti sulla consigliera si sprecano: «Bisogna saper stare in una comunità politica, rispettare certe regole. Evidentemente c’è chi non lo sa fare e pensa solo a sé», tuona Vanessa Camani, capogruppo del Pd veneto. Anche Elena Ostanel de il Veneto fa sentire la sua: «Una maggioranza divisa affossa la proposta di iniziativa popolare sul fine vita. Su un tema così delicato molti hanno scelto di votare contro Luca Zaia a partire da Fratelli d’Italia, ma anche parte della sua lista, di fatto dicendosi contro una pratica già esistente in Veneto: quella che ha garantito a Gloria di poter scegliere liberamente sul proprio fine vita o a Stefano Gheller di andare avanti. Fa ancora più male vedere che questa bocciatura si è determinata per un solo voto, come quello di astensione di Anna Maria Bigon, consigliera del Partito Democratico». Erika Baldin, consigliera regionale M5S, ha dichiarato: «Oggi sarebbe stato possibile perfezionare tale iter, aggiungendo diritti e possibilità, senza togliere niente a nessuno. Invece i persistenti conservatorismi l’hanno avuta vinta, sia per la défaillance delle sedicenti voci liberali e moderate, che ormai sono acquattate sotto l’ombrello della destra più retrograda; sia per il voto della consigliera Anna Maria Bigon, la quale si è assunta la responsabilità di dividere il fronte progressista delle opposizioni».
La domanda che infine vale la pena farsi è posta dal titolo del nostro articolo: C’è ancora posto per i cattolici nel Pd? È improbabile pensare che un politico o un elettore non sia tenuto a una certa fedeltà verso il partito e se i partiti in qualche modo le decisioni le debbano prenderle seguendo un linea anche etica, va da sé che quelli che sembrano tentativi di cercare punti di incontro divengono scontri aperti. È un campo scivoloso, quello del fine vita. Come quello dell’aborto o del gender, temi ai quali anche i cattodem che scorgono un’assenza di passi effettivi di rottura su temi etici da parte del Pd non possono sfuggire. In definitiva la consigliera Bigon dimostra ancora una volta che il re è nudo e che sui principi non negoziabili, per quanto li si voglia sommergere, sta o cade la possibilità per un cattolico di militare e votare per il Pd. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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