Sono rimasta positivamente colpita dal contenuto del monologo di PierPaolo Spollon alla cerimonia di inaugurazione del nuovo anno scolastico. Sulla base della mia esperienza, maturata in quasi trent’anni di scuola, posso dire di essere completamente d’accordo con quanto il famoso attore ha affermato. È realtà ormai consolidata, purtroppo, il fatto che ai nostri ragazzi, sin da quando sono bambini, si chieda la perfezione e si dia un’importanza smisurata ai risultati che devono essere necessariamente raggiunti. Ai nostri bambini noi imponiamo la pratica di più attività sportive e ci attendiamo da loro che primeggino sui compagni, ai nostri bambini imponiamo di seguire corsi di inglese e campus estivi in lingua e anche in questo ambito pretendiamo risultati eccellenti.
Esiste una differenza abissale tra il chiedere che i nostri ragazzi diano il massimo in termini di impegno e applicazione, sulla base delle loro potenzialità, e il pretendere i risultati eccellenti. Questa pretesa da parte degli adulti crea nei giovani preoccupazioni e ansie che rovinano il percorso di apprendimento e lo riducono in una perenne corsa a ostacoli che fa perdere completamente il gusto dell’apprendimento. Non dobbiamo, dunque, stupirci se le patologie legate all’ansia e alla depressione si stanno diffondendo esponenzialmente tra i giovani. Questa dinamica altamente pretenziosa si inquadra in una attenzione all’apparenza: il bel voto, il numero di corsi di lingua seguiti, la molteplicità delle attività sportive seguite sono target da raggiungere, costi quel che costi.
Occorre, invece, invertire la rotta e puntare all’impegno serio, al gusto dell’apprendere, a far sì che gli studenti siano protagonisti del loro percorso di apprendimento, proprio per la bellezza dell’apprendere, in un’ottica di responsabilità e di corresponsabilità. Lo studente che ha tutti 10 ma che poi compie una strage familiare qualche domanda negli educatori deve farla emergere. Che persona c’è dietro il mio studente? Che persona c’è dietro mio figlio? Mi compiaccio dell’apparenza e vado oltre quando vedo comportamenti non giusti? Io credo che il compito dell’educatore sia proprio quello di andare oltre l’apparenza delle persone e capirne i pensieri e le preoccupazioni. Solo così i nostri giovani potranno essere educati all’idea del fallimento: mi sono impegnato, ho studiato ma la verifica non è andata come speravo, eppure sono sereno perché so di aver compiuto il mio dovere.
Ecco la parola dovere, con la logica che le sta dietro, deve tornare nel lessico educativo. Al dovere è legata una responsabilità e una chiara consapevolezza di sé. Proprio in questa prospettiva non sono d’accordo con tutte le tutele che la normativa riguardante la Privacy impone alle scuole: prendiamo, ad esempio, il divieto dell’esposizione dei tabelloni con i voti dello scrutinio di fine anno. Questo divieto è altamente diseducativo perché non solo non richiama i giovani al loro dovere, non rendendoli responsabili del loro percorso di apprendimento, ma amplifica ulteriormente la dimensione negativa del voto, quasi fosse uno spettro da tenere nascosto. Ecco perché io credo che un nuovo modello educativo, incentrato sulla responsabilità più che sull’apparenza può fare solo bene ai giovani e, di conseguenza, alla società. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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