E’ di ieri l’annuncio ufficiale di Elon Musk, co-fondatore dell’azienda, dell’avvenuto primo impianto di un dispositivo Neuralink in un essere umano. Come riferisce IlPost.it:«Neuralink esiste dal 2016 e ha come obiettivo quello di sviluppare nuove interfacce neurali, cioè sistemi per mettere in comunicazione diretta il cervello con un dispositivo esterno, come un computer. Le interfacce neurali sono viste come un’importante opportunità per consentire ai pazienti con paralisi e altre malattie debilitanti di recuperare le loro funzionalità, tornando per esempio a muovere gli arti». Non sono i primi a testare soluzioni simili, ma la differenza con quelle approntate da Neuralink consiste soprattutto nelle ridotte dimensioni degli impianti da installare nell’area cerebrale indicata. Meno invasiva dunque anche la procedura sul paziente che «(…) prevede l’impiego di un sistema robotizzato ad alta precisione, in modo da inserire l’impianto nella giusta area del cervello e realizzare i collegamenti con i neuroni. Gli elettrodi di Neuralink sono più flessibili rispetto a quelli sperimentati in altri laboratori e ciò dovrebbe ridurre sensibilmente il rischio di microtraumi e danni nelle aree in cui viene effettuato l’impianto».
Dopo gli esperimenti sugli animali, dunque, ecco il primo test su un essere umano. Nel suo post su X l’imprenditore riferisce che il paziente «si sta riprendendo bene e che gli iniziali risultati mostrano un promettente rilevamento di picchi neurali.». Il tema è che cosa promettano davvero questi iniziali esiti e quali siano i possibili sviluppi che a questo esperimento certamente seguiranno. Nonostante le entusiasmanti prospettive per la cura di patologie neurologiche e il recupero da lesioni cerebrali, il timore che gli impieghi di questa tecnologia espongano l’uomo a rischi difficilmente controllabili si fa strada nelle menti di molti. Menti normali, biologiche, non ancora abilitate ad interfacciarsi direttamente con dispositivi esterni come un computer grazie a impianti neurali nella propria corteccia cerebrale. Abbiamo contattato Giulia Bovassi, bioeticista e ricercatrice, esperta di neuroetica e transumassimo, per farci aiutare a considerare opportunità e rischi legati a questa tecnologia.
L’installazione, per la prima volta, di un impianto cerebrale in un essere umano che cosa significa dal punto di vista bioetico? È forse un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per il transumanesimo? «L’installazione porta delle grossissime novità dal punto di vista neurobioetico. La neurobioetica è una ramificazione della bioetica che ha preso vita dalla necessità di indagare in modo più approfondito le implicazioni etiche dei nuovi strumenti tecnologici legate al funzionamento del nostro sistema cerebrale. Come per l’era genomica anche in questo caso siamo di fronte a un bivio: da un lato si aprono nuove possibilità di cura e di grandi benefici e dall’altro si presentano elevati rischi di un riduzionismo antropologico, in questo caso in chiave neurocentrica. Dal punto di vista neuroetico quindi il fatto che si sia aperta la possibilità di un impianto neuronale apre scenari che fino ad ora erano stati marginalizzati perché considerati lontani se non fantascientifici. In realtà con questo nuovo step raggiunto da Elon Musk conduce allo scenario del brain-computer interface».
C’è una complessità che apre dal punto di vista bioetico. Elon Musk, con Neuralink fondata nel 2016, ha sempre dichiarato una finalità essenzialmente terapeutica dell’impianto di elettrodi nel cervello umano, per patologie o disabilità neurologiche particolarmente gravi. Ciò che non è spesso non è stato messo in evidenza, che Musk non ha mai nascosto ma che a livello mediatico arriva in seconda battuta, è l’altra finalità, quella cosiddetta potenziativa e che sta al centro delle tematiche bioetiche e transumanista. Le tecnologie di potenziamento umano non sono solo queste, hanno tutte un orizzonte ultre-terapeutico. Non mirano solo a ripristinare una situazione di normalità fisiologia, in un normo-funzionamento ma servono a creare una ottimizzazione di alcune capacità non patologiche ma viste come un limite: immaginiamo per esempio il potenziamento della memoria, della concentrazione o di prestazioni fisiche. Si parla anche però di nuove capacità da installare ex novo. Questo apre moltissime problematiche bioetiche soprattutto nella definizione della differenza tra terapia e potenziamento. Essendo il confine tra le due applicazioni labile il paravento terapeutico apre la strada ad ambizioni di natura ben diversa, come quelle dichiarate dallo stesso Elon Musk: non solo potenziamento della memoria ma, per esempio, anche la possibilità di archiviazione dei propri ricordi in un altro dispositivo, un supporto non biologico dell’essere umano, e qui si arriva alla soglia della cosiddetta immortalità digitale. Musk ha indicato nella possibilità di potenziare l’essere umano attraverso queste nuove tecnologie come possibile argine al pericolo cui ci espone lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, pericoli a cui, secondo Musk, l’essere umano può far fronte solo fondendosi con la macchina. Arriveremmo così ad una simbiosi, con una natura ibrida. Uno stato che introdurrebbe una rottura del confine netto tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale. Posto che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si pone come inarrestabile, dice sempre Musk, l’unico modo è cercare un’alternativa diversa: quella che conduce appunto alla condizione tecno-umana, una condizione di fatto già presente nel nostro attuale rapporto con la tecnologia; gli smartphone sarebbero già di fatto delle nostre estensioni. Con Neurolink dunque intende velocizzare e ottimizzare la nostra capacità di gestione di flusso di dati tra ciò che è digitale e ciò che è biologico, che oggi è ancora troppo lento rispetto al progresso del solo artificiale, l’AI. Questo si ottiene, secondo lui, attraverso l’immissione nel mercato di una intelligenza sovra-umana, salvandoci dal destino di diventare “animali domestici dell’intelligenza artificiale”, come ha detto in una dichiarazione del 2017.
Il problema che si pone rispetto al concetto di potenziamento umano è che queste enormi possibilità tecnologiche e scientifiche permettano di migliorare il genere umano agendo non solo estendendo i sensi umani verso l’esterno ma in senso intra-organico. Ed è proprio il caso di Neuralink, una tecnica che si fa organica, che agisce sul contesto interno delle persone, sull’identità delle persone stesse. Potenziare artificialmente l’uomo significa agire sulle fondamenta biologiche anche del suo comportamento, dei suoi pensieri, dei suoi processi organici, del condizionamento morale e questo pone queste tecnologie in un senso che va oltre la terapia».
Come provare a regolamentare se non a fermare simili dinamiche? Dopotutto, esse vengono presentate come promettenti anche per la salute individuale e il benessere della persona.«Le preoccupazioni sollevate da numerosi esperti di Brain-computer interface riguardano la capacità che sembra detenere questa tecnologia di brain Reading, di vera e propria lettura della mente intesa come vera e propria lettura della personalità dell’individuo. E questo implica sicuramente una fonte di rischio per l’identità personale, per l’autodeterminazione personale e la sicurezza, rischio che sussiste anche per le applicazioni strettamente terapeutiche di queste tecnologie. Si apre dunque un orizzonte che non è solo della neuroetica ma anche quello del neurodiritto. Per esempio il diritto a non subire manipolazioni e alterazioni della mente, che escano dalla capacità di comprensione e di consenso del soggetto. In sintesi sarà necessario proteggere l’integrità e la privacy dell’individuo da tutte queste influenze esterne ma intrusive. Nuovi diritti umani, dunque, legati alle nuove tecnologie.
Si aprono grandi interrogativi rispetto al nostro rapporto con la corporeità; c’è il rischio di un riduzionismo estremo, dove il corpo smette di essere necessario, l’identità viene sganciata per così dire dal suo supporto biologico e si apre lo scenario trasumnanista dell’immortalità digitale. Il transumanesimo punta ad abbattere i limiti della vecchiaia, della sofferenza e della morte. Queste tecnologie implicano una visione meccanicistica del corpo, il corpo può essere sostituito. La mente tende ad essere digitalizzata e il corpo tecnicizzato, il tutto sotto l’egemonia di queste nuove possibilità tecnologiche. Il transumanesimo ambisce esattamente a questo, potenziare l’essere umano debellandone le fragilità, fino al limite estremo della mortalità. Il superamento della vulnerabilità umana, in questa visione tecno-fideistica, non è solo una possibilità fra molte ma un dovere morale di giustizia sociale».
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