È sinnermania. Alle ATP Finals 2023 in corso a Torino il tennista italiano batte chiunque gli capiti sotto tiro. Dopo il successo all’esordio contro il greco Stefanos Tsitsipas e la prima volta in carriera su Novak Djokovic, giovedì sera l’altoatesino ha superato anche il danese Holger Rune (altro giocatore contro cui aveva sempre perso) volando dritto in semifinale.
Ma chi è davvero il ventiduenne dai capelli rossi che ha conquistato il mondo e per il quale anche le programmazioni televisive vengono stravolte? Legatissimo a mamma Siglinde e a papà Hanspeter – che fino a poco tempo fa facevano andare mani e piedi nel rifugio Fondovalle in Val Fiscalina (in sala la mamma e in cucina il papà) –, il giovane Jannik ha messo in chiaro le sue priorità già nel novembre 2020, al tempo del green pass, quando l’Alto Adige era in zona rossa: «Mi spiacerebbe partire per l’Australia senza avere visto la mia famiglia: il tennis arriva molto dopo l’affetto e la salute delle persone a cui voglio più bene». I legami familiari, la gratitudine e la semplicità su tutto, dunque, per questo underdog bolzanino di cui arriva ad occuparsi anche la sociologia.
AL “FATTO” PARLA IL SOCIOLOGO
«Rispetto alle nuove generazioni, Sinner ha una modalità comunicativa eterodossa. Proprio per questo è clamorosamente encomiabile, è un invito a costruire la comunicazione di sé sulla base delle competenze, in maniera opposta rispetto a quella che ormai sembra essere l’andazzo comunicativo”, dichiara al Fatto Quotidiano Luca Bifulco, docente di Sociologia dello Sport all’Università Federico II di Napoli. Il sociologo continua: «Sinner segue un impianto simbolico molto legato alla serietà dello sportivo, all’autocontrollo, allo spirito di sacrificio. Il talento è l’origine di una serie di competenze che uno sportivo deve incorporare, nel suo caso sono queste a spiccare». E se sui social è solitamente l’elemento goliardico e irriverente a far breccia, Sinner «invita a esprimersi e a parlare di sé in modo diverso: mettere al primo posto le competenze, la serietà, l’impegno». E tutto ciò senza rinunciare a niente, tanto che il talento italiano per Bifulco «è serio ma non serioso, non è un personaggio grigio. È un ragazzo di 22 anni che vive la sua vita».
UN «CASO NAZIONALE» (OVVERO L’AFFONDO DELLA GAZZETTA)
Eppure, per quella mania tafazziana che spesso avvince certi giornali nostrani, il povero Sinner ad ogni sconfitta (finanche per la semifinale di Wimbledon) ha dovuto subire critiche. Anche feroci. Il 21 settembre, per aver saltato un turno di Coppa Davis, Jannik Sinner è stato addirittura additato come un «Caso Nazionale», così titolava l’ormai celebre copertina di Sportweek, magazine della Gazzetta dello Sport. Il perché fosse diventato “un caso” lo spiegava bene il sommario, rimandando a ben tre articoli interni: «Perché il numero uno del nostro tennis ha sbagliato a dire no alla Coppa Davis. I grandi campioni del passato, da Pietrangeli a Panatta, spiegano che alla maglia azzurra non si rinuncia». Un atteggiamento che all’estero ha suscitato sdegno e che oggi appare irreale.
In un articolo esplicito fin dal titolo («Le incomprensibili critiche dei media italiani contro Jannik Sinner») Joshua Adedayo si lamentava di quanto fosse «incredibile (e incredibilmente ingiusto) quanto titolano alcuni giornali e media italiani contro Jannik Sinner». Per il giornalista sportivo mai scelta fu tanto obbligata. «Venendo il tennista italiano da un’estate durissima», scriveva Adedayo, «in cui aveva giocato ininterrottamente da Wimbledon agli US Open vincendo il suo primo titolo all’ATP Masters 1000 di Toronto e la prima semifinale Slam a Londra, la scelta di riprendersi dalle fatiche saltando la Coppa Davis è assolutamente comprensibile». Non per i suoi detrattori. Tanto che la domanda sorge spontanea: bisognava arrivare a leggere la stampa estera per capire che «nonostante la giovanissima età, Sinner ha già fatto molto per il tennis italiano»? E che «i media del suo Paese farebbero bene a sostenere il loro giovane talento, piuttosto che criticarlo con accuse discutibilissime»?
SINNER UGUALE “PECCATORE”
Eppure arrivando perfino a giocare con la traduzione del suo cognome (Sinner uguale peccatore), due editoriali apparsi sulla Gazzetta dello Sport a metà settembre (oltre all’incendiaria copertina di cui sopra), invitavano il tennista a chiedere scusa. Un attacco che mirava a dimostrare quanto ancora aleggia nell’aria, seppur sottotraccia (non è il momento ideale per attaccarlo su accento e grammatica): Sinner sarebbe «poco italiano». Perfino il solitamente ironico Adriano Panatta, in questi giorni entusiasta commentatore Rai delle imprese sinneriane, a fine settembre rimproverava il tennista di non tenere abbastanza ai colori italiani di Coppa Davis. «Ha rinunciato perché era stanco? E Bagnaia che a tre giorni dall’incidente era già in moto?». La provocazione che si nasconde dietro il paragone forzato con il motociclista Francesco Bagnaia (uscito quasi illeso da un pauroso incidente nel GP di Catalogna lo scorso 3 settembre) la dice lunga sul pregiudizio che fino a poche settimane fa gravava sul tennista altoatesino. Senza contare che Nicola Pietrangeli, altro mito del tennis italiano degli anni ’60, per Sinner nell’occasione invocò addirittura la squalifica.
FINALMENTE “ARCITALIANO” E MAESTRO CIVICO
Ma le vittorie spettacolari di questi giorni, viste in diretta tv da milioni di italiani, hanno finito per ribaltare la narrazione, così Sinner è diventato italianissimo. La Gazzetta chiede scusa con un editoriale che non solo ha il merito di mettere una pietra sopra alla diatriba, ma anche di innalzare Sinner per quello che di fatto sta diventando: un role model, una fonte di ispirazione per quei ragazzi che si stanno iscrivendo in massa ai circoli di tennis e che soprattutto vedono in lui un modello a 360 gradi. «Fossi un maestro elementare o un professore delle medie», scrive la Gazzetta in un editoriale non firmato, «proietterei in classe la finale del torneo ATP di Pechino, vinta da Jannik Sinner su Daniil Medvedev (i due si sfideranno oggi a Torino, ndr), come lezione di educazione civica. Farei vedere quando si becca un terribile lungolinea dal russo e lo applaude picchiando una mano sulle corde e poi, quando sbaglia l’ennesimo smash e, invece di imprecare o spaccare la racchetta a terra, gli scappa da ridere. C’è tanto sport in quelle due immagini: la percezione dell’avversario, non come nemico, ma come un compagno di gioco che ti fa crescere. Infatti, Jannik l’ha riconosciuto durante la premiazione: «Grazie, Daniil, perché a forza di battermi e di allenarti con me, mi hai migliorato».
«JANNIK VI DIMOSTRA CHE SI PUÒ ESSERE GRANDI GIÀ DA PICCOLI»
Ma è a quanto c’è dietro certe «gambette e braccine» che l’anonimo articolista (forse proprio il direttore Stefano Barigelli) riserva il passaggio più edificante. Quello in cui, avvicinando il fisico non esattamente palestrato del campione della Val Pusteria all’esercito di adolescenti ansiosi e insicuri che abitano le nostre scuole, emerge lo sguardo più sentito, autentico, sanamente paternalista. Nel tempo delle scommesse illegali, degli anabolizzanti e di un divismo esasperato, l’editoriale pacificatorio della Gazzetta così recita: «…E poi direi a quei ragazzi: “Vedete che gambette e che braccine ha il nostro Jannik? Circolano tennisti grandi e grossi che sembrano lottatori di wrestling. Ma Sinner li batte tutti, perché non conta il contenitore, conta il contenuto, cioè il talento. E se lo annaffi bene come fa lui, con volontà e sacrificio, il talento ti rende invincibile. Vi ripetono sempre: quando sarai grande, potrai… quando sarai grande farai… Sembra che voi, per ora, dobbiate solo aspettare. Invece Jannik vi dimostra che si può essere grandi già da piccoli”».
La paradossale verità su Jannik Sinner, campione italianissimo senza se e ma, è forse da ricercare nel genius loci dell’Alta Pusteria, della sua San Candido e nelle parole di William Blake: «Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono».
(Fonte foto: Tennis TV, YouTube)
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