Il feto è di 24 settimane e un'equipe dell'Ospedale San Raffaele di Milano si sta tentando l’estremo, una cosa che ha pochissimi precedenti al mondo. Far nascere un bimbo nel grembo di una mamma clinicamente morta. La mamma defunta ha di 36 anni, il feto vivo ha 24 settimane. Una sonda nell'intestino materno permette al feto di essere alimentato, la ventilazione artificiale fa arrivare l’ossigeno nel sangue della donna e quindi al feto. Il cuore continua a battere e finché c'è quel battito il bambino viene tenuto in vita. In un certo senso, il corpo della mamma si è trasformato in un'incubatrice per proteggere il figlio.
Lo vede anche un cieco qual è – sempre – la differenza tra la vita e la morte, tra la dignità di una vita e la drammaticità di una morte, tra il cuore gettato oltre l’ostacolo per affermare la vita e la docile presa di coscienza di cosa è la morte.
Nessuno potrebbe confonderle, nessuno può scambiarle. La vita si può, anzi si deve affermare sempre, come stanno facendo quei medici milanesi, come sta facendo l’intero Ospedale Raffaele, qualunque cosa quei medici pensino, a freddo, di vita, di morte, di aborto, di obiezione di coscienza. Lo fanno è basta. Da uomini e donne veri. Chapeau.
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