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14.12.2024

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«Nagorno-Karabakh: per noi armeni è l’inizio della fine»
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30 Settembre 2023

«Nagorno-Karabakh: per noi armeni è l’inizio della fine»

L’esodo biblico dal Nagorno Karabakh parla di quasi 100mila armeni in fuga. Dopo i bombardamenti dell’esercito dell’Azerbaigian, il disegno di pulizia etnica contro il primo popolo cristiano della storia è tornato ad essere realtà. Il Timone ha intervistato Baykar Sivazliyan, presidente dell’Unione degli armeni d’Italia, che durante il genocidio armeno vide morire 40 membri della sua famiglia.

Signor Sivazliyan, qual è il suo stato d’animo nel vedere nuovamente gli armeni scappare dalle proprie case?

«Sono tornato due giorni fa dall’Armenia e ho visto coi miei occhi l’inizio della fine del Nagorno Karabakh. Quello che pesa come un macigno sul cuore di tutti gli armeni è che l’Occidente, compresa una parte del mondo cristiano, non ha mostrato purtroppo alcun interesse verso la tragedia in corso».

Eppure la regione del Karabakh rappresenta il cuore dell’Armenia.

«È una delle regioni più importanti dell’Armenia storica. Le chiese e i conventi più antichi, quelli del IV, V e VI secolo si trovano proprio in quest’angolo di questa terra armena. Si può dire che non solo gli armeni sono autoctoni della terra dell’Artsakh, ma che persino il cristianesimo armeno è nato su questo lembo di terra».

Ma questo all’Azerbaigian non sembra minimamente interessare.

«Lo Stato che adesso afferma di essere il padrone di questa terra è nato nel 1918. L’Azerbaigian era una regione dell’Iran, ha acquistato l’indipendenza solo alla fine della prima guerra mondiale».

Come giudica questa mira espansionistica?

«In questo fenomeno vedo con perfetta chiarezza la continuazione della politica ultranazionalista dei Giovani Turchi. Il partito ottomano “Unione e Progresso” sognava un paese turco, abitato solo da turchi. Lo sognavano allora e lo sognano ancora adesso».

Un paese sognato con quali confini geografici?

«Una territorio enorme, che inizia dal mare Adriatico, dai Balcani, che si prolunga – oltre che in Turchia e nel Caucaso – anche oltre il Mar Caspio, fino alle cinque repubbliche dell’Asia centrale turcofona. Che la loro volontà sia sempre stata questa lo conferma il cinismo che hanno sempre usato nell’annientare le minoranze trovate lungo il loro cammino».

Un esempio?

«Nel 1915, per attuare il genocidio degli armeni, come manodopera hanno usato i curdi. Ma non appena i primi sono “finiti”, hanno iniziato a far fuori i curdi. Così anche con altre minoranze, per esempio i talisci: centinaia di migliaia azeri non di etnia turca, quindi considerati intrusi e maltrattati duramente. Sono molti oggi i talisci imprigionati con accuse ridicole e messi in condizioni di non nuocere. Il resto è la storia dei nostri giorni. L’importante è eliminare tutto ciò che non è turco, islamico, sunnita».

E l’Occidente in tutto ciò?

«Tace. Per amore dei milioni di metri cubi di gas. Non batte ciglio. Eppure gli armeni fuggiti dalle loro case sono già oltre metà delle 120.000 persone che abitano l’intera regione del Nagorno Karabakh. Presto rimarranno solo i vecchi e coloro che non hanno un posto dove andare. Non viviamo sulla luna, ci rendiamo conto che ogni paese ha bisogno di gas. L’Italia ha scelto quello dell’Azerbaigian, ma questo non è un motivo valido per tacere sulla fine di una popolazione che viene cacciato dalla propria terra».

C’è il rischio che nel tempo l’esodo arrivi anche in Europa?

«In prospettiva è molto probabile. Un passaporto armeno permette di andare in Georgia, poi con qualsiasi natante, magari guidato da scafisti senza scrupoli, si attraversa il Mar Nero e si arriva in Romania e Bulgaria, paesi dell’Unione europea. Una tragedia che sembra lontana potrebbe portare all’Europa nuovi problemi e nuovi lutti, come se quelli che giungono dall’Africa non fossero già sufficienti».

A distanza di poco più di 100 anni dal genocidio, non crede che gli armeni possano rivivere un tremendo déjà vu?

«Siamo molto addolorati, certo. È almeno dal 2020 che tutti sanno della volontà dell’Azerbaigian di annientare gli armeni del Nagorno Karabakh. Gli azeri vogliono fortemente quella terra, ma la vogliono senza i legittimi abitanti, peraltro tra i più antichi del mondo cristiano. Non dimentichiamo che gli armeni sono stati il primo popolo della storia ad aver accettato il cristianesimo come religione di Stato. Nel 301, prima di Costantino. Ma tutto ciò di fronte al gas non conta più nulla».

Una difesa militare dell’Occidente avrebbe aiutato?

«Non chiediamo alla UE di armarsi come per l’Ucraina, ma almeno di muoversi diplomaticamente e politicamente per contenere questa disfatta totale dei diritti umani. Tante belle parole da parte di USA ed Europa. Compresa l’Italia, che ha visto i suoi politici fare passerella a Baku pur di assicurarsi non solo il gas ma anche la vendita delle armi. Forse il paese che ospita il Vaticano avrebbe potuto evitare…».

Se pensiamo che il governo azero è un tutt’uno con quella Turchia da cui è partita la tragedia del popolo armeno…

«Malgrado la Turchia sia un paese della Nato, un paese che ambisce ad entrare nell’Unione europea, il suo comportamento spero non permetterà mai un pieno appoggio dell’Occidente. Se così non fosse vorrebbe dire che siamo davvero finiti. …Cosa vuole, noi armeni conosciamo molto bene i turchi, ci spiacerebbe moltissimo se un giorno anche l’Europa li conoscesse da vicino».

Oltre alla regione del Karabakh, negli ultimi due anni gli azeri hanno attaccato diverse volte anche la stessa repubblica dell’Armenia, conquistandone piccoli territori. Anche in quell’occasione, come oggi, la Russia non ha fatto nulla, venendo meno ai patti dell’alleanza. Come se lo spiega?

«Quella con la Russia è un’esperienza terribile. Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, quando il genocidio armeno era ancora in itinere, la Russia teneva il fronte orientale a protezione armena. Un bel giorno dissero che di quella guerra non gli interessava più nulla. A casa loro c’era la Rivoluzione, per cui andarono via di punto in bianco lasciando nelle mani dei nazionalisti ottomani quegli armeni che ancora non erano stati ammazzati. Gli armeni, come vede, hanno già fatto esperienza dell’abbandono della Russia».

Rispetto alle scelte politiche del premier armeno Nikol Pashinyan, il popolo sembra essere spaccato in due.

«Una buona parte degli armeni non era d’accordo già da un paio d’anni con la strada del dialogo intrapresa dal governo. Si dialoga con chi ha buona volontà non con chi ti punta la pistola alla tempia. Pashinyan, in buona fede, voleva salvare vite umane di una piccolissima nazione. Nel mondo gli armeni sono appena 11 milioni, di questi solo 3 milioni vivono nella repubblica dell’Armenia, per cui farsi massacrare sarebbe stata una pazzia. L’eroismo conta se serve a qualcosa. Non voglio difendere Pashinyan ma penso che il suo governo abbia cercato il male minore. Il suo vero errore è stato invece quello di sperare che un Occidente avveduto e dalle radici cristiane avrebbe dato una mano al popolo armeno».

C’è una soluzione a questa tragedia? Cosa dovrebbe accadere per cambiare le cose?

«Basterebbe che il governo turco riconoscesse il genocidio degli armeni. Il processo di pace sarebbe lungo comunque, ma questa è l’unica via perché certe pagine di storia non si ripetano più. Né con gli armeni, né domani con i curdi, né con tutte le altre minoranze».

Ci spiega meglio?

«Conosco molti turchi che si vergognano della politica negazionista del proprio paese. Ci sono decine e decine di intellettuali che prima di essere allontanati e fatti tacere con la forza firmano appelli, documenti, suppliche al governo turco perché riconosca l’evidenza: l’Unesco dice che c’erano 2500 chiese in Armenia, a chi servivano se non al nostro popolo cristiano? A differenza del popolo ebraico, noi purtroppo non abbiamo avuto una Norimberga che ha giudicato i responsabili. Quest’impunità è una costante nella storia turca. Con un’ammissione di colpa chiara e netta, finalmente gli armeni saprebbero che i figli e i nipoti di coloro che 100 anni fa hanno massacrato le loro famiglie hanno iniziato a capire l’enorme sbaglio. Intraprendere questo percorso sarebbe un inizio di ricostruzione».

(Foto: YouTube/YouTube)

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