Giovedì sera uomini armati hanno rapito Kefas Ishaya, un catechista della chiesa cattolica di Santa Monica, nel villaggio di Chawai Chiefdom, nello stato di Kaduna, in Nigeria. Gli assalitori, riferiscono i media locali, hanno sequestrare l’uomo appena hanno capito che il loro vero bersaglio, il reverendo Joseph Shekari, in quel momento non era in casa.
«MENTRE PARLIAMO È CON LORO NEL BOSCO»
Un testimone dei fatti ha raccontato ai giornalisti che i rapitori hanno fatto irruzione intorno alle 21,30. «Hanno saccheggiato ovunque, ispezionando i letti, gli armadi, i bagni e la cucina, ma grazie a Dio il reverendo era ancora in viaggio. Allora hanno trascinato il catechista nella boscaglia. Abbiamo provato a chiamarlo ma il suo cellulare squillava a vuoto. Mentre parliamo lui è con loro nel bosco». Un’altra testimone, visibilmente impaurita, ha confidato: «È una situazione molto triste, devastante. Hanno trascinato a terra Kefas come un cane. È davvero un periodo buio per noi». Padre Joseph Shekari, l’obiettivo mancato del blitz, era stato già rapito in circostanze simili nel febbraio scorso (il pagamento di un riscatto permise poi il suo rilascio). In quel rapimento, però, perse la vita il cuoco della comunità parrocchiale, Sati Musa, studente delle scuole superiori, ucciso mentre tentava di difendere il sacerdote.
L’APOCALISSE NIGERIANA IN 24 ORE
Il catechista rapito è solo l’ultima crudele vicenda di un’oppressione che imperversa in tutto il mondo, il cui tratto comune è il furore contro chi tenta di seguire il Vangelo. A indicare un quadro complessivo del fenomeno è l’ultimo rapporto di Open Doors, organizzazione che dal 1992 supervisiona la condizione dei cristiani nel mondo. 360 milioni sono i cristiani che subiscono discriminazioni e abusi, un cristiano su sette. La fascia africana del Sahel è quella che il rapporto di Open doors segnala come più pericolosa per i cristiani. Nella sola giornata di domenica 15 gennaio il dato ha purtroppo avuto una sottolineatura eloquente: almeno 17 cristiani pentecostali sono stati massacrati in una chiesa di Kasindi, in Congo, da un ordigno piazzato dai terroristi islamici dell’Iscap (il ramo del Daesh in Africa centrale), che ha subito rivendicato la strage; in mattinata, invece, padre Isaac Achi era stato arso vivo nella sua parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Kafin-Koro, in Nigeria.
Ed è proprio la Nigeria a confermasi l’epicentro delle violenze anticristiane, con oltre 5000 fedeli massacrati in un solo anno. Non va dimenticato che proprio la Nigeria è il teatro in cui è avvenuto l’episodio di violenza che, nell’anno appena trascorso, ha maggiormente risvegliato un’opinione pubblica occidentale normalmente poco interessata a questo tipo di notizie: l’uccisione di 56 persone durante la celebrazione delle Messa di Pentecoste. In quell’occasione i fondamentalisti islamici non ebbero pietà dei molti bambini che riempivano i primi banchi.
SAHEL OCCUPATO DAI FONDAMENTALISTI
In questo cupo scenario, conforta la notizia del viaggio apostolico di Papa Francesco, che dal 31 gennaio al 5 febbraio si recherà nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, paesi almeno in parte situati in quella striscia del Sahel che ha visto arrivare migliaia di fondamentalisti islamici dopo la sconfitta dell’Isis in Iraq. La conseguenza di questo esodo militare l’ha spiegata Alessandro Monteduro in una recente intervista al Timone: «Un’immediata attività di proselitismo attraverso l’apertura di scuole coraniche e di madrasse» (in quell’occasione, tra l’altro, il direttore di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” aggiunse parole chiare e forti sul fenomeno islamista: «Quello che accade oggi non è a chissà quante migliaia di chilometri dal Mediterraneo e dall’Italia. Anzi, è proprio dalla regione del Sahel che iniziano ad arrivare flussi migratori sempre più consistenti. La verità è che non sappiamo fino a quanto quei flussi saranno ancora “sinceri”, composti cioè da persone che davvero fuggono da condizioni di disperazione»).
IL VIAGGIO DI FRANCESCO IN AFRICA
Dopo otto anni dal primo viaggio in Africa del 2015, dunque, Papa Francesco torna nel grande continente africano. A parere di molti non sarà un viaggio semplice, perché sia il Congo che il Sud Sudan, racconta il giornalista africano Jean-Pierre Bodioko su Civiltà Cattolica, «attraversano da anni una permanente crisi politica e di grave diffusione della violenza». Il papa visiterà la città di Kinshasa, in Congo, e poi con all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia (tre leader religiosi che in questi anni hanno lavorato in forte simbiosi per la pace in Africa), effettuerà il pellegrinaggio ecumenico di pace a Giuba, in Sud Sudan. Ad auspicare una pace duratura è anche l’arcivescovo Hubertus van Megen, nunzio apostolico del Paese: «Per il Sud Sudan si aprirà un nuovo cammino di speranza. Il Pontefice verrà a darci coraggio. E a portarci la pace che stavamo aspettando. Dobbiamo pregare per questo incontro che aspettiamo da tanto tempo».
COME ROLANDO RIVI
In attesa di tempi migliori, oggi per l’Africa non c’è pace. Men che meno per quella Nigeria che vede nel rapimento del catechista Kefas Ishaya un ulteriore duro colpo ai cristiani del Paese. Una singolare ripetizione di elementi permette forse un’ultima nota. Nella vicenda del catechista nigeriano rapito e trascinato nel bosco dalle bande armate, l’opinione pubblica italiana non può non vedere riflessa – in un parallelo tra martiri cattolici di ogni tempo e latitudine – quella del beato Rolando Rivi, il seminarista di Reggio Emilia che proprio in un bosco, dopo essere stato rapito dai partigiani rossi, venne freddato con un colpo di pistola alla testa. Urgono tutti gli sforzi diplomatici perché la vicenda del catechista nigeriano abbia un epilogo diverso (Foto: Facebook)
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