La Corte di Cassazione si è pronunciata contro il riconoscimento della nullità matrimoniale stabilita dalla Chiesa. In poche parole, a parere della Suprema Corte, se marito e moglie hanno vissuto come tali per almeno tre anni, la sentenza ecclesiastica di dichiarazione di nullità del loro matrimonio non ha effetti per lo Stato italiano, perché entrerebbe in contrasto con il principio dell’ordine pubblico.
Si dice che ciò serva a tutelare il più debole tra i due coniugi, ma non è vero.
Di fatto si finisce semplicemente con il dire che ha più valore, anche giuridico, “il fatto” rispetto al principio: la convivenza, insomma, fra due persone invece che le nozze. Come ha scritto Cesare Mirabelli: «La convivenza tra coniugi diventa un valore irrinunciabile legittimando quello che potremmo chiamare un “matrimonio di fatto” e ha tale grado di rilievo e tutela da impedire addirittura che si accerti e dichiari la mancanza di capacità e volontà al momento delle nozze, cioè l’atto consensuale».
La cosa è del resto perfettamente funzionale al tentativo di ridefinizione del concetto di famiglia oggi pericolosamente in atto nella società italiana: è solo la convivenza che conta, è questa che fa la “famiglia aperta”, o, come la definisce Giancarlo Cerrelli (vicepresidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani) “liquida”.
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