«La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile». La motivazione con cui la Corte costituzionale ha emesso la sentenza che ha bocciato, lo scorso 9 aprile, il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge 40, sembra aprire una nuova stagione nell’ambito del diritto. Se fino a ieri, infatti, qualcuno pensava ancora che la civiltà giuridica si basasse sulla difesa dei più deboli, da oggi anche quella convinzione è messa a dura prova. Per i giudici, il desiderio di una coppia di adulti di diventare genitori prevale sul diritto di un bambino a nascere in condizioni naturali e a vivere con la mamma e il papà biologici. L’aggettivo incoercibile, contenuto nella motivazione emessa ieri, costituisce il sigillo ostico e impenetrabile di questa asserzione.
È così che il potere legislativo viene sopraffatto dalla magistratura. In nome della volontà da parte di una coppia di adulti di stabilire tempi e modi di avere un figlio, si ignorano le conseguenze che ciò può innescare. Da oggi, abbattuto l’ultimo argine dall’aggettivo “incoercibile”, chiunque potrà arrogarsi la facoltà di reclamare il proprio diritto a “possedere” un figlio: coppie dello stesso sesso, coppie di anziani, singoli. Così come, mediante la stessa logica per cui il diritto di un adulto prevale su quello del nascituro, chiunque potrà impugnare la legge 194 chiedendone una sempre più flessibile applicazione di modo da concedere un facile accesso all’interruzione di gravidanza.
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