A distanza ormai di mesi dalla sua morte, la figura di Joseph Ratzinger – cui anche il Timone ha dedicato il numero speciale di febbraio del mensile (qui per abbonarsi), con l’eccezionale contributo di ben otto cardinali, che lo hanno voluto omaggiare con scritti di loro pugno – è tutt’altro che dimenticata. Oltre che ben impressa nei cuori dei fedeli, la sua figura resta infatti al centro di convegni, discussioni e pubblicazioni. Ne è un bell’esempio Benedetto XVI – L’ultimo europeo (Historica/Giubilei Regnani 2023), un testo fresco di stampa curato da Campari&deMaistre, sito che dal 2011 propone sui temi della Chiesa e dell’attualità in generale uno sguardo non solo cattolico, ma anche fieramente legato alla tradizione: ratzingeriano, appunto. Per capire meglio il senso di questo nuovo libro, abbiamo contattato Francesco Filipazzi, principale curatore della pubblicazione.
Filipazzi, anzitutto come e quando è nata l’idea di questo libro? Lo chiedo perché dalla morte di Benedetto XVI sono ormai passati mesi…«L’idea iniziale nacque l’anno scorso. Volevamo scrivere una serie di contributi per la ricorrenza dei dieci anni della fine del pontificato di Benedetto XVI. Purtroppo, abbiamo dovuto cambiare le finalità del volume, molti contenuti sono stati ricalibrati e, certamente, essendo un’opera collettanea ha avuto un momento di costruzione più lungo. Al di là del decesso, tutto sommato imprevisto, il nostro intento era e rimane quello di proporre la nostra comprensione dell’opera di Ratzinger, papa e teologo capace di influenzare ancora oggi il pensiero e la cultura. Dico proporne la nostra comprensione, perché noi ci sentiamo debitori di Ratzinger che ha influito nella nostra visione della realtà ecclesiale e nell’idea che il pieno recupero della tradizione cattolica sia un’urgenza ogni giorno più impellente. Ricordo che il nostro blog nacque proprio sotto gli auspici del suo pontificato, che sembrava il prodromo di una nuova primavera del cattolicesimo».
Nella sua introduzione al testo, lei scrive che Ratzinger è stato «punk». Una definizione originale, può spiegarla? «Il termine “Punk”, quando nacque, indicava una subcultura i cui membri amavano la provocazione, l’essere scomodi, indigesti ai ben pensanti. Se Ratzinger non è certamente stato un provocatore, è stato e rimane però molto indigesto a coloro che, sia nella Chiesa che fuori, vorrebbero imporre il pensiero unico progressista. In alcuni casi bastavano brevi documenti o discorsi tutto sommato molto miti, per infiammare polemiche internazionali. All’interno della Chiesa, inoltre, pur essendo stato in ruoli di vertice e Papa, è stato particolarmente inviso alle gerarchie. Anche questa è una contraddizione legata ad un personaggio che certamente era consapevole di essere scomodo, pur non amando questa condizione».
In che senso, per stare ad un’altra vostra definizione, si può dire che il pontefice tedesco sia stato «l’ultimo europeo»? «Benedetto XVI è stato definito da molti, dopo l’elezione del successore, come l’ultimo papa europeo. Ed era stato anche pubblicato un libro, di Bernard Lecomte, dal titolo “L’ultimo papa europeo”. Noi abbiamo sottotitolato il nostro con “l’ultimo europeo”, per dare un senso più ampio e sottolineare il fatto che è stato l’ultimo testimone della cultura europea, che ha dato non solo al cristianesimo, ma proprio al valore della cultura europea nella sua interezza – arte, musica, filosofia – un posto principale nel proprio pensiero. In virtù di questo portato, Ratzinger ha richiamato l’Europa alla sua responsabilità di fronte alla storia, invitandola a ritrovare una propria identità. In un’intervista del 2012, Benedetto spiegava che “il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime: un’anima è una ragione astratta, anti-storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a sé stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. […] L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana”. Si tratta di riconoscere il ruolo dell’Europa nella storia del mondo e del pensiero, andando contro il pensiero unico che vorrebbe farci vergognare di essere europei, quando si tratta di un portato che è forse il più fulgido e luminoso esempio di quanto possa proporre l’intelletto umano. Benedetto XVI, per esempio, è stato un grandissimo esperto di musica classica, di cui propugnò il valore. Questa impostazione è certamente entrata nel suo magistero e nella sua concezione teologica».
Un argomento di cui si discute ancora moltissimo sono le dimissioni di papa Benedetto XVI, fatto secondo alcuni misterioso, secondo altri chiaro – ma in ogni caso eccezionale. Che idea ve ne siete fatti, come Campari&deMaistre? «La storia completa delle dimissioni probabilmente emergerà nei prossimi anni, anche se tutto sembra suggerire che la decisione sia stata maturata a livello personale, dopo aver preso atto che i moti interni alla Chiesa stavano per provocare uno scisma di natura progressista. Forse è stato un estremo tentativo di mantenere l’unità, forse una presa d’atto di non avere energie per contrastare una marea che stava montando. Certo è che, se i motivi sono stati questi, temo ci sia stato un errore di valutazione. Quelli che erano i suoi oppositori in questi anni hanno dimostrato una povertà di argomentazioni, un piattume e una sterilità imbarazzanti».
Non pensate che Ratzinger rischi di essere dimenticato? È stato un teologo immenso, ma nella Chiesa – basti vedere il Sinodo, ma non solo – oggi sembrano prevalere atteggiamenti e correnti di tutt’altro tipo; e i giovani, da parte loro, non ignorano solo lui ma, stando alle ricerche, sono almeno in Occidente sempre più lontani da Dio. «Dopo 10 anni dalle nefaste dimissioni, la sua morte ha dimostrato che, oltre a non essere stato dimenticato, è stato particolarmente amato. C’è una generazione di sacerdoti che si sono formati sotto il suo pontificato e che tutt’oggi dichiarano apertamente che, quando hanno bisogno di trovare documenti, argomenti e testi strutturati, per catechesi e omelie, ricorrono a quelli del pontificato di Benedetto o di quello precedente. Probabilmente qualcun altro sarà dimenticato e difficilmente sarà la base per testi di pregio. Inoltre, mi permetto di concludere segnalando che uno dei grandi lasciti di Benedetto XVI, la possibilità di celebrare liberamente la messa tridentina, ad oggi sta dando numerosi frutti. Nonostante i tentativi di divieto, la vituperata messa in latino sta fiorendo nel cuore di un numero di fedeli sempre in crescita, fedeli che tributano i loro ringraziamenti imperituri al papa del Summorum Pontificum» (Foto: Imagoeconomica)
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