Ci si sposa sempre meno, anzi non ci si sposa più. Nemmeno la cosa fa più notizia, quasi non la si nota. Ma l’occhio rimane comunque sorpreso nell’apprendere che è così anche per i cugini spagnoli, tradizionalmente considerati ancora cattolici quanto basta da non rinunciare a quel “sì” che significa per sempre, che significa indissolubilità, che significa “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, fino a che morte non ci separi”.
Ma i dati lasciano poco spazio a interpretazioni. Per la prima volta nella storia della Spagna, nel 2022 sono nati più bambini da madre nubile (165.062) che da madre sposata (164.189). A questo si aggiunge che il tasso di natalità continua ad essere in caduta libera: n el 2022 in Spagna sono nati 329.251 bambini, dieci anni prima erano 454.648. Siamo quindi di fronte ad un calo del 27,6% in un solo decennio. Numeri che arrivano dall’Istituto nazionale di statistica di Madrid secondo cui l’indicatore di fertilità a breve termine, che misura il numero medio di figli per donna, è sconfortante. Nel 2012 i figli per donna erano 1,32, mentre ora siamo a 1,16. Inoltre, se analizzata per nazionalità, la situazione preoccupa ancor di più: le donne spagnole hanno in media 1,12 figli, mentre le madri straniere ne hanno 1,35. Dei 329.251 bambini nati in Spagna lo scorso anno, 253.382 (77%) erano figli di madre spagnola (nativa o naturalizzata) e 75.869 (23%) di madre straniera.
Di conseguenza, il saldo naturale, la differenza tra nascite e morti, è negativo in più di centotrentamila persone. Ci sono alcune province spagnole, come Zamora, dove muoiono quattro volte più persone di quante nascano bambini. Uno degli elementi determinanti in questo calo è stato l’anno 2020, il fatidico anno della pandemia, che ha visto un calo del 42% dei matrimoni in tutto il paese, con sole 12.795 unioni, ha registrato il calo più grande in assoluto degli ultimi decenni, calo che a traino si è trascinata la drastica diminuzione delle nascite e influenzato le scelte della popolazione per gli anni successivi.
Il calo maggiore si registra ahinoi nei matrimoni celebrati in Chiesa, passati da 6.677 a 3.299, il numero più basso in almeno 35 anni secondo i dati forniti dall’Anagrafe Civile. I matrimoni civili sono invece passati da 14.319 a 9.048, anche se continuano a superare in numero le unioni ecclesiali, come avviene ogni anno dal 1996.
Scrive a proposito lo psicologo Roberto Marchesini nel suo libro E vissero felici e contenti: «Se ci si sposa per vivere in eterno il benessere psicologico dell’innamoramento, con le farfalline nello stomaco, il sorriso ebete stampato sul volto, l’ebrezza alcolica senza aver bevuto una sola goccia di alcool; se ci si sposa per la gratificazione emotiva; se ci si sposa per la soddisfazione dei propri bisogni affettivi e sessuali; se ci si sposa per il sogno dell’abito bianco e della marcia nuziale; se ci si sposa per provare le grandi emozioni dei film hollywoodiani; se ci si sposa per questi motivi, dunque, è bene prepararsi ad una repentina separazione, un imminente divorzio. Non è inevitabile, ma è molto probabile. Il sentimento, da solo, non basta. Ci si sposa per dare, per darsi. Se ci si sposa solo per ricevere, inevitabilmente il matrimonio diventerà una “partita doppia”: dare- avere. Altrettanto inevitabilmente verrà il giorno in cui ci si accorgerà di non ricevere quanto si dà, o di non ricevere quanto ci saremmo aspettati nel giorno del nostro matrimonio. In quel momento, il matrimonio basato sulla gratificazione dei propri(legittimi, va pur detto) bisogni effettivi, sarà finito». (Fonte foto: Pexels.com)
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