È un vero e proprio braccio di ferro, quello ora in corso sul fine vita tra Governo e Regione Emilia Romagna. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, lo scorso 12 aprile, ha difatti presentato ricorso al depositato al Tar dell’Emilia-Romagna un ricorso contro la Regione, e in particolare contro la direzione sanitaria Salute della persona. Lo scopo dell’iniziativa governativa è molto semplice: chiedere l’annullamento delle delibere della Giunta guidata da Stefano Bonaccini che davano attuazione al suicidio medicalmente assistito in Emilia-Romagna.
A dare notizia di tale, pesante iniziativa governativa è stata Valentina Castaldini, consigliera regionale di Forza Italia, la quale ha anche illustrato le motivazioni alla base del ricorso di Palazzo Chigi. Motivazioni che vertono sulla «carenza di potere dell’ente» regionale in materia di suicidio assistito, e sulla «contraddittorietà e l’illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie». Con questo da parte del governo, in realtà, i ricorsi presentati alla magistratura contro i provvedimenti amministrativi sul fine vita dell’Emilia Romagna adesso sono due.
Come infatti il Timone aveva raccontato lo scorso 11 marzo, ad opporsi alle iniziative mortifere della Giunta Bonaccini ci ha già pensato un nutrito e battagliero gruppo di associazioni pro life (Centro Studi Rosario Livatino, Network “Ditelo sui tetti”, Comunità Papa Giovanni XXIII, Esserci per essere, FederVita Emilia-Romagna, Forum delle famiglie e associazioni familiari, Lab.ora, Le vedette, Medicina e Persona, Movimento per la Vita Italiano, Medici Cattolici Italiani, Osservatorio “vera lex?”, Unione Giuristi Cattolici di Reggio Emilia, Piacenza e Pavia, Nonni 2.0, Scienza e Vita), depositato un atto di oltre 50 pagine.
A quel ricorso, dunque, ora si somma anche quello – istituzionalmente pesantissimo – del governo. Ambedue i ricorsi sono accomunati dai provvedimenti che hanno nel mirino e dei quali chiedono l’annullamento, vale a dire le delibere di giunta 194 e 333 del 2024 e determina direttoriale 2596/24 con le quali, come noto, la Giunta Bonaccini da un lato ha introdotto una prestazione sanitaria per assistere medicalmente e farmacologicamente il suicidio assistito, e, dall’altro, ha costituito ben due organismi consultivi di totale derivazione regionale per verificare la presenza del pre-requisito delle cure palliative e gli ulteriori quattro requisiti per accedere alla morte on demand.
Entrambe queste iniziative, va detto, erano subito parse di assai dubbia legittimità a parecchi osservatori, giuristi e bioeticisti. Prova ne è quanto scritto sul Timone di marzo da Giuliana Ruggeri, ricercatore dell’Università di Siena e membro del Comitato nazionale di bioetica, la quale – proprio con riferimento all’Emilia Romagna – aveva chiaramente parlato dei possibili, anzi probabili profili di incostituzionalità delle deliberazioni varate sul fine vita dall’Amministrazione Bonaccini. E questo solo per limitarsi al piano giuridico, che certamente è un versante prioritario e fondamentale ma non è l’unico. Esiste infatti anche quello morale.
A questo proposito, l’impegno in favore del suicidio assistito, da parte della Giunta che guida l’Emilia Romagna, ha sollevato l’indignazione della Conferenza episcopale regionale (Ceer) che, in una nota, aveva sottolineato come «la proposta della Regione Emilia-Romagna di legittimare con un decreto amministrativo il suicidio medicalmente assistito, con una tempistica precisa per la sua realizzazione, presumendo di attuare la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, sconcerta quanti riconoscono l’assoluto valore della persona umana e della comunità civile volta a promuoverla e tutelarla».
Una protesta, quest’ultima, che un’Amministrazione di sinistra, come quella di Bonaccini, può laicamente permettersi di ignorare. Con i ricorsi al Tar – tanto più se uno di questi risulta depositato nientemeno che dal Governo – la musica però cambia, e cambia anche molto. Staremo dunque a vedere quali sviluppi avrà questa vicenda, non senza però già esprimere apprezzamento per l’iniziativa governativa, dal momento che è quanto meno assurdo che – in un Paese in cui tantissimo lavoro resta da fare sul fronte delle cure palliative e della terapia del dolore – degli Enti regionali possano arrogarsi il diritto di fare da apripista al suicidio assistito (Fonte foto: Imagoeconomica/Pexels.com)
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