All’Università americana di Beirut, in Libano, l’archeologo francese Frédéric Imbert, spécialista di epigrafia araba e islamica, professore nell’Università di Aix-Marsiglia, ha raccontato le scoperte appena fatte dalla missione di scavo franco-saudita nella regione di Najran, oggi nel sud dell’Arabia Saudita, anticamente sede della più numerosa comunità cristiana dell’intera Penisola Araba precedente l’islam.
Da pochissimo, infatti, gli studiosi hanno scoperto chilometri e chilometri di pareti rocciose incise e istoriate, in cui compaiono visibilmente anche croci e segni cristiani. Quelle incisioni abbracciano in realtà un lasso di tempo molto ampio, dalla preistoria fino alla primissima epoca islamica, ma chiaro e visibile è il contributo apportatovi dai cristiani, quasi una firma che resiste al tempo. Quella zona, infatti, seppur decisamente cristiana, finì per essere travolta, nel secolo V, dalle persecuzioni scatenate da tale Yusuf (noto anche con la traslitterazione del suo nome, Giuseppe), un usurpatore, che accordò le proprie preferenze all’ebraismo e scatenò l’odio anticristiano.
Una scoperta sensazionale, la definisce Imbert, quella delle rocce incise che getta luce nuova sul culto monoteistico, ben radicato nella regione, ma anche sulla forte e ostinata presenza cristiana pur in mezzo a grandi difficoltà (oltre che sfatare, una volta in più il falso mito – tutto islamico – della perfetta coincidenza tra "islamicità" e "arabicità", tale per cui il Dio del Corano parla solo arabo e ogni conversione alla fede musulmana comporta anche la rigida arabizzazione della cultura e dei costumi).
Sul prossimo numero de Il Timone (febbraio), Rino Cammilleri racconta la storia del “regno perduto” di Hymar, dove tutto questo avvenne.
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