di Simone Varisco
Protagonista del recente Sinodo, il confronto fra i principali esponenti della Chiesa cattolica tedesca, da Müller a Kasper, da Brandmüller a Marx, si è misurato anche su diverse visioni della crisi della Chiesa in Germania e delle sue possibili soluzioni.
Stando agli ultimi dati resi noti dalla Conferenza episcopale tedesca, nel 2013 si contavano in Germania 24,2 milioni di cattolici1, in calo rispetto all’anno precedente (erano 24,3 milioni), attestandosi al 29,9%della popolazione (erano il 42,7% prima della riunificazione della Germania, nel 1990), ancora distribuiti in percentuali maggiori nei Länder meridionali, come il Saarland (dove i cattolici toccano il 62%) e la Baviera (54%).
Significativo altresì come fra coloro che si dichiarano cattolici la percentuale dei fedeli che frequentano regolarmente almeno la messa domenicale si diriga da anni verso numeri a cifra singola. Non è quindi un caso che rispetto all’anno precedente parrocchie ed altri luoghi di cura pastorale siano diminuiti di 137 unità (11.085 nel 2013, per una popolazione totale di oltre 83 milioni di tedeschi. In Italia le sole parrocchie sono 25.6772, per una popolazione di circa 60 milioni di abitanti). Sempre meno sono anche i battesimi, i bambini nati in famiglie in cui sia presente almeno un genitore cattolico e i matrimoni celebrati con rito cattolico.
Anche i sacerdoti diocesani e religiosi registrano nel 2013 un ulteriore calo rispetto al già difficile 2012. Migliori, ma in via di peggioramento, i dati riferiti aldiaconato permanente che, pur registrando un aumento numerico su base nazionale (+66 diaconi rispetto all’anno precedente), si sta avviando da anni verso una progressiva stagnazione, specialmente fra coloro che assumono l’incarico come occupazione esclusiva (+15 diaconi rispetto al 2012).
All’interno di un quadro piuttosto sconfortante, si distingue invece la fortuna degli indicatori economici. Con 5,5 miliardi di euro di entrate nette nel 2013, in continua crescita dal 2005, la Chiesa cattolica in Germania è fra le più ricche al mondo (al secondo posto nel Paese la Chiesa evangelica, con 4,8 milioni di introito netto nel 2013).
Vale la pena ricordare che in base alla tassa sulle religioni (Kirchensteuer) attualmente vigente in Germania, lo Stato non si rende diretto protagonista del finanziamento delle comunità religiose (e filosofiche) esistenti sul proprio territorio, ma si fa tramite tra esse e i rispettivi fedeli per la raccolta dell’imposta fra gli iscritti agli elenchi delle rispettive comunità, in possesso dello Stato. Pagando la Kirchensteuer, i fedeli acquisiscono il diritto ad una serie di “servizi religiosi”, alcuni dei quali altrimenti noti come Sacramenti.
La cancellazione dall’elenco implica per il cittadino l’esonero dal pagamento della tassa, ma anche la cessazione dell’ottenimento dei “servizi religiosi”(salvo in caso di immediato pericolo di morte) e l’impossibilità a ricoprire determinati ruoli, come l’essere padrino o madrina o il venire impiegati in uffici ecclesiastici. Con tali implicazioni, quello che potrebbe apparire soltanto come un atto amministrativo nei rapporti fra cittadino, Stato e sistema contributivo, assume a tutti gli effetti i connotati di una defezione dalla Chiesa, con la dura presa di posizione della Conferenza episcopale tedesca, nell’ottica di «preservare la fede e l’educazione cattolica dei bambini».
La prosperità economica che alimenta il Paese e la grande macchina della Chiesa cattolica tedesca è la stessa prosperità materiale che ne svuota le chiese, al punto che molte delle grandi cattedrali del Paese sono oggi più visitate dai turisti che dai fedeli.
Ancora sostenuta dal successo economico che distingue vaste aree della Germania dalla maggior parte delle economie dell’Europa occidentale, il sempre più fragile equilibrio fra l’aumento della ricchezza pro-capite dei cittadini tedeschi e il calo dei fedeli ha finora retto. Non è però difficile prevedere che se l’emorragia di fedeli proseguirà come negli ultimi anni, nel prossimo futuro della Chiesa cattolica tedesca si profilerà anche l’ombra del dissesto finanziario.
Tenere conto di questo fattore è imprescindibile nella considerazione del confronto mostrato recentemente al Sinodo, non fosse altro che per l’ingenerato senso di urgenza nell’inversione di tendenza. Al Sinodo la Chiesa cattolica tedesca si è confermata fra le più inclini alle richieste del mondo contemporaneo, una Chiesa che i media non hanno esitato a definire «aperta»; eppure una Chiesa«malata», secondo una terminologia cara all’attuale Pontefice, «chiusa» in una società prospera sempre più tentata dall’inutilità della fede ed erosa da alcune di quelle stesse forze che spingono in direzione del cambiamento.
C’è da scommettere che nel dibattito, in corso da tempo tanto all’interno alla Chiesa tedesca quanto in quella universale, i principali protagonisti del Sinodo appena concluso siano ben intenzionati a non ritagliarsi ruoli di semplici spettatori. Tanto nell’una quanto nell’altra partita.
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